Una recente interessante sentenza (TAR Piemonte, Torino, sez. II, n°80/2022) mi spinge a fare un nuovo post, in particolare nel merito del concetto, recentemente innovato, delle tolleranze costruttive, nonché del rapporto tra agibilità e legittimità edilizia, concetto anch'esso di recente introduzione.
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La sentenza trae origine dal contenzioso tra il comune di Torino ed un condominio, il quale presenta una istanza di sanatoria edilizia (SCIA) ai sensi dell'art. 37, specificando nel titolo abilitativo che il fabbricato ha delle difformità generali afferenti la sagoma e le superfici le quali, però, rientrano nel concetto di tolleranza costruttiva. Questo importante concetto è stato di recente perfezionato ed esteso dal Decreto Semplificazioni 2020 (DL 76/2020 convertito con L. 120/20) grazie al quale oggi è descritto in un articolo a sé stante del testo unico, il 34 bis.
il Condominio, per tramite del tecnico incaricato, dichiara che sono presenti delle irregolarità costruttive sul fabbricato, riconducibili alla originaria costruzione, che incidono anche sulle superfici lorde (parametro SLP degli strumenti urbanistici locali), ma che producono delle differenze rispetto al progetto originario contenute all'interno del concetto di tolleranza costruttiva ai sensi dell'art. 34 bis (già pubblicato ed operativo al momento in cui viene depositata la SCIA). Il comune contesta la correttezza del calcolo, specificando che non sarebbero stati verificati "tutti gli altri parametri edilizi" a cui la norma sulle tolleranze laconicamente fa riferimento. contesta inoltre il comune che, effettuando i calcoli in modo "corretto" della SLP, le differenze sarebbero oltre il margine di tolleranza del 2%. Tuttavia, il comune sembra non specificare con precisione come viene effettuato il calcolo.
il Condominio insorge contro le doglianze del comune, contestando che questi avrebbe dovuto specificare puntualmente quali sarebbero i parametri edilizi che avrebbero dovuto essere oggetto di verifica, e che il "ricalcolo" delle superfici sarebbe privo delle necessarie spiegazioni tecniche ed argomentazioni, necessarie per poter ritenere valido l'atto di annullamento. Sul punto, il comune invece ritiene che la sua attività è "vincolata" e che quindi non deve fornire motivazioni esplicite. Sul punto, il TAR da torto all'amministrazione, la quale non può evocare il concetto di attività "vincolata" quando l'annullamento dell'istanza si basa su delle verifiche tecniche delle quali il cittadino ha, invece, prodotto ampia dimostrazione di correttezza. Sul punto, sostanzialmente il comune è soccombente, anche se la sentenza non arriva a definire un punto veramente essenziale della questione, ovvero quali siano effettivamente gli "altri parametri edilizi" che vengono evocati dalla norma nazionale. Possiamo solo dire, alla luce di quanto si dice in questa sentenza, che il calcolo della superficie lorda è senz'altro uno di questi parametri, forse il principale.
il TAR censura, però, l'approccio del ricorrente quando cerca di far passare l'idea che il concetto di tolleranza possa ricomprendere in generale l'intera superficie di piano del fabbricato, ricomprendendovi anche porzioni comuni, non appartenenti quindi alle singole unità immobiliari, quali il vano scale. L'approccio era stato utilizzato, pare, per ribadire l'assenza di violazione delle tolleranze anche verificandolo rispetto a parametri diversi. Su questo aspetto il TAR riallinea invece la visione alle esatte parole della norma, la quale chiaramente specifica che la verifica della tolleranza va fatta con riguardo alle misure della singola unità immobiliare: da ciò deve dunque dedursi che è inutile ricomprendere nel calcolo delle tolleranze superfici che non riguardano le singole unità immobiliari, anche se è innegabile che le difformità edilizie possono invece verificarsi anche sulle parti comuni dei fabbricati, e quindi, su queste, vi sarebbe un vuoto normativo. Sul punto si era espresso in precedenza anche TAR Lazio con sentenza 4413/2021 che ho commentato in questo post già linkato sopra.
il ricorrente produce una ulteriore riflessione, nella condivisibile intenzione di sottoporre al tribunale tutte le argomentazioni possibili che si ritengono avere influenza sul caso: tra questi viene quindi proposto il concetto secondo cui la presenza dell'originaria agibilità del fabbricato (della fine degli anni cinquanta) proietti una sorta di legittimità retroattiva sullo stesso progetto edilizio, seguendo il concetto secondo cui l'agibilità rilasciata dal comune può assorbire delle difformità costruttive in quanto senza agibilità non può esserci conformità. Su questo punto invece il TAR da torto al Condominio, ribadendo un concetto già espresso dalla giurisprudenza ma anche da alcune amministrazioni regionali (tra cui il Lazio che ha emesso un parere nel 2018 in linea con questa visione, che ho commentato in questa pagina) secondo cui se è vero che l'agibilità ha come presupposto la legittimità edilizia, non è altrettanto vero che la presenza dell'agibilità automaticamente garantisca il consolidamento dello stato legittimo in presenza di difformità rispetto al progetto edilizio. Estraggo un passaggio interessante della sentenza in tal senso:
Se è vero che la regolarità edilizio-urbanistica è presupposto per il riconoscimento dell’abitabilità non è vero l’assunto opposto, vale a dire che il rilascio del certificato di abitabilità (che è omologo alla licenza di cui si parla nel ricorso ai sensi dell’art. 221 del RD n. 1265/1934) costituisca prova della regolarità edilizia ed urbanistica. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione di discostarsi, “il certificato di agibilità degli immobili non presenta alcun rilievo sotto il profilo urbanistico-edilizio, assolvendo lo stesso esclusivamente alla funzione di controllo sanitario-urbanistico rispetto alla concessione edilizia a monte rilasciata e con opere concluse” (T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 21/01/2021, n. 188)
Sul punto pertanto è il Condominio ad essere soccombente.
Ultimo tema toccato in questa interessante sentenza è quello della risalenza delle difformità ad epoca in cui, a detta del ricorrente, la normativa non avrebbe previsto l'obbligo di depositare una variante ad un progetto per "lievi" differenze. Sul punto il TAR valorizza il fatto che il regolamento edilizio del comune di Torino in vigore all'epoca della costruzione (il regolamento del 1922) prevedeva espressamente la necessità di dotarsi di nuova licenza in caso di modifiche apportate in corso d'opera. Dunque su questo tema va a consolidarsi la causa, da me perorata anche in altre sedi, che i regolamenti edilizi precedenti alla L. 1150/42 sono da considerarsi comunque validi ed efficaci ai fini della valutazione dell'obbligo di dotarsi della licenza edilizia per edificare o per modificare, soprattutto quelli emanati dopo la pubblicazione della L. 297/1911 (ne ho parlato in questo post ed anche in quest'altro post ma anche nel mio libro).
Anche se gli ultimi due argomenti non hanno persuaso il collegio, il Condominio ne esce comunque vittorioso per via delle riflessioni attorno al primo motivo di ricorso.
Gentile Architetto, vorrei chiederle un parere relativamente alle tolleranze costruttive così come modificate dal Decreto Salva Casa. Trattasi di una villetta a schiera su tre livelli (seminterrato, piano terreno rialzato e sottotetto) collegati da una scala interna. L'unico piano residenziale è quello intermedio. Il piano sottotetto, destinato a soffitta, è stato realizzato con il colmo più alto di quello di progetto (15 cm all'intradosso della falda). Ovviamente tale differenza si riscontra anche all'estradosso del tetto che, in osservanza del Regolamento Edilizio, avrebbe dovuto distare 2,80 m dall'intradosso del solaio sottostante mentre sta a circa 3,10 m. Essendo la superficie utile inferiore a 60 mq potremmo calcolare una tolleranza fino al 6% dei parametri edilizi. Tale tolleranza non viene rispettata se misuriamo l'altezza del solo sottotetto mentre, se misuriamo l'altezza del fabbricato da terra al colmo o dal piano seminterrato al colmo, le quote rientrano nella tolleranza. Pensa che questo procedimento sia corretto? Grazie
RispondiEliminai valori vanno presi a riferimento rispetto all'unità immobiliare che, nel caso di specie, mi sembra essere l'intera villetta, quindi la tolleranza va calcolata in funzione della dimensione complessiva. attenzione poi al fatto che se si tratta di altezze nette interne, queste fanno parte dei rapporti igienico-sanitari dove la tolleranza è sempre e comunque il 2%.
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