Il Decreto Semplificazioni n°76/2020, di cui ho già parlato qui ed anche qui e che è stato convertito con Legge 120/2020, ha introdotto diverse novità, anche nel senso di incentivare gli interventi di sostituzione edilizia. tuttavia, nelle zone A questa condizione è molto peggiorata rispetto alla versione delle norme prima del Decreto: vediamo perché.
Immagine da Pixabay |
Il D.L. 16 luglio 2020 n°76 va a sostituire gli ultimi due periodi della lettera d) comma 1 art. 3 del DPR 380/01 non stravolgendo radicalmente l'impostazione normativa ma introducendo delle specifiche ancora diverse rispetto a prima. Anzitutto, viene estesa la definizione di ristrutturazione anche alle demolizioni e ricostruzioni che contemplano variazione della collocazione dell'edificio nel lotto, ovvero differente sedime: ciò, secondo alcuni, è stata la risposta del legislatore alla sentenza della Corte Costituzionale n°70/2020 (ne ho parlato qui, in fondo al post).
La demolizione e ricostruzione dunque ad oggi può rientrare nella ristrutturazione edilizia anche se prevede incrementi volumetrici, purché consentiti dalle norme vigenti anche per la rigenerazione urbana (e, attenzione, solo in questo caso: negli altri rimane un intervento di ampliamento facilmente rientrante nella nuova costruzione), ed in ciò si allaccia alla nuova formulazione del comma 1 ter art. 2 bis, sempre modificato dal medesimo decreto Legge, che consente le deroghe alle distanze anche in caso di ampliamenti, se operati attraverso demolizione e ricostruzione.
Negli immobili soggetti a vincoli istituiti ai sensi del Codice dei Beni Culturali (da intendersi ricompresi tutti i vincoli sia della parte II che della parte III del testo), nonché – novità della nuova formulazione di luglio 2020 – anche nelle zone territoriali di tipo A, la demolizione e ricostruzione, nonché il ripristino di edifici non più esistenti, rientra nella ristrutturazione edilizia solo dove non comporta modifica della sagoma, dei prospetti, dell'area di sedime, e, inoltre, solo laddove non contempla ampliamento volumetrico. Il vincolo al rispetto anche dei prospetti è anche lei una novità della versione di luglio 2020. Rispetto alla formulazione previgente, questa nuova è maggiormente stringente nei contesti vincolati e, soprattutto, amplia queste restrizioni anche alle zone territoriali di tipo A, le quali in alcune realtà locali, come ad esempio Roma, sono particolarmente estese anche oltre al "centro storico" propriamente detto.
Tutte queste specifiche di cui sopra vanno lette sempre assieme all'art. 10 comma 1 lettera c) che specifica gli interventi che sono soggetti a permesso di costruire o SCIA ad esso alternativa. La lettura combinata dei testi art. 3 comma 1 lett. d) e art. 10 comma 1 lett. c) modificati dal DL 76/20 può apparire contraddittoria: da un lato nel nuovo art. 3 c. 1. let. d) (di cui si riporta un estratto del testo vigente: “Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela [...], nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria; ”), come visto, non fa rientrare nella ristrutturazione edilizia gli interventi su beni vincolati e/o siti nelle zone A che comportano modifiche della sagoma, del volume e dei prospetti, mentre l'art. 10 c. 1 lett. c) (di cui si riporta un estratto del testo vigente: “ gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. ”) li fa rientrare tra gli interventi assoggettabili a permesso di costruire o SCIA alternativa.
La contraddittorietà però va letta in altro modo: da un lato, si sta parlando degli interventi strettamente definiti di demolizione e ricostruzione "di edifici" che, se aventi talune caratteristiche, possono rientrare nella definizione di ristrutturazione edilizia; dall'altra invece, l'art. 10 comma 1 lett. c) specifica in via generale, quindi non solo relativamente alle dem-ric, gli interventi che possono essere assoggettati a SCIA alternativa, che non esclusivamente quelli di RE: la demolizione e ricostruzione di edifici con diverse caratteristiche di edifici sottoposti a vincolo dunque non rientra nelle categorie della RE (perché lo esclude l'art. 3 c. 1 lett. d) ma sembrerebbe soggetto comunque alle opere autorizzabili in SCIA alternativa.
Ciò significa che a tutti gli effetti, ad oggi, quelli di dem-ric con modifica di volume e sagoma di beni vincolati non sono interventi di ristrutturazione, pur rientrando comunque nell'alveo della SCIA alternativa al PdC. Tuttavia, siccome nella formulazione innovata dell'art. 10 non c'è il riferimento alle zone territoriali di tipo A che invece è stato introdotto nell'articolo 3, potrebbe dedursi che, ad oggi, gli interventi di dem-ric con diversa sagoma e aumento di volume in queste zone non siano autorizzabili con SCIA alternativa perché non espressamente ricompresi nella lettera c) e, parallelamente, espressamente esclusi dalla definizione di “ristrutturazione”: ciò peraltro sembra collimare con il fatto che l'art. 2 bis comma 1 ter indica che una dem-ric di qualunque tipo in zona A non può essere effettuata se non nell'ambito di un programma di recupero urbano, ammesso che non sia già prevista dalla strumentazione urbanistica vigente; laddove la condizione di vincolo si somma a quella di risiedere in zona A, cosa assai frequente a Roma, dovrebbe applicarsi la disposizione più restrittiva che a questo punto è l'appartenere alla zona A.
Ho cercato di sintetizzare questi concetti in una tavola sinottica che allego:
Nella seconda censura del ricorso per motivi aggiunti le esponenti richiamano l’art. 2 bis d.p.r. n. 380/01 sotto altro profilo e, precisamente, per affermare che in zona A, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono ammissibili solo “esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati”.La deduzione di parte ricorrente, però, non tiene conto del disposto dell’art. 2 bis d.p.r. n. 380/01 il quale fa espressamente salva la previsione dello strumento urbanistico vigente il quale all’art. 25 comma 9 lettera b) NTA consente l’attuazione in modalità diretta degli interventi DR2 in zona A.
In sede di conversione in legge del decreto, avvenuta con la pubblicazione in Gazzetta della Legge 11 settembre 2020 n°120, la sostanza della norma non è stata mutata ma, invece, è stata aggiunta una ulteriore modifica che dovrà destare molta attenzione: oltre alle zone A, difatti, le prescrizioni restrittive delle dem-ric si applicheranno, sibillinamente, anche ad "ulteriori ambiti di pregio storico o architettonico", senza che vi sia parallelamente una individuazione dei criteri con cui detti "ulteriori ambiti" debbano essere individuati o chi debba farlo. Lasciando la dizione così generica, si rischia di poter individuare una caratteristica di "pregio storico o architettonico" praticamente ovunque. Questa circostanza, che aumenta l'incertezza di una situazione già non chiara, spero verrà meglio definita nei prossimi tempi; nel frattempo, consiglio di prestare attenzione nell'intervenire in tutti quegli immobili che, per una qualsiasi ragione, possano avere dei "caratteri di pregio" tali da rientrare nell'ampia definizione. a Roma, io farei attenzione agli immobili individuati in Carta per la Qualità.
Buonasera Architetto, ho un quesito inerente una demolizione e ricostruzione di un fabbricato concessionato in sanatoria, sito in città storica di Roma, che si configura negli ambiti di valorizzazione di tipo C (San Lorenzo) ed è in carta per la qualità nelle morfologie degli impianti urbani, ma non censito nel PTPR. Il cliente intende demolire e ricostruire con stessa sagoma e sedime il fabbricato, ma modificando i prospetti. L'art. 43, co. 3 delle NTA mi dice che in questo tessuto gli interventi di MO, MS, RC, RE sono consentiti in modalità diretta (quindi supponglo che DR vada obbligatoriamente in modalità indiretta). DR è consentito nelle categorie di intervento dell'ambito di valorizzazione C. Se seguissi le definizioni delle NTA delle 3 DR, non rientro in nessuna casistica in quanto DR 1 e 2 trovano applicazione nei tessuti della città storica di tipo T, ma non negli ambiti (DR 3 non prevede la ricostruzione). Considerando che si tratta di un capannone artigianale fatiscente, autorizzato appunto con concessione in sanatoria e non di pregio, a mio avviso, ma rientrante in morfologie degli impianti urbani, sarebbe verosimile agire con modalità diretta? Essendo espressamente la DR prevista nel piano.
RispondiEliminaGrazie anticipatamente, un saluto