Oggi un nuovo post per riflettere assieme ai lettori su una questione abbastanza delicata, che riguarda il superbonus 110% e la sua applicabilità nel caso di edifici in multiproprietà (condomini) in cui - come si sa e come si è visto - le difformità sono spesso diffuse sia all'interno che all'esterno dell'edificio. La norma sembra consentire di poter fornire una dichiarazione "limitata" alle sole "parti comuni" dell'edificio, ma siamo sicuri che è davvero così e, soprattutto, che implicazioni può comportare questa "limitazione" al momento di presentare l'agibilità?
attenzione: i contenuti del presente post sono stati superati in quanto il 1 giugno 2021 è stato pubblicato il D.L. 77/2021 che ha totalmente riscritto il comma 13 ter dell'art. 119 del DL 40/2020, attorno a cui girava tutta la riflessione qui svolta. Il post lo mantengo pubblicato per futura memoria, mentre per i contenuti innovati, vi rimando a quest'altro post.
sintesi di questo post: riflessioni attorno alla possibilità che le asseverazioni dei tecnici sul super-ecobonus siano limitate alle "parti comuni degli edifici" ed eventuali scenari collegati. ma tutto ciò come si relaziona con l'agibilità che andrebbe chiesta a fine lavori?
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su cosa sia una difformità edilizia su questo blog ne ho parlato molto, non saprei neanche quali post suggerirvi ma se siete proprio digiuni su cosa sia la legittimità edilizia e quali possano essere delle difformità riscontrate rispetto ad essa, posso suggerirvi questo post. Più di recente, il Legislatore ha introdotto una importante definizione - prima assente - di legittimità edilizia nell'ordinamento (attuale art. 9 bis comma 1 bis DPR 380/01), che, pur non introducendo concetti nuovi, ha comunque consolidato la prassi prevalente già in vigore: di questo ne ho parlato qui ed anche su diversi webinar svolti assieme al Collegio Geometri di Roma e con l'Ordine degli Ingegneri di Roma.
Sul perché la legittimità edilizia è importante rispetto all'ecobonus 110%, è presto detto: per poter usufruire di questa agevolazione, così come di qualunque altra agevolazione, è essenziale che la stessa sia fruita su opere autorizzate con un titolo edilizio legittimo: un titolo non è mai legittimo se si poggia su una preesistenza illegittima, da cui la necessità che l'edificio su cui si operi sia urbanisticamente legittimo. tutto ciò è sancito dall'art. 49 del DPR 380/01, che era in vigore da ben prima l'introduzione di questo nuovo bonus. Del perché la questione sia venuta fuori solo adesso non saprei dire, giacché la questione si applica a qualunque incentivo fiscale, fosse anche il "semplice" bonus ristrutturazioni 50%.
Non si sa appunto come e perché, ma adesso il tema della legittimità è endemico e l'Italia si è scoperta abusiva: chi fa il mio mestiere già da prima sapeva che ogni 10 fabbricati su cui si analizza la conformità, uno è (forse) perfettamente conforme mentre nove hanno livelli di difformità che vanno dal facilmente gestibile al drammaticamente insanabile, e questo non (solo) per colpa delle "solite" verande abusive o trasformazioni effettuate sui singoli appartamenti ma proprio per una consuetudine diffusissima nel nostro paese che avevano (hanno) i costruttori di presentare un progetto ma poi costruire un edificio in tutto o in parte differente, senza presentare varianti. Già in tempi non sospetti avevo infatti evocato la necessità di un quarto condono edilizio, mirato e chirurgico, unico strumento idoneo a gestire delle situazioni altrimenti imbarazzanti, di fronte ai quali gli attuali proprietari sono spesso incolpevoli ma anche impotenti.
Per limitare l'endemicità del fenomeno, il Legislatore, dopo pochi mesi dal "lancio" della norma del super-ecobonus, ha cercato di "mettere una toppa" introducendo la definizione secondo cui l'asseverazione del professionista è "limitata" alle parti comuni dei fabbricati. La ratio della norma voleva - forse - essere quella di consentire di "girare attorno" alle situazioni di abuso (tipo una veranda o una porzione di fabbricato illegittima) e di limitare l'intervento alle sole parti "legittime" ma in verità, da come è stata formulata la norma, ne emerge che il tecnico può limitare l'asseverazione alle parti comuni ma considerate nella loro interezza (perché lessicalmente le "parti comuni" sono legate ai "fabbricati" e non a loro porzioni) e, dunque, si tratta di una norma che, da come si può leggere, serve solo a limitare le verifiche urbanistiche alle parti comuni (facciate esterne, vano scala, lastrici, locali tecnici, etc) ignorando le parti private (interno degli appartamenti, dei box, dei locali commerciali).
tali riflessioni scaturiscono dallo stesso testo normativo del comma 13 ter art. 119 DL 34/2020 (fonte: normattiva.it):
13-ter. Al fine di semplificare la presentazione dei titoli abilitativi relativi agli interventi sulle parti comuni che beneficiano degli incentivi disciplinati dal presente articolo, le asseverazioni dei tecnici abilitati in merito allo stato legittimo degli immobili plurifamiliari, di cui all'articolo 9-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e i relativi accertamenti dello sportello unico per l'edilizia sono riferiti esclusivamente alle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi.
Analizziamo un attimo la costruzione grammaticale della frase di questo comma: la frase finale parla di "alle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi": scritta così, indica che la verifica di legittimità va fatta sulle parti comuni - prese nella loro interezza - degli edifici che sono interessati dagli interventi, anche se gli stessi si attueranno solo su una percentuale limitata di queste superfici comuni. Se il legislatore avesse voluto dire che l'asseverazione è limitata effettivamente alle parti comuni oggetto di intervento, avrebbe scritto "alle parti comuni degli edifici interessate dai medesimi interventi". può una letterina cambiare così tanto il significato? secondo me sì, visto come le norme vengono - giustamente - lette dalla Giurisprudenza. Vista la prima parte della frase, comunque, si può cogliere che - forse - l'intenzione del legislatore era effettivamente quella di limitare la verifica alle sole parti comuni interessate da interventi, ma la formulazione finale, ripeto, a me sembra vada letta in quest'altro senso.
il comma 13-ter è stato introdotto dal DL 104/2020 art. 51 comma 3-quinques e poi è stato oggetto di errata corrige con L. 126/2020 (perché era stato scritto titoli abitativi invece ti titoli abilitativi).
Tutto ciò aiuta? avrebbe aiutato se fosse stato scritto interessate invece di interessati? secondo me, no. O, meglio, (sempre secondo la mia modesta opinione che può essere benissimo smentita) aiuta chi vuole porsi un po' sul filo del rasoio, come vedremo. Intanto, si noti che la definizione del comma 13-ter fa espresso riferimento alla neo introdotta definizione di legittimità edilizia (art. 9 bis DPR 380/01) di cui accennavo sopra.
In subordine, andrei a notare un discrimine ambiguo: le asseverazioni tecniche sono sempre insite in ogni intervento edilizio che richieda la presentazione di un titolo edilizio, qualunque esso sia, dunque perché questa norma dovrebbe valere - come obiettivamente vale, facendo espresso riferimento agli interventi di cui "al presente articolo", cioè il 119 - solo per il super-ecobonus 110%? perché un condominio che volesse optare per una "normale" detrazione 85% per ecobonus+sismabonus non dovrebbe poter usufruire di questo "beneficio" se di ciò si tratta?
vediamo comunque le implicazioni di questa possibilità di limitazione alla dichiarazione da rendere. Partiamo dal presupposto che io non stia sbagliando nell'interpretare la questione secondo cui per "parti comuni di edifici" sia da intendersi l'interezza delle parti comuni, prese nella loro interezza ed intero sviluppo, qualunque esse siano (anche il corridoio cantine del piano interrato, ad esempio), di un qualunque edificio interessato dagli interventi del super-ecobonus: il tecnico dovrà rilevare e verificare la conformità di tutte le parti comuni, quali esse siano: facciate verso esterno, facciate su corti interne; androne, vano scale, lastrici, locali tecnici o stenditoi comuni, eventuali corridoi cantine, locali caldaia, etc. Nel fare ciò, in particolare riguardo alle facciate, dovrà verificare che le aperture e gli aggetti (cioè finestre e balconi) siano conformi al progetto edilizio o agli eventuali titoli di trasformazione successiva.
E fin qui ci siamo.
Ma come ci si può porre nella verifica di legittimità senza sapere cosa c'è dietro a quelle finestre? mettiamo il caso - davvero frequente - che si riscontrino difformità tra la gerarchia delle aperture di progetto e quelle reali, ed ipotizziamo che le finestre realizzate siano più piccole di quelle di progetto: io potrei sanare questa difformità astrattamente presentando una istanza di accertamento di conformità per ristrutturazione edilizia (in particolare, sulle variazioni di prospetto e relative semplificazioni introdotte dall'omonimo decreto di Luglio 2020, potete leggere quest'altro mio post) ma come faccio ad essere sicuro che quella finestra, anche più piccola di quella di progetto, non abbia creato dei problemi ai rapporti aeroilluminanti degli ambienti interni che sono serviti dalla luce di quella finestra? la legge apparentemente mi dice che io posso scindere la verifica degli esterni da quella degli interni, ma laddove io autorizzassi urbanisticamente una finestra più piccola, se questa produce un ambiente interno che non rispetta le norme igienico-sanitarie (leggi: rapporti aeroilluminanti) io come tecnico avrei inserito una dichiarazione non veritiera all'interno del titolo edilizio (perché noi tecnici nelle nostre ampie dichiarazioni andiamo ad asseverare che le opere che stiamo progettando - siano esse da fare o già fatte - rispettano tutta la pluralità delle norme sovraordinate ed eventuali implicazioni incrociate.
Altro aspetto a mio parere critico, ma su cui si può discutere, ed è quello dell'agibilità. A valle di un intervento di efficientamento energetico è sempre necessario procedere all'aggiornamento dell'agibilità, altrimenti l'edificio non potrebbe essere utilizzato per lo scopo per cui è destinato (lasciamo stare il fatto che nessuno verifica questa circostanza, ma la legge parla chiaro). tale adempimento è evidentemente in carico all'interessato ai lavori, nel senso che il tecnico progettista o direttore lavori non è dalla legge obbligato all'agibilità: il legislatore ha attribuito all'interessato agli interventi questa incombenza; tuttavia, per come è scritta la norma, il direttore lavori, se nominato, non potrebbe sottrarsi dal sottoscrivere la relativa relazione asseverata (a meno che non lo abbia espressamente escluso scrivendolo nell'incarico), quindi in buona sostanza il tecnico rimane comunque legato all'agibilità. Ora, se avete asseverato la legittimità limitatamente alle parti comuni, al momento di depositare l'agibilità, dove bisogna dichiarare la conformità del fabbricato nella sua interezza (spazi privati compresi), come si fa? il comma 13-ter indica che è nel titolo edilizio che può fornirsi l'asseverazione parziale, ma nulla dice riguardo all'agibilità, e nulla potrebbe, perché l'agibilità è da sempre una dichiarazione che afferisce al fabbricato nel suo complesso (o porzioni di esso "funzionalmente autonome", definizione che non può essere limitata alle parti comuni) ed alla sua rispondenza alle norme sovraordinate, non per ultime quelle igienico-sanitarie che riguardano l'interno delle abitazioni.
Soffermiamoci un attimo sul concetto di porzioni "funzionalmente autonome" del fabbricato: l'attuale norma consente di presentare agibilità "parziali" ma solo laddove le stesse riguardano "porzioni funzionalmente autonome": può una facciata presa da sola essere una "porzione funzionalmente autonoma" di un fabbricato? a mio parere, no. per autonomia funzionale appare chiaro riferirsi a locali o immobili utilizzabili e sfruttabili per scopi specifici: una facciata presa da sola non è un immobile autonomo: ne consegue che - sempre a mio smentibile parere - non potrebbe replicarsi la dichiarazione parziale del titolo edilizio nella successiva agibilità.
Qui si potrebbe, però, aprire un grande tema, di cui effettivamente non ho trovato riscontro su sentenze o specifiche ministeriali: è veramente necessaria l'agibilità ai fini della fruizione degli incentivi fiscali? la legge genericamente parla di titoli abilitativi (anche le norme fiscali) e, anche se a volte è stata confusa con questi, l'agibilità è una cosa a sé stante: i "titoli abilitativi" sono quelli di cui al titolo II del DPR 380/01, mentre l'agibilità è il titolo III. Appare però a mio parere chiara una cosa: un tecnico che fornisce una asseverazione parziale su un fabbricato, non sarebbe in grado di fornire la stessa dichiarazione in una procedura di agibilità, a meno che così non disponga espressamente una specifica norma. Il DPR 380/01 comunque parla dell'agibilità come un obbligo e non come una facoltà e, anzi, in passato il non presentare la domanda di agibilità dopo i lavori era considerato addirittura un reato penale (poi ridimensionato alla vigente sanzione inferiore ai 500 euro); più di recente, poi, si sta consolidando l'idea che si possono vendere gli immobili anche in assenza di agibilità, ma questa è un'altra storia, non priva di implicazioni e colpi di scena.
In sintesi, il legislatore ha fatto una cosa buona e giusta con il super-ecobonus, ma forse era il caso di rivedere le norme edilizie nel loro complesso e non inserire delle toppe che rischiano di coprire solo parte del buco.
ovviamente, quanto qui scritto è frutto di riflessioni personali che possono risultare sbagliate o che potrebbero essere superate da interpretazioni ministeriali o dell'agenzia delle entrate, dunque fate riferimento a quanto qui riportato a vostro esclusivo rischio e pericolo: questo blog è un luogo di riflessione comune, dunque se qualcuno avesse desiderio di esprimere opinioni o di fornire elementi che possono corroborare o smentire quanto sopra scritto, avrei piacere che lo facesse scrivendo nei commenti qui sotto.
Buonasera collega, ormai da qualche tempo sto cercando di capire soprattutto l'aspetto relativo alla regolarità urbanistica riferita all'intero immobile o solo della parte interessata dagli interventi. Concordo con quanto dettagliatamnte scritto ma non capisco perchè posso limitare il mio intervento ad un minimo del 25% delle superfici opache ma dimostrare la regolarità dell'intero edificio. I Tecnici di alcuni Comuni mi dicono che posso eseguire tranquillamente i lavori su un edificio anche se presenta delle difformità urbanistiche, l'importante è limitare l'intervento esclusivamente alle parti regolari. Vorrei capire a questo punto come dovremmo comportarci.
RispondiEliminasecondo me è legittimo effettuare interventi su solo delle porzioni dei manufatti, ma è in verità la norma introdotta che ha creato più scompiglio rispetto a quanto - forse - volevano dire. In ogni caso, la "dichiarazione parziale" in urbanistica non esiste: la verifica deve riguardare l'oggetto degli interventi, e va vista alla lunga già in relazione a quello che si dovrà dichiarare in sede di agibilità.
EliminaBuonasera collega, voglio porti un quesito che forse è interessante e che riprende alcuni temi legati alla conformità urbanistica a fronte della necessità di fruizione di agevolazioni fiscali. Mi trovo a dover certificare lo stato legittimo di un fabbricato costruito in totale assenza di licenza. Successivamente alla costruzione (1978) sono state presentate tante domande di condono ex 47/85 quante sono le unità immobiliari. In sostanza ognuno si è condonato il proprio appartamento, ritirando in seguito relativa concessione in sanatoria. I fascicoli dei singoli condoni non menzionano mai le parti comuni del fabbricato, intese come volumetrie e superfici. In pratica è come se nessuno si sia preoccupato di sanare le SNR di androne, viale d'ingresso, aree di manovra del piano box, rampa carrabile, anditi, vano scale, vano ascensore, volumi tecnici e lastrico solare condominiale. A questo punto mi chiedo e ti chiedo. Come fare? A mio giudizio si dovrebbe procedere con un PdC in Sanatoria ex art. 36 che "inglobi" tutte le concessioni in sanatoria e che ricomprenda anche tutte le parti comuni (restituendo così elaborati unitari per prospetti, sezioni e planimetrie del lotto e delle coperture) cercando di ottenere un PdC in sanatoria che faccia "ripartire" all'anno 0 la legittimità di ciò che esiste. Altrimenti non vedo altri modi per uscirne.
RispondiEliminaAltra domanda. In alcune di queste concessioni il richiedente otteneva la sanatoria per la superficie residenziale e quella non residenziale che riguardava i balconi privati ed eventuali box auto al piano S1. Si cita però in concessione solo 1 planimetria catastale omettendo spesso quella del box. Queste concessioni, per risultare corrette ed inattaccabili, devono essere assoggettate a rettifica? Uno dei condomini la rettifica ce l'ha per la sua concessione, dovuta proprio al fatto che era omessa una delle planimetrie e al momento del rogito è stata fatta questa correzione. Ritieni che sia necessario correggere tutte le concessioni con questo "vizio"?
Ultimissima. Le planimetrie allegate alla domanda di condono sono ovviamente disegnate come all'epoca era solito fare (1985) e quindi sono molto scarse di informazioni e fatte tutte in batteria. Le finestre ad esempio sono disegnate in pianta tutte uguali tra loro. Nella realtà però gli appartamenti hanno molte finestre a bandiera, mentre altre sono molto grandi e sono porte finestre. Questi dettagli non sono né visibili né desumibili da questi elaborati catastali. Hanno semplicemente condonato disegnando bucature con una linea e via. Sono queste difformità da prospetto? Vanno sanate con art. 37 (o 36 come tu sostieni nel tuo libro)?
Spero di non chiederti troppo e scusa per la lungaggine dell'intervento.
un caso simile è capitato anche a me: anche io ero arrivato alla conclusione che le parti comuni dovevano ritenersi non condonate ma, al massimo, dichiarate come superfici assentite (anche se questo non le "eleva" a spazi ufficialmente condonati, a mio parere), dunque a mio parere sì, sarebbe opportuno procedere con un art. 36 per sanare le superfici non coinvolte (le quali non dovrebbero sviluppare SUL, quindi sono astrattamente sanabili, ma attenzione alle distanze tra costruzioni ed a tutti gli altri fattori che, non operando nell'ambito delle deroghe di condono, devono essere verificati rispetto alle norme in vigore non derogate). per quanto riguarda la mancata rispondenza tra dichiarazioni e planimetrie, non saprei, andrebbe visto per bene il fascicolo, comunque il box in linea teorica avrebbe dovuto essere oggetto di istanza di condono a sé stante. per quanto riguarda le superfici condonate ed i disallineamenti tra disegni di condono e realtà, secondo me bisogna sanare o valutare l'applicazione del principio delle tolleranze.
Eliminabuongiorno colleghi,
RispondiEliminacondivido le riflessioni del collega Campagna, circa le problematiche o incertezze di un aggiornamento di agibilità di singole unità immobiliari costituenti un condominio, dopo aver eseguito interventi afferenti al superbonus e dopo aver verificato la legittimità delle sole parti comuni del condominio, il punto merita un'ulteriore riflessione e approfondimento. Potrebbe rendersi anche necessaria la possibilità di lasciare l'aggiornamento dell'abitabilità alla volontà del singolo proprietario previa regolarizzazione delle difformità delle parti interne alla u.i.
Invece, per gli aspetti legati ai benefici fiscali vorrei evidenziare che il secondo periodo del comma 1 dell'art. 49 del DPR 380 puntualizza: ........"Il contrasto deve riguardareviolazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano persingola unità immobiliare il due per cento delle misure prescritte, ovvero ilmancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programmadi fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati diesecuzione." . Secondo quanto puntualizzato nell'articolo 49, le violazioni che inficiano il beneficio delle agevolazioni fiscali sono modifiche di altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta, destinazioni, allineamenti, conseguentemente difformità molto frequenti (quali ad esempio una diversa distribuzione spazi interni o un soppalco non praticabile senza incremento di sul), all'interno di u.i. di un edificio plurifamiliare non pregiudicano il beneficio delle agevolazioni fiscali su interventi da eseguire su parti comuni di un condominio. In merito avrei piacere di un riscontro e considerazione da parte del collega Campagna e degli altri colleghi pazienti e pieni di buona volontà :).
la considerazione è corretta: la Legge sembra specificare che l'agevolazione si perde in quei casi in cui non si può parlare di tolleranze esecutive, anche se non vi è espresso rimando all'art. 34 bis, ma il concetto sembra essere il medesimo. Tutto ciò però va in contrasto con un altro principio, che è quello secondo cui l'agevolazione, per essere fruibile, deve comunque basarsi su un titolo edilizio legittimo: un titolo potrebbe ritenersi non legittimo nel momento in cui non vi è la legittimità edilizia: e qui torniamo, però, al punto di prima: se il fabbricato rientra già nei limiti di tolleranza, allora non può ritenersi illegittimo.
EliminaGentile Marco,
RispondiEliminagrazie sempre per la tua disponibilità e le osservazioni puntuali, anche il tuo libro non è da meno. Sto valutando gli interventi su un villino isolato con corte comune risalente agli anni '20 (accatastamenti del 1939) e composto da tre unità immobiliari poste rispettivamente al piano S1, T e 1.
L'immobile si presenta in pessimo stato di conservazione e non è pertanto fruibile. Le condizioni di degrado riguardano le strutture, le finiture, gli infissi e gli impianti.
La proprietà ricade all'interno degli edifici individuati nell'elaborato G1: “Carta per la qualità” come “Opere di rilevante interesse architettonico o urbano”.
Nell'elaborato G2 “Guida per la qualità degli interventi” sono riportate le indicazioni per la conservazione e la trasformazione delle suddette opere:
“sono consentiti solo gli interventi della gamma compresa tra la Manutenzione ordinaria e il Restauro e risanamento conservativo. Gli interventi di Ristrutturazione edilizia di tipo RE1 senza variazione di tipologia e di sagoma sono consentiti ove necessario, ma è importante porre l'accento sulla necessità di non alterare - ma anzi di qualificare - gli spazi di relazione tra gli edifici. L'eventuale uso degli interventi di tipo RE1 con variazione di tipologia e/o di sagoma senza ampliamento della SUL, che per loro natura possono incidere proprio sulla configurazione di questo genere di spazi, sono consentiti solo se indispensabili”.
Alla luce di quanto sopra chiedo conferma di quanto segue:
- non è possibile la demolizione e ricostruzione in ristrutturazione ma solo la RE1 o Restauro e risanamento conservativo: in quest'ultimo caso si fruirebbe comunque del 110%?
- si potrebbe sfruttare il sismabonus integralmente, per l'ecobonus andrebbe immaginato necessariamente un cappotto interno in quanto non si possono modificare i prospetti?
- i piani sono tutti accatastati all'origine (1939) come residenziali. Posso considerare a tutti gli effetti gli accatastamenti come elementi comprovanti la legittimità urbanistica? Sia nel caso di Restauro e risanamento conservativo che nel caso di RE1, potrebbe essere mantenuto l'uso residenziale del piano s1 in quanto non subirebbe variazioni?
Grazie mille.
Riccardo
anzitutto, farei attenzione alla legittimità: anche se degli anni 20, probabilmente ha un progetto edilizio originario, ed è a quello a cui deve riferirsi tale verifica, non al catastale (ci si può riferire a questo solo se vigono i presupposti dell'art. 9 bis comma 1 bis). per il resto, la RE1 di città storica ha una dizione un po' più ampia della RE1 generica, e comprende anche interventi di "valorizzazione" così genericamente descritti che possono sconfinare, occorrendo, anche in cose che "normalmente" ricadrebbero in RE2 (anche il Dipartimento ha emesso qualche parere estemporaneo in tal senso, talvolta). ad ogni modo, è chiaro che il progetto va visto in dettaglio: per il cappotto interno, è sempre possibile tecnicamente ma bisogna approfondire se può essere portato nel 110% visto che non sarebbe intervento strettamente definibile come eseguito sulle "parti comuni". ad ogni modo penso si possa spingere sul fatto che, trattandosi di immobile in cui la trasformabilità è limitata, si può evocare il principio secondo cui si possono portare in detrazione anche solo gli interventi trainati, con la dovuta attenzione ed operando con le dovute procedure.
EliminaSalve, complimenti come al solito......nel caso di Ecobonus 110% edificio condominiale (cappotto) verranno eseguite anche delle opere trainate come la sostituzione degli infissi esterni: in questo caso secondo me operando (nella sola sostituzione infissi) nelle singole unità imm. (fatturazione al singolo condomino) la legittimità deve essere estesa anche alla singola unità immobiliare non solo alla facciata (parte comune); che ne pensa?
RispondiEliminaE nel caso di totale sostituzione degli infissi dell'intero condominio con fatturazione al condominio ??
(Grazie infinite per il lavoro che fa!!)
concordo. io comunque, di fatto, estendo sempre le verifiche anche ai singoli appartamenti, perché secondo me anche solo operando sulle parti comuni, scindere la verifica della conformità non ha senso. difatti nei miei preventivi ai condomini vado sempre fuori mercato, ma non mi importa: sono argomenti difficili da spiegare e difficili da comprendere, ma le problematiche che possono emergere sono devastanti.
Eliminagrazie architetto, è sempre un arricchimento poter leggere di esperienze professionali dirette e considerazioni ponderate.
RispondiEliminaSe possibile le vorrei chiedere una cosa: nel mio condominio abbiamo affidato a uno studio di ingegneria lo studio di fattibilità per il 110%, che è nella fase di acquisizione dati catastali e urbanistici. Da un report fornito dall'ingegnere emerge che l'immobile è privo di fascicolo del fabbricato e che in questo momento è in stand by a fronte della mancata consegna da parte dell'amministratore di ulteriore documentazione necessaria alla verifica, ovvero la licenza edilizia e il certificato di agibilità. Nel caso il condominio ne fosse privo , l'ingegnere procedera con 1 ispezione ipocatastale alla conservatoria di roma.
Le vorrei chiedere se è ''normale'' che l'amministratore del condominio, in cui sono stati fatti lavori edilizi con permessi SCIA e ovviamente atti di compravendita, non abbia la licenza edilizia e il certificato di agibilità.....???
grazie se vorra rispondermi
non saprei dire se gli amministratori sono tenuti ad acquisire e conservare questi documenti, ma sarebbe buona regola. Comunque, questo ecobonus almeno fornirà l'occasione per molti di acquisire questi documenti importanti.
EliminaBuona sera architetto le volevo porre un quesito relativo al possibile utilizzo del bonus 110%; io abito in in condominio che non ha interesse ad usufruire di questo bonus è contemporaneamente non pone ostacoli se un singolo condomino lo vuole utilizzare; io abito al terzo ed ultimo piano e il soffitto del mio appartamento costituisce l'ultimo solaio ,non praticabile, della palazzina; la proprietà del solaio è comune ai condomini;vorrei realizzare l'isolamento termico di tale solaio che di per sé costituisce più del 25% delle superfici opache del mio appartamento.Visto che la dispersione termica con i relativi maggior consumi cmq riguardano la mia abitazione secondo lei posso usufruire di questa agevolazione? Grazie e cordiali saluti
RispondiEliminala norma è abbastanza chiara quando specifica che il 25% minimo deve riferirsi al totale delle superfici disperdenti del fabbricato, e non a quelle della singola unità. tutto ciò a meno che non si tratti di un immobile funzionalmente autonomo.
EliminaLa ringrazio molto della cortese risposta anche se purtroppo non rispecchia le mie aspettative
RispondiElimina.