martedì 23 agosto 2022

autorizzazione paesaggistica e titolo abilitativo

Quando si deve realizzare un intervento edilizio su un area vincolata, che sia un opera invasiva come una nuova costruzione o un intervento più modesto come modifica di finestre o finiture, occorre prestare attenzione, oltre all'aspetto prettamente edilizio, anche a quello specifico previsto dal vincolo. Il rapporto tra procedura autorizzativa edilizia e vincolistica rimane sempre distinto e separato: in questo post parlerò del rapporto tra i due tipi di procedura e di autorizzazione.

Foto di libero utilizzo da Pixabay


il DPR 380/01 già di per sé è abbastanza chiaro e sintetico nel merito di interventi edilizi su aree vincolate (ad esempio nell'art. 22 comma 6), in quanto laconicamente indica che l'eventuale presenza di un vincolo è affare esclusivo del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio: già questo assunto deve far comprendere che ogni ambito è gestito dalla normativa in modo autonomo ed indipendente, in quanto la parte autorizzativa edilizia è appannaggio del testo unico dell'edilizia, mentre la parte vincolistica segue le regole del Codice (d.lgs. 42/2004).

Tuttavia, al di là di questa chiarezza, nel tempo vi sono state interpretazioni che hanno portato a ritenere che questi mondi si toccassero in qualche modo, soprattutto quando, nello svolgimento dei processi amministrativi o penali, si doveva cercare di capire di chi fosse la colpa dell'eventuale assenza della prescritta autorizzazione del Codice. in effetti, quando si autorizza un opera che richiede il permesso di costruire, è comunque il comune che sviluppa una istruttoria, nella quale devono essere esaminati anche gli aspetti procedurali relativi alle varie norme che sottendono al mondo dell'edilizia: da qui in molti hanno iniziato a ritenere che in caso di permesso di costruire dovesse essere il comune l'ente preposto alla verifica che la pratica fosse completa anche delle autorizzazioni derivanti dalla presenza di un vincolo. Senz'altro era così ai tempi in cui si rilasciavano le licenze edilizie, quindi prima del 1967: in quel periodo effettivamente il comune svolgeva una istruttoria piena e si occupava di valutare i vari aspetti autorizzativi. Poi è avvenuto il lento processo evolutivo che ha portato allo stato attuale delle cose, dove molte delle responsabilità istruttorie sono spostate a carico del soggetto richiedente e del tecnico che assevera la relazione tecnica (non a caso, nelle licenze edilizie ante 1967 non esisteva una relazione tecnica a corollario della domanda): allo stato attuale, quindi, essendosi ribaltata la posizione, è nei fatti invece in carico al richiedente il dover comunicare al comune quali eventuali autorizzazioni vanno espressamente chieste.

L'affermazione contenuta nell'ultimo periodo del paragrafo precedente è mutuata da una importante sentenza della corte di Cassazione, sez. III Penale, n°9402 del 10 marzo 2020, che ha avuto ad oggetto una vicenda abbastanza complessa. In estrema sintesi, stando a quanto si capisce solamente dalla lettura del dispositivo, un imprenditore presenta una istanza di permesso di costruire, per realizzare dei capannoni industriali in una zona parzialmente coperta da un bosco: il comune svolge l'istruttoria senza preoccuparsi di eventuali vincoli ma, successivamente al rilascio del permesso, viene fuori che il bosco è tutelato ai sensi della normativa che è specificamente dedicata alla tutela di queste importanti aree, anche se il relativo vincolo non è riportato nei piani paesistici locali e né negli strumenti urbanistici. In sostanza, esisteva un vincolo paesaggistico che, però, non appariva in nessun documento ufficiale. Ciò, naturalmente, non significa che non valga ugualmente come vincolo. Quel che qui rileva di questa sentenza (già commentata per quanto riguarda il vincolo paesaggistico nella pagina di questo blog dedicata al vincolo delle aree boscate) è l'affermazione circa il fatto che titolo edilizio ed autorizzazione paesaggistica seguono ciascuno la propria strada, con l'unica precisazione che l'autorizzazione paesaggistica deve essere presupposta al titolo abilitativo, come chiaramente afferma il Codice dei Beni Culturali (art. 146 comma 4 "l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento [...]").

Di questa sentenza è forse più utile riportare un estratto:

Quand'anche all'epoca del commesso reato competesse al Comune, e non già alla Regione, il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica secondo la legge regionale toscana n.1 del 2005, ciò non toglie che trattasi di un titolo che mantiene la sua autonomia ad ogni effetto, ivi compreso quello sanzionatorio, rispetto al permesso di costruire: trattasi invero di due procedimenti distinti in ragione della diversità degli interessi presidiati dalle rispettive norme penali, finalizzati l'uno alla compatibilità dell'intervento edilizio volto ad incidere sul patrimonio paesaggistico e l'altro alla tutela dell'assetto urbanistico in conformità agli strumenti di pianificazione del territorio. La giurisprudenza tanto ordinaria quanto amministrativa ha avuto modo di sottolineare, con consolidato orientamento, che il procedimento di rilascio del permesso di costruire ha un rapporto di autonomia e non di interdipendenza rispetto al rilascio del parere ambientale, secondo quanto risulta dalla stessa lettera della legge (articolo 159, per la disciplina transitoria e articolo 146, Dlgs 22 gennaio 2004, n. 42), che prevede, per un verso, che l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti intervento urbanistico-edilizio e, per un altro, che i lavori non possono essere iniziati in difetto di essa (cfr. in termini la pronuncia del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 5016/2017, nonché Consiglio di Stato, Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4234 del 21 agosto 2013).

Dunque al richiedente il permesso di costruire che ha tentato di scaricare almeno parte della responsabilità sul comune, è stato nei fatti risposto che era sua responsabilità verificare ed indicare al comune che era necessario acquisire anche l'autorizzazione paesaggistica; anzi, in verità stando così le cose avrebbe dovuto lui richiederla autonomamente o comunque allegare alla richiesta di permesso di costruire i documenti necessari all'ottenimento dell'autorizzazione, al cui invio avrebbe poi provveduto lo sportello unico.

Vi sono poi altre sentenze, tutte interessanti, che toccano altri temi legati al rapporto tra titolo abilitativo e procedura di autorizzazione relativa ai vincoli del Codice.

Una ormai vecchia - ma concettualmente tuttora valida - sentenza del Consiglio di Stato, n°5513/2013, specifica un concetto abbastanza chiaro: i titoli abilitativi che si acquisiscono per silenzio (all'epoca della sentenza c'era ancora la DIA, oggi si deve far riferimento alla SCIA) si basano sulla veridicità delle dichiarazioni rese (del richiedente e del tecnico) ma ci sono degli ambiti che non possono essere autocertificati, come appunto la tutela dei beni culturali e paesaggistici. Ciò viene espressamente riportato nello stesso DPR 380/01 all'art. 22 comma 6, secondo il quale in caso di presenza di vincoli la SCIA (all'epoca della sentenza, la DIA) non acquista efficacia se non sono stati acquisiti gli atti di assenso dovuti ai sensi delle norme vincolistiche. In questa sentenza pertanto viene evidenziato un concetto specifico, cioè che in presenza di vincoli dei beni culturali o paesaggistici, le dichiarazioni rese in sede di presentazione del titolo comunque non possono valere come autocertificazioni del rispetto dei requisiti disposti dalla legge sui vincoli, perché questi devono essere gestiti mediante autorizzazioni autonome. ciò naturalmente non significa che non si può usare la SCIA per operare su un immobile tutelato ma, più semplicemente ed anche in questo caso, che la procedura di autorizzazione in presenza di un vincolo deve seguire una strada autonoma ed indipendente, tale per cui l'autorizzazione viene acquisita prima della presentazione o dell'efficacia del titolo.

La sentenza CdS n°3446/2022 vede la questione sotto un altro punto di vista, comunque interessante: la vicenda è quella di un fabbricato che è stato interessato da diversi titoli abilitativi, tra cui un condono, senza che si sia mai proceduto con autorizzazione paesaggistica, pur in presenza di vincolo. L'originaria questione, oggetto dell'appello, era il diniego della soprintendenza per opere di completamento del fabbricato, in quanto questa avrebbe specificato che non poteva pronunciarsi sul progetto perché non vi era conformità sotto il profilo paesaggistico. Il Consiglio di Stato ribalta questa tesi e specifica che anche se è vero che l'autorizzazione paesaggistica è atto autonomo e presupposto rispetto al titolo abilitativo edilizio, nel caso di specie, stante l'espressa volontà delle parti di sottoporre l'immobile ad una valutazione "ora per allora" dell'impatto paesaggistico, ha concluso invitando le amministrazioni coinvolte a voler rideterminare la procedura autorizzatoria, esprimendo una valutazione "ora per allora" che colmi le mancaze autorizzatorie: si valorizza il fatto che non si conoscono le ragioni per cui la commissione edilizia che si è espressa favorevolmente per il rilascio della concessione in sanatoria non abbia provveduto all'invio della documentazione alla Soprintendenza, e ciò rappresenta una sorta di "vuoto" procedurale che il Consiglio suggerisce possa essere colmato a posteriori. Questa possibilità di operare un rilascio parere ora per allora appare un po' anomala in quanto è (era) abbastanza pacifico che la legittimità edilizia si riverberasse anche attraverso quella paesaggistica: nel caso di specie invece sembra aprirsi alla possibilità che, in determinati contesti, sia possibile acquisire anche dei pareri ex post, laddove ne ricorrano specifici presupposti e laddove si riscontrino carenze procedurali.

La sentenza 3446/2022 è stata peraltro subito citata anche nella sentenza TAR Lazio n°10787/2022 a distanza di pochissimo tempo dalla pubblicazione, per affrontare un caso analogo: in particolare, viene annullato un atto di "improcedibilità" emanato dalla Regione Lazio, in quanto questa riteneva di non poter procedere al rilascio di una autorizzazione paesaggistica su un fabbricato oggetto di condono nella cui istruttoria non risultava presente la procedura di cui all'art. 32 L. 47/85. Conformemente alla sentenza del Consiglio di Stato, il TAR Lazio annulla l'improcedibilità della regione e rinvia alle amministrazioni gli atti, con indicazione di procedere ad una valutazione "ora per allora" dell'autorizzazione paesaggistica. Effettivamente possiamo dire quindi che si è aperto un nuovo fronte di interpretazione amministrativa.

Si ritiene utile citare in questo post anche una più recente sentenza Consiglio di Stato n°3006/2023 nella quale viene sostanzialmente indicato che il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica non deve necessariamente implicare la verifica dello stato legittimo dell'immobile, in quanto, dice il Consiglio, quella paesaggistica non è presente tra le autorizzazioni elencate dall'art. 9 bis comma 1 bis DPR 380/01 e che sono a fondamento dello stato legittimo. Ciò naturalmente non significa che si possono fare interventi illegittimi in caso di vincolo paesaggistico ma che, specificatamente, la legittimità edilizia non deve ricomprendere valutazioni inerenti le autorizzazioni paesaggistiche le quali afferiscono ad un ambito di competenza diverso da quello prettamente urbanistico.

8 commenti:

  1. C'è da dire che nel panorama edilizio Romano, è frequente imbattersi in condomini degli anni 60-70, che dispongono di regolare licenza edilizia, pur essendo privi di autorizzazione paesaggistica e trovandosi in area vincolata. Come sappiamo tale contraddizione significherebbe che l'edificio è privo di titolo edilizio, ossia abusivo, e pertanto risulterebbe insanabile dal momento che fino a poco tempo fa l'irregolarità paesaggistica non era in alcun modo sanabile ex post. Pertanto la sentenza 3446/2022 è estremamente utile, in qualche modo i giudici cercano di interrompere con il buonsenso, il loop normativo generato dall'intricarsi delle varie autorizzazioni. Quello che c'è da chiedersi è se sia possibile ora in via generale apporre tale sentenza 3446/2022, e procedere alla richiesta di autorizzazione paesaggistica ex post per quei condomini che ricandono in area vincolata, forniti di licenza edilizia ma privi di autorizzazione paesaggistica

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    1. come sappiamo le sentenze valgono solo per la specifica causa in cui intervengono; nel caso di specie viene indicata una possibile strada per la risoluzione di questioni assai spinose come quella evocata, ma non può ritenersi una "nuova regola".

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  2. Buonasera Architetto, le faccio i complimenti per il blog, sempre molto utile. Avrei da porle una domanda: Sto curando una ristrutturazione di un'unità abitativa sita in un edificio del centro storico di Itri (LT). Tale immobile, sito al piano primo, presenta un locale sul balcone con affaccio su strada, adibito a ripostiglio e che versa in stato di abbandono. Gli attuali proprietari vorrebbero demolirlo e ripristinare la continuità della facciata. Intanto, vorrei chiederle se tale volume di pertinenza possa, a suo parere, rientrare in quanto previsto dall'articolo A.12 dell'allegato A del D.P.R. n. 31 del 2017 e se quindi potrebbe ricadere in quegli interventi di demolizione dei volumi tecnici di pertinenza che non possiedono pregio storico, artistico o testimoniale, eseguibili in assenza di autorizzazione paesaggistica, considerando che l’immobile risulta in zona A2 ed è soggetto al solo vincolo paesaggistico.
    La ringrazio in anticipo,
    Laura

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    1. mi sembra di capire che si tratta comunque di un elemento di facciata, e, se collegato direttamente con degli ambienti interni, non dovrebbe essere considerato "accessorio" ma facente parte della "superficie utile". io andrei con autorizzazione, anche solo "per non sbagliare".

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    2. Buongiorno Architetto, la ringrazio. Il volume accessorio non è direttamente collegato agli spazi interni, ma vi si accede tramite il balcone della camera da letto, da quì nasceva la mia idea di poterlo considerare come una pertinenza. In questo caso sussisterebbe la possibilità di farlo rientrare nel precedente art. 12 dell'allegato A, oppure, secondo la sua esperienza, trattandosi di una modifica del prospetto, risulterebbe più cautelativo comunque richiedere autorizzazione con procedura semplificata? Grazie

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    3. mi sembra più cautelativo trattarlo come modifica di prospetto. in fondo anche un "volume tecnico" anche se sottratto al computo nella volumetria imponibile, rimane sempre una "costruzione" per il resto della normativa.

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  3. Salve architetto, la seguo spesso e mi auguro ritorni quanto prima a scrivere i suoi articoli sul blog.
    Le volevo chiedere un consiglio: nel mio condominio dobbiamo sostituire la vecchia caldaia anche perché l attuale locale caldaia non risponde ai requisiti della prevenzione incendi (dal 2015 non ha il cpi). L unico posto dove potere collocare la nuova caldaia e' sul terrazzo condominiale. Il direttore lavori, poiché il palazzo si trova all interno dell' area unesco (il palazzo non ha vincolo puntuale ma semplicemente si trova dentro alle mura aureluane), ha chiesto parere preventivo alla soprintendenza. Questi hanno detto che non possiamo metterla lì perché sennò dall alto il satellite che fa le foto vede questa bruttura... stiamo cercando di capire se mettendo magari 1 copertura o 1 tettoia gli può andare bene...perché loro si oppongono ma non danno soluzioni alternative. Che lei sappia ci sono dei riferimenti normativi che dicono che un bene di prima necessità, come il riscaldamento, non può essere assoggettato al parere della soprintendenza? Come agire bene lei? Grazie

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    1. I volumi tecnici in copertura sono sempre stati ritenuti elementi di grande impatto, comunque suggerisco di studiare una soluzione architettonica che possa risultare mitigata, oppure valutare la possibilità di sfruttare almeno parzialmente degli eventuali volumi esistenti. con l'occasione della sua cortese domanda, vorrei porre l'attenzione sul fatto che questa soluzione di mettere le caldaie sul tetto degli edifici è spesso affrontata con eccessiva leggerezza: in quanto volumi tecnici devono rispettare tutte le regole delle "costruzioni" dunque verifica delle distanze, delle altezze massime, ma anche sottostare alle disposizioni del genio civile (sopraelevazione?!) e devono essere realizzate solo dopo una rigorosa valutazione dell'effettiva non assoggettabilità ad ampliamento di SUL dell'intervento.

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Grazie per il commento. verifica di essere "nell'argomento" giusto: ho scritto diversi post su vari argomenti, prima di commentare controlla che il quesito non sia più idoneo ad altri post; puoi verificare i miei post cliccando in alto nel link "indice dei post". I commenti inseriti nella pagina "chi sono - contatti" non riesco più a leggerli, quindi dovrete scrivere altrove: cercate il post con l'argomento più simile. In genere cerco di rispondere a tutti nel modo più esaustivo possibile, tuttavia potrei non rispondere, o farlo sbrigativamente, se l'argomento è stato già trattato in altri commenti o nel post stesso. Sono gradite critiche e più di ogni altro i confronti e le correzioni di eventuali errori a concetti o procedure indicate nel post. Se hai un quesito delicato o se non riesci a pubblicare, puoi scrivermi in privato agli indirizzi che trovi nella pagina "chi sono - contatti". Sul blog non posso (e non mi sembra giusto) pubblicare le mie tariffe professionali: scrivimi un email per un preventivo senza impegno. Grazie.