lunedì 19 novembre 2018

destinazioni d'uso legittime sempre se ante 1985?

Chi segue questo Blog sa quanto è delicato il discorso della legittima destinazione d'uso di un immobile: questa non solo è importantissima per determinare l'uso legittimo che si può fare di un immobile, ma è anche un delicato elemento di valutazione dell'analisi della conformità o legittimità edilizia. Che succede, però, se una sentenza, ad un certo punto, ci dice che i cambi d'uso effettuati prima del 1985 sono da considerarsi legittimi a prescindere?


in generale sulle destinazioni d'uso, vi rimando alla copiosa pubblicazione già presente in questo blog.
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in generale, il cambio di destinazione d'uso è quella procedura edilizia che si necessita, ai sensi dell'art. 23 ter DPR 380/01, per modificare la possibilità di un immobile di accogliere una specifica funzione, proveniendo da un'altra funzione diversa. La normativa nazionale, recentemente modificata (il citato art. 23 ter è stato introdotto nel 2014), ha distinto i mutamenti d'uso non rilevanti da quelli rilevanti, a seconda che si passi tra due destinazioni ricomprese nella stessa categoria generale oppure no. Prima di queste ultime modifiche, e fino a qualche anno fa, il mutamento d'uso non era neanche espressamente normato, tant'è che spesso, come a Roma, veniva equiparato sotto gli aspetti procedurali alla ristrutturazione edilizia.

Il mutamento d'uso, va da sè, può essere operato solo laddove io abbia un immobile anzitutto urbanisticamente conforme o legittimo (condizione base per qualunque intervento edilizio, a mio parere), e che abbia una destinazione specifica, non rientrante tra i volumi che non concorrono al calcolo della cubatura edificabile, quali per esempio spazi sottotetto, volumi tecnici e, sotto altri aspetti, anche parcheggi o spazi destinati a standard urbanistico. il mutamento d'uso, se è rilevante, comporta sempre una onerosità: spesso la comporta anche quando è non rilevante, ma questo dipende molto dalla normazione urbanistica locale.

L'immobile oggetto di cambio d'uso insomma deve avere una destinazione legittimamente impressa da un titolo edilizio, ed essere legittimo nelle sue forme e consistenza.

Questo quindi è il panorama normativo attuale. Ma in passato, come è stato normato il cambio d'uso? come accennato, la normazione specifica è arrivata molto di recente: in precedenza vi erano solo riferimenti indiretti nel DPR 380/01 tant'è che molte amministrazioni avevano fatto rientrare la procedura nella ristrutturazione edilizia: il PRG di Roma vigente, difatti, ancora prevede questa strutturazione (che in parte a mio parere va quindi considerata implicitamente abrogata dalla diversa previsione della norma nazionale). Andando ancora indietro nel tempo, troviamo che la prima legge* che parla di normazione nel cambio d'uso è la legge 47/85, la quale all'art. 25 ha previsto, nella sua originaria stesura, che le Regioni dovessero adottare una specifica normativa per questo delicato ambito. Questa cosa è stata specificatamente oggetto di analisi da parte della Giustizia Amministrativa, e qui veniamo all'oggetto del post.

*non è in realtà la prima, in quanto il DM 1444/68 già parla di destinazioni d'uso, anche se le stesse in questo decreto vanno a mio parere intese come estese all'intero ambito territoriale, e non si parla quindi di destinazione del singolo immobile, a cui difatti le previsioni del DM si applicano in modo forzoso.

Il Consiglio di Stato (cons. di Stato sez. IV n°4841/2013), sul tema, è intervenuto specificando che, visto il fatto che la L. 47/85 per prima ha introdotto il concetto di cambio d'uso, è legittima qualunque trasformazione della destinazione d'uso avvenuta in data antecedente all'entrata in vigore della norma stessa, che per prima ha previsto che debba esserci una regolamentazione, e che questa regolamentazione venga demandata alle Regioni. Dunque se un cambio d'uso (riferendosi sempre ad un volume comunque legittimo) è certificabile come avvenuto prima del 1985 (accertabile con planimetria catastale o con licenze commerciali) allora sarebbe da ritenersi legittimo a prescindere, in quanto il cambio d'uso, secondo i Giudici del Consiglio di Stato, in sé non era un intervento che la Legge ritenesse necessitante di titolo autorizzativo. Dello stesso tenore anche la più recente sentenza TAR Toscana sez. III n°1164/2018.

Va detto però che non è proprio così, a mio parere. Anche se molto vaghi, e riferiti alle aree territoriali e non ai singoli immobili, le destinazioni d'uso esistono già nel DM 1444/68, e su tali riferimenti si eseguono ancora oggi i calcoli degli standard urbanistici, riferiti poi anche ai singoli immobili anche se in modo un po' forzato. Il legislatore difatti a mio modesto avviso non ha mai prodotto in modo organico una normativa specifica per le destinazioni d'uso dei singoli immobili.

Inoltre, non si può ignorare l'eventuale precedente normativa locale. A Roma, per esempio, il regolamento edilizio, fin dalle sue stesure più vecchie, prevedeva che si doveva ottenere una licenza per qualunque trasformazione "o riattamento" dell'immobile, tra cui è facile ricomprendervi anche il cambio d'uso, a mio parere. è bene ricordare che la Giustizia Amministrativa ritiene sempre la normativa locale come di valida e legittima applicazione, se in presenza di norme nazionali che non ne vanno in contrasto.

Ancora, se la volontà del legislatore fosse stata quella di introdurre il cambio di destinazione d'uso solo a partire dalla L 47/85, probabilmente non avrebbe inserito la possibilità di sanare proprio i cambi d'uso abusivi realizzati prima dell'introduzione della norma stessa: che senso avrebbe avuto in pratica consentire la sanatoria di interventi che prima della legge erano "attività libera"? Ne è testimonianza anche il fatto che presso il Dipartimento P.A.U. di Roma Capitale sono presenti istanze edilizie, riferibili a prima del 1985, in cui veniva chiesto ed ottenuto il cambio d'uso tra categorie differenti, sintomo del fatto che l'amministrazione della capitale anche prima del 1985 lo riteneva un intervento soggetto comunque a titolo: ciò forse anche in applicazione della generica imposizione del regolamento edilizio romano già citata e che prevede che qualunque intervento o "riattamento" dell'immobile necessita di preventiva autorizzazione del sindaco.


Certamente comunque i provvedimenti della giustizia amministrativa hanno ormai il loro consolidato peso e, dunque, nella prassi amministrativa è legittimo a mio giudizio orientarsi seguendo il concetto che le destinazioni ante L 47/85 sono sempre legittime, purché l'immobile sia urbanisticamente legittimo, e purché non vi siano fattori o condizioni che potevano rendere comunque soggetto a titolo edilizio il cambio d'uso anche prima della stessa legge (come a mio parere è a Roma).

4 commenti:

  1. Buongiorno Marco,
    articolo molto molto interessante.
    Mi rimane però il dubbio da dove si denota la legittima destinazione d'uso. Ad esempio ho uno stabile del 1930, ho reperito tutto all'archivio capitolino e riporta nella licenza "uso industriale", nella planimetrie ci sono: abitazioni P1,2,3 , laboratori, magazzini e negozi al PT, nell'abitablità riporta: piano terra: magazzini e uffici, p1 p2 p3: abitazione.

    Il piano terra è poi stato sempre negozio dagli '60... qual'è il documento maggiormente identificativo della destinazione d'uso legittima secondo te?

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    1. se nel progetto e nell'abitabilità è indicato industriale, e non ci sono altri titoli posteriori per cambio d'uso, tenderei a pensare che la destinazione legittima è quella indicata nei titoli dell'origine.

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    2. Le planimetrie dove sono riportate le diciture "negozio" sono sempre quelle approvate nel 1930... potrebbe avere una valenza o è maggiore quella dell'abitabilità?

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    3. tenderei sempre a ritenere prevalenti quelle del progetto (l'agibilità non è una procedura che può introdurre varianti al progetto), comunque sono documenti da visionare con attenzione e da valutare assieme ai tecnici comunali.

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