Chi segue questo blog sa quanto si è
parlato di cambi di destinazione d'uso e problematiche tecniche connesse. Oggi vediamo un caso particolare: quando, in virtù di determinati fattori, si possono costituire delle società che possono
operare in deroga alle destinazioni d'uso, cioè possono svolgere la loro attività anche in locali che non avrebbero la destinazione d'uso coerente con l'attività che vi si svolge.
Non c'è nulla di oscuro: si tratta della deroga consentita dalla
L. 383/2000 (art. 32 comma 4) oggi abrogata e confluita nella Legge del Terzo Settore (
d.lgs. 117/2017, per quello che qui interessa, art. 71) ed è rivolta esclusivamente alle "sedi degli enti del terzo settore e locali in cui si svolgono le attività". è una norma volta a facilitare le incombenze burocratiche - in verità solo una parte, quella urbanistica relativa al mutamento d'uso - per quelle attività volte allo svolgimento di attività che possono aiutare e stimolare la vita sociale di giovani e non, dunque diciamo che va nell'ottica della tutela del pubblico interesse della salute pubblica e dello sviluppo di rapporti sociali sani e legali basati su attività sportive o culturali.
tipiche attività di terzo settore possono essere i circoli ricreativi (purché non "privati"), società sportive, scuole di danza, etc. la Legge specifica che l'attività di terzo settore di base non è a scopo di lucro (ma possono essere associazioni più ampie in cui sono ricomprese attività anche a scopo di lucro); tuttavia, non sono pochi i casi in cui questa definizione viene utilizzata appositamente per bypassare il complesso (e costoso) sistema burocratico per il cambio di destinazione d'uso per avviare attività invece lucrative. Ovviamente in questo post parlerò di società che veramente svolgono attività di promozione sociale.
La legge stessa specifica che non sono attività di promozione sociale i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni di professionisti. La formulazione del d.lgs. 117/2017 è molto più ampia della originaria legge 383/2000.
Non mi dilungo su come devono essere strutturate le attività di promozione sociale: vi invito a contattare il vostro consulente commercialista di fiducia per gli ulteriori dettagli operativi e se questa definizione si può sposare con l'attività che già fate o che volete avviare. Quello che attiene a questo post, ed a questo blog, è invece l'aspetto prettamente tecnico-edilizio-urbanistico.
La norma è comunque laconica, e dice sinteticamente che l'attività di promozione sociale è compatibile con tutte le destinazioni d'uso. Con queste poche parole, di fatto la legge consente una deroga generalizzata e, di fatto, le attività suddette possono operare in qualunque destinazione, sia residenziale, sia per uffici, ma anche di tipo terziario tipo magazzini o edifici industriali, nonché ovviamente i locali commerciali.
Nella trasfusione della norma da quella del 2000 a quella del 2017 è stata però inserita una specifica, la quale indica che i locali (o le attività) svolte dall'associazione non devono essere del tipo "produttivo". Da come è costruita la frase però non si capisce con esattezza se ci si riferisca alla destinazione d'uso del locale oppure al tipo di attività svolta dall'associazione. Se si riferisse ai locali, va considerato che gli edifici produttivi non sono solo i complessi industriali ma vi possono rientrare anche l'artigianato produttivo o anche i magazzini.
Questa legge purtroppo è spesso poco conosciuta, e quindi può capitare di confrontarsi con amministrazioni che la ignorano. Per fortuna, comunque, esiste della giurisprudenza che ci aiuta: parliamo della
sentenza TAR Lazio sez 2Q n° 9209/2018 del 10 settembre 2018 (passata in giudicato) che affronta una controversia relativa all'uso, da parte di una attività di promozione sociale, di un "magazzino" seminterrato convertito, secondo l'amministrazione comunale in modo abusivo, in "palestra". La Sentenza ancora si riferisce alla legge 383 perché all'epoca dei fatti era ancora in vigore. Il TAR dà ragione alla attività di promozione sociale dicendo che, in base alla Legge 383/2000, l'attività può legittimamente svolgersi al di là della congruità della destinazione d'uso. Tuttavia, correttamente, si rimanda invece all'amministrazione comunale la verifica del rispetto delle normative igienico-sanitarie le quali non possono essere comunque eluse.
Sempre TAR Lazio, stavolta invece in contrasto con la "liberalizzazione", si è espresso con
sentenza n°11075/2019 (appellata, in attesa di pronuncia) nel senso che le deroghe non operano laddove vi siano specifiche convenzioni pianificatorie con il Comune dove è prevista una specifica e rigida disciplina delle destinazioni d'uso: nel caso di specie è stato pertanto ritenuto illegittimo il mutamento d'uso operato dall'APS. La sentenza come detto è stata appellata e non è detto che il Consiglio di Stato non riterrà invece infondate le tesi del Tribunale regionale (nella sentenza mi pare poco approfondito il concetto di incompatibilità con le destinazioni del DM 1444/68, ma è invece molto chiaro e netto il discorso relativo alla incompatibilità con il piano di zona).
Nel frattempo è stata pubblicata una seconda sentenza, stavolta
TAR Abruzzo (AQ) sez. I n°519 del 25 ottobre 2019 (
qui sul sito di lexambiente) che fa riferimento direttamente al testo unico del terzo settore del 2017: in questa sentenza la controversia è riferita ad una attività di promozione sociale senza fini di lucro il cui scopo è promuovere e diffondere la cultura del turismo campeggistico, offrendo ai soci la possibilità di far stazionare le proprie roulotte nel terreno a disposizione dell'associazione. Il TAR da ragione all'associazione e quindi per conseguenza da torto al Comune il quale, nell'avviare le procedure per la sospensione dell'attività (priva del piano di lottizzazione necessario per impiantare attività nell'area di interesse), non avrebbe concretamente e preventivamente verificato se l'associazione avesse i requisiti richiesti dalla norma o se svolgesse, in ipotesi, attività contraria rispetto a quanto indicato nello statuto. Dunque non avendo fatto tali verifiche, si deve assumere che l'associazione svolga la propria attività conformemente al proprio statuto e, in quanto attività di promozione sociale senza fini di lucro, può operare in deroga alle destinazioni d'uso territoriali e, come nel caso di specie, anche in deroga alle disposizioni del prg che vorrebbero l'adozione di un piano di lottizzazione convenzionata. Anche in questo caso si ribadisce che la deroga vale solo per la destinazione d'uso, ma devono essere fatte salve tutte le altre norme in ambito di sicurezza e igienico-sanitarie.
Altra sentenza, stavolta del Consiglio di Stato (
sez. VI n°3803 del 15 giugno 2020,
qui su Lexambiente),
interviene sullo stesso tema e conferma ormai l'orientamento: il caso stavolta riguarda una associazione di promozione della cultura Islamica alla quale era stato contestato il mutamento d'uso di un locale che, originariamente ad uso commerciale, veniva utilizzato per le attività dell'associazione: anche se non era stato depositato alcun titolo (in quanto in assenza di opere edilizie), il Consiglio annulla sia le determinazioni del comune e sia la precedente sentenza del TAR Veneto, indicando che è legittimo che una associazione che rispetti i requisiti previsti dalla Legge possa operare in deroga alle destinazioni d'uso. Il Comune soccombe anche perché non avrebbe ben dimostrato le circostanze che avrebbero determinato il contestato aumento del carico urbanistico (circostanza che fa scattare le disposizioni dell'art. 31 comma 1 lett. a) del DPR 380/01).
Una delle ultime sentenze in ordine di tempo, sempre ormai nel solco che si deve definire decisamente marcato:
TAR Lazio 1429/2021.
Dunque il concetto è chiaro: l'attività in sè può derogare alla destinazione d'uso, ma gli ambienti (e tutti gli eventuali impianti) devono essere strutturati, concepiti, progettati ed autorizzati (se del caso) compatibilmente con l'attività che effettivamente vi si svolge, e, dunque, è implicita la necessità di ottenere tutte quelle autorizzazioni, al di là di quelle per il cambio d'uso, necessarie per quel tipo di attività (p.e. nulla osta ASL). Inoltre, le opere edilizie devono essere comunque autorizzate seguendo il titolo edilizio coerente con le opere che si devono fare, ma, come detto, senza considerare appunto il cambio d'uso.
Altra sentenza, ancora
TAR Lazio, sez 2bis n°5254/2021 (
qui su Lexambiente), ribadisce il concetto secondo cui gli immobili utilizzati dalle associazioni
devono comunque sottostare alle ordinarie regole edilizie per quanto riguarda le modifiche edilizie. Come detto, ciò è del tutto logico: il favore garantito dalla norma è limitato alla destinazione d'uso, ma non può ammettersi nell'ordinamento che esistano immobili privati sottratti ai regimi autorizzativi delle opere edilizie che possono incidere sul territorio, in quanto gli ambiti di tutela sono del tutto distinti.
Possono quindi crearsi delle situazioni ambigue: per esempio noi tecnici sappiamo che in un magazzino non è possibile autorizzare dei bagni, perché questi sono incompatibili con la destinazione di uno spazio concepito esclusivamente come deposito, a meno che non si dimostri il fatto che nel magazzino deve lavorare del personale. La norma come visto non scende così nel dettaglio, comunque potrebbe darsi che una amministrazione comunale sia a chiedervi un atto d'obbligo con cui ci si impegna alla riconversione del locale in modo che risulti di nuovo compatibile con la destinazione d'uso, al omento dello scioglimento della società o trasferimento verso altro locale: nel qual caso la richiesta a mio parere potrebbe apparire legittima, dipende comunque in che forma ed in che sede viene formulata.
Per quanto riguarda Roma, vi è da segnalare che l'Avvocatura Capitolina, nella sua rivista "tempio di Giove" affrontò il tema nel
numero di novembre 2009 (pag. 35), emettendo un parere perfettamente in linea con quanto detto finora e, soprattutto, con la stentenza TAR più recente.
Chiar.mo Architetto (aggettivo meritatissimo per le sue limpide delucidazioni) In merito al CdU, concordo nell'accenno alle "situazioni ambigue"che esemplifica con l'impossibilità di realizzare servizi igienici in locali magazzino (presumo intendesse depositi). Ma ancora più bislacca è la sconfessione della destinazione catastale (cat. C1) della porzione d'u.i. in interrato pretesa dall'ufficio con un'ultronea interpretazione delle n.d'a. (che comunque fanno riferimento a detta categoria).
RispondiEliminaL'applicazione di tale rigido punto di vista costringe a considerare la realizzazione di bagni nel livello entroterra dell'unità commerciale come ampliamento di SUL con conseguente pagamento di oneri (Up + C.C.). Gradirei un Vs.erudito commento.
Colgo l'occasione per complimentarmi per l'utilità del suo approfondito impegno, molto raro in un epoca di grossolana approssimazione che non vede esenti i tecnici. Deferenti saluti
Antonio Pasquariello
sulla questione dei bagni negli interrati ho scritto un post apposito: http://architetticampagna.blogspot.com/2016/07/bagni-nei-sottonegozi-e-questioni.html
EliminaSalve architetto ho un cliente che ha un locale diviso in 3 livelli, al piano terra commerciale, piano interrato a cui si accede da una scala magazzino e piano soppalcato, vincolato da atto d'obbligo a magazzino. Vorrebbe aprire un'associazione culturale nel piano interrato. il cliente mi chiede un riferimento normativo preciso per quanto rigurada il piano interrato. Fermo restando la destinazione d'uso che può essere compatibile con l'attività di promozione sociale, mi premeva capire se esiste qualche norma a cui attenersi. Dal mio punto di vista in quanto progettista non sarei propensa a inserire in un piano interrato con una sola via di uscita all'esterno (scala che va nel commerciale Piano terra) un'attività diversa da quella di magazzino (per una questione puramente di sicurezza)inoltre il passaggio per accedervi è attraverso un luogo adibito a commerciale. La ringrazio
RispondiEliminail riferimento da usare è la legge indicata nel post. comunque, al di là della destinazione, i luoghi devono rispettare tutte le altre norme sovraordinate: farei attenzione alle caratteristiche dei locali interrati in tal senso.
Eliminasalve, qualora dovessi realizzare un piccolo centro sportivo con dei campi da padel su un terreno non edificato e aventedestinazione verde privato attrezzato, ci sarebbe bisogno del pdc convenzionato. Le asd senza scopo di lucro hanno qualche "deroga" anche per quanto riguarda la presentazione dei titoli edilizi? possono presentare una scia alternativa al posto del pdc nel caso descritto?
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