domenica 2 febbraio 2020

ricostruzione edifici non più esistenti: nuovo parere regione lazio

La ricostruzione degli edifici crollati o comunque non più esistenti è stato un tema oggetto di sviluppi normativi negli ultimi anni. In passato, laddove un edificio era non più esistente in parte o completamente, la sua ricostruzione, anche fedele, era quasi sempre da considerarsi come nuova costruzione, anche se la giurisprudenza nel merito non è stata sempre univoca. nel 2013 fu fatta una modifica normativa che ha invece "forzato" l'inserimento della ricostruzione di edifici crollati o loro parti nell'alveo della "ristrutturazione edilizia" sottraendola dunque alla definizione di "nuova costruzione", e questa cosa incide non poco sulle procedure autorizzative anche in sanatoria. un recente parere Regione Lazio nel merito fornisce l'occasione per ripassare il tema.


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Prima delle recenti modifiche normative, iniziate dal 2013 con il "decreto del fare", la ricostruzione di interi edifici o parti di edifici crollati era quasi sempre classificata come nuova costruzione, e quindi soggetta a permesso di costruire, questo perché la vaghezza della definizione normativa aveva portato la giurisprudenza a dare una lettura del tutto stretta della definizione, intendendo indicare che laddove non esistesse un edificio, o una sua cospicua parte, nel senso che questo sia privo delle murature perimetrali, dei solai e/o del tetto per diverse porzioni, era impossibile configurare un intervento di "ristrutturazione" su un edificio esistente. La nozione di "ristrutturazione edilizia" ante 2013 contemplava il fatto che era ammissibile la "demolizione e ricostruzione con rispetto di volume e sagoma" ma questo comportava necessariamente l'esistenza di un edificio da demolire e da ricostruire contestualmente, escludendo la possibilità che la ricostruzione potesse avvenire con edifici demoliti anni o decenni prima, mancando la condizione essenziale della "preesistenza" da demolire.

Era però contemplato, sempre nella fattispecie della ristrutturazione edilizia, come lo è oggi il "ripristino" di "alcuni elementi costitutivi" e su questa definizione, decisamente vaga, a volte ci si è spinti abbastanza in là. La qualificazione dell'intervento tra ristrutturazione edilizia o nuova costruzione è essenziale, in quanto nel primo caso si può (e si poteva anche prima del 2013) operare con un titolo edilizio acquisito per silenzio-assenso (SCIA o all'epoca DIA), mentre nel secondo occorre ottenere un permesso di costruire, cioè seguire una procedura generalmente più lunga (dipende poi dal singolo comune), ma non diversamente costosa in termini di oneri concessori.

Nel 2013, dicevamo, la norma, rispetto al passato, è cambiata: la definizione di "ristrutturazione edilizia", cioè quel livello di interventi che ricomprende quelli anche molto invasivi ma che comunque non sfociano nella "nuova costruzione", è stata estesa anche agli edifici non più esistenti ma purché sia possibile ricostruirne l'originaria consistenza.

Ancora più di recente, nel 2016 con il decreto SCIA 2 e la pubblicazione della connessa tabella A, è stato ulteriormente affinata la definizione e quindi oggi possiamo tratteggiare delle casistiche abbastanza lineari e circostanziate:
  • rientra nella definizione di "ristrutturazione edilizia leggera" la ricostruzione di edifici crollati o parti di essi purché si rispetti il volume originario, ma non necessariamente la sagoma;
  • se si rientra nella casistica di immobili vincolati ai sensi del codice dei beni culturali (dunque rientranti in una qualsiasi delle tipologie di vincolo ivi contemplate dunque sia beni culturali - parte II del Codice - sia beni paesaggistici - parte III) o, nell'attesa di specifiche indicazioni comunali, anche nel "centro storico*" anche laddove non espressamente vincolato, la ricostruzione è legata al rispetto anche della sagoma, oltre che del volume;
*la definizione è così inserita nella tabella A del decreto scia 2 ma manca evidentemente di rigore: esiste un DM che ha stabilito che i "centri storici" sono zone territoriali omogenee di tipo A, e si immagina che il riferimento corretto avrebbe dovuto essere questo.

In tutti i casi in cui non sia rispettato il volume esistente, o questo non possa essere ricostruito con esattezza, oppure nei casi in cui non si rispetta la sagoma in ambiti vincolati, si esce dalla definizione di ristrutturazione edilizia per approdare nelle definizioni della "nuova costruzione".

Si badi che la ricostruzione di edifici crollati nelle casistiche sopra descritte è soggetta ad oggi a SCIA "semplice" o SCIA in art. 22, quindi non è neanche soggetta a SCIA alternativa al permesso di costruire (art. 23), che potrebbe apparire un titolo più congruo trattandosi comunque di un intervento di una notevole invasività, e anche osservando che in SCIA alternativa vi ricadono invece interventi decisamente meno impattanti come le mere modifiche di prospetto. Ciò comporta evidentemente che gli interventi descritti effettuati abusivamente possono essere sanati con le procedure dell'art. 37, e quindi essere anche sottratte alla disciplina dell'art. 44 (sanzioni penali), ma prevedono una sanzione pari al "doppio dell'aumento del valore venale" dell'opera compiuta abusivamente.

Dicevamo dunque che un elemento essenziale per l'applicazione della norma nello specifico è che sia possibile "accertare la preesistente consistenza" anche e soprattutto alla luce del fatto che l'intervento ricade nella casistica solo se è rispettato il "volume" della originaria costruzione. Va quindi da sé che laddove non si è in grado di ricostruire con esattezza la consistenza del volume, appare difficile poter attuare la procedura in modo sereno.

Laddove l'edificio crollato è stato all'origine edificato con un regolare permesso di costruire (a Roma come ho avuto modo di evidenziare la licenza edilizia è di fatto obbligatoria fin dal lontano 1864) correlato ad un progetto, il modo migliore, anzi direi l'unico, per verificare le consistenze è fare riferimento a questo documento, senza bisogno di preoccuparsi d'altro. Nella ricostruzione potremmo quindi accertare il volume sulla base del progetto ma, come abbiamo visto, non sarà necessario rispettare la sagoma.

Laddove invece si ricada in uno di quei casi in cui l'originario edificio poteva ritenersi legittimo anche laddove edificato senza un titolo edilizio, tutto diventa più difficile perché, a meno che detto fabbricato non sia stato oggetto di successive trasformazioni o di perizie, basarsi esclusivamente su dati incompleti (foto aeree, catastali) o indiretti (fare riferimento alla "tipologia edilizia prevalente") può ritenersi generalmente insufficiente.

La ricostruzione di edifici crollati è una operazione sotto certi aspetti potenzialmente allettante, soprattutto se attuata in zone in cui la nuova costruzione è impossibile o fortemente limitata (pensiamo a zone che sono diventate agricole o vincolate o pianificate in modo diverso): dimostrando una certa preesistenza, in termini di volume e destinazione d'uso, tale preesistenza in linea generale deve considerarsi sempre "riproducibile" anche laddove la realizzazione ex novo di quello stesso fabbricato, qualora non fosse preesistito, non sarebbe possibile (casi complessi possono presentarsi in zone in cui il piano regolatore prevede delle opere pubbliche mediante espropri ma, in ogni caso, deve a mio modesto parere escludersi la possibilità di ricostruire fabbricati su suoli che sono stati oggetto di successiva trasformazione urbanistica con nuove edificazioni, anche laddove la nuova pianificazione ha ignorato le originarie consistenze anche scomparse, il che comunque sarebbe strano). Si noti poi che la norma parla di ricostruzione del volume, svincolando la sagoma ma quindi implicitamente anche la collocazione del fabbricato nel lotto.

Attenzione comunque perché andare al di fuori della legittima ed originaria sagoma significa dover necessariamente rispettare tutte le regole che, ad oggi, vanno rispettate per le nuove costruzioni in termini di distanze, altezze, densità edilizie: ne consegue, a mio modesto parere, che in contesti urbani già densamente edificati, andare fuori sagoma è una sfida al destino, soprattutto se si interviene in zona territoriale A dove la norma specifica che "le distanze preesistenti non possono essere ridotte", imponendo un implicito vincolo alla sagoma (cosa peraltro indicata nella stessa definizione di ristrutturazione della tabella A dello SCIA 2 come sopra richiamata). Nelle zone B invece potrebbe essere meno restrittiva la cosa, dovendosi rispettare di fatto "solo" la distanza di 10 metri, ma questo è un tema talmente complesso che meriterebbe un post apposito, e, per non andare troppo per altre vie, mi fermo qui.

Dicevamo che questo post è ispirato ad un recente parere Regione Lazio, il parere prot. 62118 del 23 gennaio 2020. Detto documento è in risposta al dubbio di un Comune laziale il quale chiede se è sufficiente l'inviluppo dei dati ottenibili da foto aeree storiche e planimetrie catastali per poter consentire la ricostruzione in ristrutturazione edilizia, chiedendo quindi se è possibile, di fatto, ricostruire le consistenze in modo fittizio (probabilmente non essendo presente nelle planimetrie catastali neanche il dato dell'altezza).

La Regione, dopo un utile preambolo in cui vengono citate sentenze che già si sono espresse sul tema, dispone che la ricostruzione della originaria consistenza debba essere fatta in modo assolutamente rigoroso, proprio appunto perché tale dato è essenziale per essere certi di rientrare nelle previsioni di legge: una valutazione non rigorosa di tale valore può comportare, un domani, nel caso in cui si riscontrino errori gravi nella determinazione delle consistenze, la nullità del titolo edilizio per assenza dei presupposti.

Utilmente, la Regione specifica anche che non sono solo le consistenze generali che devono essere rigorosamente ricostruite, ma anche e soprattutto le destinazioni d'uso, in quanto le stesse afferiscono al concetto del "carico urbanistico" che è connesso alla volumetria che viene reimmessa sul territorio.

Conseguentemente a tutte le riflessioni, la Regione risponde negativamente al quesito del comune.

10 commenti:

  1. Buongiorno, avrei un quesito specifico relativamente a demolizione e ricostruzione. Premetto essere un edificio industriale in citta da ristrutturare, prevalentemente per attività. Tale edificio edificato con regolare licenza del 1960 per 10000 mq va demolito e ricostruito più piccolo per rispettare i confini e una nuova viabilità. Siccome la norma di piano oggi mi consente di edificare 6500 mq con indice 0.3 mq/mq, e la proprietà vorrebbe edificarne 8000, esiste qualche circolare o sentenza che deroga il PRG e mi permette comunque di mantenere i 10000 mq o 8000? grazie mille Marco

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    1. se l'edificio è ancora esistente, ed è perfettamente legittimo nello stato in cui è, a mio parere è possibile demolirlo e ricostruirlo con superfici inferiori, anche se superiori a quelle massime ammissibili nel lotto, purché si tratti di ricostruirlo all'interno o comunque in modo similare alla sagoma esistente. L'intervento edilizio potrebbe pure ricadere nella ristrutturazione edilizia ma, sinceramente, viste anche le dimensioni in gioco, è una cosa che attuerei mediante permesso di costruire: solo così, una volta rilasciato il permesso, puoi essere tranquillo della conformità di un intervento del genere.

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    2. Grazie mille per la celere risposta. Il fabbricato andrà delocalizzato per alcuni metri all'interno del lotto, quindi solo parzialmente all'interno della vecchia sagoma. Sicuramente avremmo richiesto un PDC, ma non trovo riscontro normativo in rete. A suo tempo al dipartimento dissero che le superfici assentite non le avrebbero perse, ma non trovo circolari o deroghe a questo. E purtroppo il Dipartimento è chiuso da quel che so.

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    3. il principio è quello della demolizione e ricostruzione: in tale intervento è generalmente possibile mantenere il volume originario e legittimo, altrimenti l'intervento non lo farebbe nessuno laddove comportasse adeguamento alle previsioni vigenti dei piani regolatori o delle zone territoriali omogenee.

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    4. Gentile Architetto. vorrei chiederle se è a conoscenza di una qualche sentenza tar, cassazione, consiglio di stato che in termini espliciti e diretti stabilisca che "il ripristino di edifici crollati e demoliti, se viene mantenuta la stessa sagoma lo stesso sedime e la stessa destinazione d'uso, non comporta il rispetto di intervenute norme di PRG".

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    5. veda se il nuovo comma 1-ter dell'art. 2-bis del DPR 380/01 fa al caso suo.

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  2. Gentile Architetto, per ricostruire un fabbricato diruto del quale si vedono ancora l'ingombro di tutti i muri perimetrali e la forma del tetto, e sia realizzato in un'area dove all'epoca della sua costruzione non serviva una licenza, non ci dovrebbero essere problemi se non per il fatto che bisogna dimostrare la corretta destinazione d'uso, giusto? E allora, in questo senso, in un terreno agricolo ritiene sia sufficiente rinvenire un vecchio camino? oppure è necessario che si trovi un atto notarile o altre testimonianze? Grazie come sempre

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  3. Marco buongiorno,
    la ricostruzione di struttura e manto del tetto parzialmente crollato di un fabbricato rurale (granaio), ricadente in area soggetta a vincolo paesaggistico "beni d'insieme (c,d)", rispettando sagoma e volume originario, rientra nella definizione di ristrutturazione edilizia leggera, o a tuo avviso può essere ricondotto anche a fattispecie minori come ad es. il restauro e risanamento conservativo "pesante"? Tenderei ad escludere in ogni caso la MS "pesante", visto che nell'allegato A del decreto SCIA 2 si parla chiaramente di "opere interne" per ciò che riguarda le opere strutturali.
    Grazie se potrai aiutarmi a chiarirmi le idee

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    1. probabilmente dipende dalla quantità delle porzioni interessate, ma per parlare di "ricostruzione" in ristrutturazione edilizia si deve avere un crollo generalizzato anche delle murature: finché si parla di copertura, secondo me, si può rimanere all'interno della definizione del risanamento conservativo

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    2. Grazie della risposta, anche secondo me l'intervento è qualificabile più come RC pesante che come RE leggera.
      Addirittura da più parti leggo che la riparazione e/o sostituzione della intera struttura di una copertura mantenendo tipologia, materiali e quote di imposta, viene qualificato come MS (pesante) in forza di quanto previsto dall'art.3 del DPR 380 "... le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, [...], sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico...".
      Io onestamente avevo escluso questa possibilità visto che nell'Allegato A, al punto 4 a proposito della MS pesante, si fa comunque riferimento ad "opere interne" che riguardano le parti strutturali di un edificio.

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Grazie per il commento. verifica di essere "nell'argomento" giusto: ho scritto diversi post su vari argomenti, prima di commentare controlla che il quesito non sia più idoneo ad altri post; puoi verificare i miei post cliccando in alto nel link "indice dei post". I commenti inseriti nella pagina "chi sono - contatti" non riesco più a leggerli, quindi dovrete scrivere altrove: cercate il post con l'argomento più simile. In genere cerco di rispondere a tutti nel modo più esaustivo possibile, tuttavia potrei non rispondere, o farlo sbrigativamente, se l'argomento è stato già trattato in altri commenti o nel post stesso. Sono gradite critiche e più di ogni altro i confronti e le correzioni di eventuali errori a concetti o procedure indicate nel post. Se hai un quesito delicato o se non riesci a pubblicare, puoi scrivermi in privato agli indirizzi che trovi nella pagina "chi sono - contatti". Sul blog non posso (e non mi sembra giusto) pubblicare le mie tariffe professionali: scrivimi un email per un preventivo senza impegno. Grazie.