sabato 29 febbraio 2020

l'edilizia sovvenzionata nella storia italiana

Nell'ambito delle ricerche effettuate per verificare se un immobile sia conforme o meno ai progetti precedenti, potreste esservi imbattuti in immobili che, pur essendo privati, hanno avuto in passato procedure di autorizzazioni presso il Ministero dei Lavori Pubblici: probabilmente, avete per le mani un edificio costruito con le sovvenzioni statali espressamente previste per l'edilizia economica e popolare.



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Il nostro Paese, come tutti gli altri, ha attraversato un periodo storico in cui si è resa necessaria una veloce realizzazione di case, sia per l'espansione della popolazione e la contestuale urbanizzazione (spostamento della popolazione dalle campagne alle città), sia per spingere verso il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, consentendo possibilmente anche alle persone meno abbienti di poter abitare in delle case dotate dei comfort di base e degli standard igienici minimi (fogne, gabinetti, acqua diretta, illuminazione naturale, riscaldamento, etc) che aiutassero ad evitare la proliferazione ed il diffondersi di malattie.

Data la grande povertà che caratterizzava le epoche del XIX e della prima metà del XX secolo, il criterio più semplice all'epoca da applicarsi era quello secondo cui lo Stato Italiano contribuisse direttamente alla costruzione degli immobili con delle elargizioni economiche a fondo perduto o con la concessione di mutui a tasso agevolato, o ancora con la partecipazione economica alle rate del mutuo, o anche con tutte queste misure applicate contemporaneamente sul medesimo edificio.

In via generale, per poter accedere a questi contributi le costruzioni dovevano avere caratteristiche "popolari", cioè avere caratteristiche non di lusso stabilite di volta in volta nelle varie leggi, e occorreva soprattutto costituirsi in cooperative. Le cooperative generalmente erano costituite da soggetti provenienti dallo stesso luogo di lavoro, molto spesso da dipendenti di enti statali, ministeri, od organi della giustizia.

Dato che lo Stato di fatto partecipava direttamente con soldi propri - e soprattutto pubblici -  a dette costruzioni, le stesse dovevano seguire delle regole specifiche e, sopratutto, i relativi progetti dovevano essere approvati dal Ministero dei Lavori Pubblici mediante una specifica procedura che sfociava in un decreto ministeriale di autorizzazione. La procedura era per certi versi non dissimile da quella che veniva seguita per l'approvazione delle opere pubbliche, ovvero l'autorizzazione alla spesa prima dell'inizio lavori da parte del Ministero dei Lavori Pubblici e poi un collaudo a fine lavori, da non confondersi con le procedure odierne di collaudo che sono un'altra cosa.

La procedura di "collaudo" doveva essere seguita da una persona che verificava sia che l'edificio fosse stato realizzato conformemente al progetto approvato dal Ministero, ma doveva anche redigere una valutazione economica per stabilire quale era la quota di valore del fabbricato che doveva essere attribuita a ciascun socio della cooperativa (generalmente le cooperative erano costituite da un numero di soci pari al numero degli appartamenti che veniva costruito; dato che gli appartamenti non possono essere identici) dato che l'obiettivo delle cooperative era quello del "riscatto" finale dell'alloggio da parte di ciascun socio, e, quindi, lo scioglimento definitivo della cooperativa. Queste procedure erano di fatto mutuate, se non del tutto sovrapposte, a quelle per la redazione delle tabelle millesimali.

Generalmente, il Ministero pagava direttamente il costruttore: non è raro quindi che ci siano stati in passato molti contrasti legali tra ente statale e impresa privata, in caso di costruzioni non conformi.

la cosa importante da tenere presente è che la procedura sommariamente descritta qui sopra era finalizzata esclusivamente alla liberazione dei fondi pubblici, ed erano atti aventi valore esclusivamente all'interno di tale procedura ministeriale. Gli edifici, quindi, dovevano seguire comunque tutte le regole edilizie sovrastanti le costruzioni in vigore al momento della costruzione, relative all'edilizia privata (perché non era assimilata - e non poteva esserlo - all'attività edilizia dello Stato): in sostanza, l'autorizzazione ministeriale ed il "collaudo" non sostituiscono la licenza edilizia rilasciata dal Comune, le eventuali procedure di autorizzazione delle strutture, né l'agibilità, i quali atti dovevano sempre essere acquisiti dal costruttore come se si trattasse di una costruzione privata.

è pertanto a mio parere un errore ritenere che una costruzione sia "legittima" urbanisticamente se è dotata della sola autorizzazione ministeriale per l'edilizia sovvenzionata. può capitare che il progetto depositato in comune differisca da quello depositato per l'autorizzazione ministeriale: in tal caso è quello depositato in comune che ha valore, a mio modesto parere, ai fini del confronto della conformità edilizia.

Queste procedure di edilizia sovvenzionata non vanno confuse con le vere e proprie opere pubbliche, normate da leggi differenti, anche se come ho tratteggiato sopra le procedure autorizzative della spesa per le sovvenzioni hanno sicuramente dei punti di contatto con le opere pubbliche.

Possono tuttavia esistere degli immobili ad uso residenziale ma eseguiti effettivamente come se fossero opere pubbliche e quindi legittimati da un decreto ministeriale: in questo caso si deve verificare che l'immobile nasca come di proprietà pubblica e su suolo pubblico e venga successivamente cartolarizzato. Possono essere esempi di questo tipo, ma sempre da verificare caso per caso, gli immobili edificati dagli Istituti Autonomi per le Case Popolari, oppure quelli realizzati direttamente da Ferrovie dello Stato (quando era un ministero autonomo) e quelli costruiti da enti pubblici speciali che perseguivano specifiche finalità sociali e pubbliche (come per esempio l'Ente Maremma, che ha edificato molti edifici rurali tra la Toscana e l'alto Lazio). Per ferrovie dello Stato occorre fare attenzione perché molte erano anche le cooperative di ferrovieri: in questo ultimo caso deve invece esistere una licenza comunale perché trattasi di edilizia privata.

La legge sulle sovvenzioni accoglieva le proposte di finanziamento provenienti anche, e forse soprattutto, dalle forme associative dei privati cittadini: la forma più comune dell'epoca come ho accennato sopra era la cooperativa. Se, quindi, ricostruendo la storia del nostro immobile vediamo che questo è stato edificato da una cooperativa, quasi sicuramente parliamo di un fabbricato privato, da autorizzarsi da un punto di vista edilizio con le regole ordinarie degli immobili privati (quindi con licenza edilizia rilasciata dal Comune), ma con delle procedure di autorizzazione ministeriale legate alla concessione della sovvenzione.

Qui appresso, una raccolta forse non sufficientemente ragionata della normativa inerente le opere pubbliche o le sovvenzioni statali alle opere private per edilizia popolare

Legge 2248 del 20 marzo 1865 - legge generale di ordinamento dello Stato Italiano - il relativo allegato F composto da centinaia di articoli fornisce una prima importante regolamentazione degli appalti pubblici. già all'epoca l'opera pubblica doveva essere approvata dal Ministero sulla base di un progetto redatto dai tecnici ministeriali e la relativa spesa approvata in uno specifico bilancio, previa redazione di un capitolato d'appalto.

la normativa sugli appalti pubblici si evolverà poi con la L. 2854 del 1875 e poi ancora con la 350 del 1895 e poi L 422 del 1923 le quali rimarranno in vigore, con modifiche varie, fino agli anni 90 del XX secolo quando si rinnoverà completamente l'ambito legislativo con l'introduzione del codice degli appalti pubblici.

per quanto riguarda invece la normativa sulle sovvenzioni di opere private con contributi pubblici, abbiamo le seguenti.

Legge 254/1903 prima legge sulle sovvenzioni. vengono dettagliate le caratteristiche delle costruzioni popolari (con regolamento apposito) e le procedure di autorizzazione alla spesa, che sostanzialmente rimarranno più o meno sempre le stesse (approvazione di un progetto da parte del Ministero, realizzazione della costruzione, collaudo, erogazione dei fondi e partecipazione alla quota del mutuo edilizio). Non vi è un espresso riferimento alle procedure di autorizzazione edilizia, ma è pur vero che siamo agli albori della normativa edilizia e, all'epoca, di fatto esistevano solo i regolamenti edilizi, in quelle città che se ne erano dotate. A valle di questa norma nasceranno gli Istituti Autonomi per le Case Popolari.

Regio Decreto n°1165 del 1938 andrà a sostituire la legge precedente ma senza stravolgere la sostanza della procedura autorizzativa del finanzialmento. ancora nessun riferimento alle licenze edilizie, anche perché, si noti bene, questa legge è antecedente alla 1150/42 e dunque le regole edilizie sostanzialmente ancora facevano capo principalmente ai regolamenti edilizi.

Legge "Tupini" n°408 del 1949 che andrà ad affiancare ed estendere le potenzialità del regio decreto del 1938, senza abrogarlo. è la legge che, all'art. 13, introduce l'esonero venticinquennale dalle tasse sui fabbricati, dal momento del rilascio dell'abitabilità (è per questo che è più facile trovare le abitabilità degli immobili degli anni 50 e 60 che non a volte per quelli successivi). Introduce anche specifiche procedure per l'ottenimento di contributi alle rate di mutuo da parte della Cassa depositi e Prestiti.

il decreto del 1938 risulta attualmente tuttora in vigore, anche se dovrebbe ritenersi implicitamente abrogato dall'art. 60 della L. 457/1978

con la legge 167 del 1962 cambierà la struttura dell'edilizia sovvenzionata e si passò ad un criterio diverso rispetto a quello della sovvenzione diretta: sarà lo Stato, ovvero le amministrazioni locali, incaricate di redigere dei piani per l'edilizia economica e popolare, usufruendo di fondi specifici e girando ai privati costruttori delle agevolazioni di carattere edilizio. Tuttavia, l'attività delle cooperative edilizie continuerà anche dopo questa legge.

La legge 457/78 non stravolge nulla di quanto già esiste ma disciplina i vari contributi attribuendo molte più risorse ai piani per l'edilizia economica e popolare, lasciando comunque la possibilità di ottenere un contributo per i mutui agevolati in caso di realizzazione di edifici aventi caratteristiche precise. Scompare quindi la possibilità di ricevere direttamente un contributo per la costruzione, ma si parla solo di un aiuto indiretto fornito attraverso un sostegno all'erogazione del mutuo agevolato. l'art. 43 di questa norma specifica che i vincoli specifici che la legge impone alle costruzioni (altezza massima interna di mt. 2,70, per esempio) devono essere espressamente richiamati nella concessione edilizia: con ciò è indirettamente esplicito che l'edilizia sovvenzionata non è in alcun modo sottratta alle procedure autorizzative a cui soggiacciono le costruzioni private ordinarie.

nel contesto è secondo me degno di nota il Regio Decreto n°2229 del 1939 ("norme per l'esecuzione delle opere in conglomerato cementizio semplice od armato") non tanto perché direttamente attiene all'edilizia sovvenzionata, ma piuttosto perché, all'articolo 4 ultimo capoverso, sancisce che "per le opere eseguite per conto dello Stato e sotto la sorveglianza degli organi tecnici statali" non è necessario il deposito in prefettura della denuncia delle opere. La dizione dell'articolo è ampia e non cita le "opere pubbliche" ma più genericamente le "opere eseguite per conto dello stato". A mio avviso, è possibile equiparare l'attività edilizia sovvenzionata a quella delle opere eseguite "per conto dello stato" (come abbiamo visto, l'elargizione della sovvenzione equivale ad una dichiarazione di interesse pubblico) e, quindi, può ritenersi legittima una struttura portante eseguita in calcestruzzo priva di denuncia alla Prefettura, laddove rientri nelle opere di edilizia popolare sovvenzionata. in tal caso, la relativa documentazione deve essere reperita presso il Ministero dei Lavori Pubblici o chi ne detiene l'archivio.

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