Parliamo oggi di pareti mobili da ufficio, quelle, per intenderci, che sono realizzate in strutture prefabbricate, spesso in vetro con telaio in alluminio, anche non alte fino al soffitto, utili per modulare l'assetto interno degli uffici, modificandola eventualmente nel tempo secondo le esigenze. Alcuni ritengono che questa soluzione architettonica non sia soggetta a nessuna autorizzazione, nel senso che queste pareti potrebbero essere realizzate e rimosse senza alcuna procedura autorizzativa: in realtà non è proprio così.
Va detto che questo argomento è difficile da trattare, perché non ci sono sentenze specifiche sul tema e perché le norme nazionali non specificano nulla in proposito. Alcune norme locali invece hanno dato una propria visione della questione: cerchiamo di capirci qualcosa.
Va fatto un ragionamento di base, valido sempre: quando si parla di "ambienti", indipendentemente dal materiale con cui questi sono delimitati, parliamo sempre di luoghi che devono rispettare le normative dovute sia nel caso in cui si parli di abitazioni, sia soprattutto per luoghi di lavoro. Dunque, indipendentemente dal regime autorizzativo in cui può essere collocato l'intervento, gli ambienti di lavoro devono sempre rispettare le norme igienico sanitarie e di sicurezza, le quali norme, purtroppo, non sempre sono omogenee sul territorio nazionale (ciascuna ASL territoriale può emettere delle prescrizioni "personalizzate").
Se vi trovate ad operare quindi in una città in cui non ci sono norme a livello locale che scendono esplicitamente nello specifico, come per esempio Roma, non rimarrà che fare un ragionamento di logica e buon senso: le pareti, anche se "mobili" ed alte non fino al soffitto,
delimitando degli ambienti di lavoro, devono rispettare le indicazioni del
Regolamento Edilizio, del Regolamento di Igiene, e della normativa nazionale in ambito sanitario che, per le destinazioni civili, è il DM 5 luglio 1975.
Dunque gli ambienti devono avere una altezza minima di 2,70 metri (se abitazioni o uffici), e deve essere
presente una finestra aperta all'aria aperta (escluse quindi chiostrine e pozzi di luce):
fate riferimento a quest'altrio mio post per altre indicazioni. Sul discorso della superficie minima vi è in effetti una questione da segnalare: il regolamento edilizio di Roma specifica la dimensione minima (9mq, art. 40 punto b)
solo per le camere da letto delle abitazioni, ma nulla dice riguardo alla superficie minima degli ambienti ufficio. Tuttavia vi è un passaggio sibillino (art. 46 bis) che dice che per le attività "assimilabili" alle residenze, si applicano comunque alcune specifiche norme e, quindi, si potrebbe pensare che 9mq sia la dimensione minima anche per gli ambienti ufficio: tuttavia l'art. 40 punto b non è ricompreso nell'elenco. Per tali ragioni, al di là del discorso sulla superficie, non possono essere autorizzate stanze "cieche", anche se composte da pareti a vetri e non chiuse fino a soffitto (può sembrare un controsenso in effetti), ed anche se dotate di sistemi artificiali per l'aerazione e l'illuminazione (a meno di specifiche deroghe concesse dalla ASL, ma difficilmente vengono date per immobili ad uso ufficio).
Vale la pena spendere due parole riguardo agli obblighi imposti dal D.Lgs. 81/08 sulla
sicurezza sui luoghi di lavoro,
in particolare l'allegato IV: qui è indicato (punto 1.2), riferendosi però alle attività industriali con più di cinque lavoratori, che per ogni operatore deve essere assicurata una superficie di 2mq ed un volume non inferiore a 10mc, nonché una altezza non inferiore a 3 metri. Tuttavia al punto 1.2.5. si parla esplicitamente di ambienti ufficio, e qui l'unica prescrizione che viene data, in modo sempre sibillino, è che "i limiti di altezza sono quelli individuati dalla normativa urbanistica vigente": dunque appunto 2,70 metri, salvo più restrittive indicazioni di qualche regolamento locale. Non vi è invece diretta individuazione di una superficie minima per operatore.
Visto quindi il discorso degli obblighi, vediamo il regime autorizzativo.
Le pareti mobili sono facilmente assimilabili all'arredo e, come tali, non possono secondo me non essere classificate come "manutenzione ordinaria". tuttavia, in quanto opere soggette al rispetto di specifiche norme di settore, io ritengo che sia comunque dovuta la presentazione di una CILA, soprattutto in assenza di altre indicazioni specifiche: rimarrebbe l'incongruenza che le opere di "manutenzione ordinaria" non sarebbero soggette ad alcun titolo. In questa ottica, gli ambienti che vengono delimitati da delle pareti mobili devono essere dimensionati seguendo le regole degli ambienti completamente chiusi. Ciò comporterà che ogni successiva modifica della conformazione interna delle pareti mobili comporterà il deposito di una nuova istanza urbanistica, cosa che purtroppo contrasta con l'idea di flessibilità che si vuole attribuire a questi sistemi. Di questa procedura ho avuto conferma da diversi municipi di Roma: più per un discorso cautelativo che altro; comunicatemi eventuali diverse visioni della questione. Gira voce che esista un parere del dipartimento PAU di qualche anno addietro che specificherebbe la necessità di una istanza urbanistica per questi contesti, ma non l'ho mai finora vista con i miei occhi.
Nel tempo ho avuto modo di confrontarmi anche con la ASL riguardo a come interpretare questi elementi, e loro sono più rivolti a concepire le pareti alte non fino a soffitto come elementi che non costituiscono un volume chiuso.
Gent.mo Architetto concordo completamente con il tuo pezzo e volevo chiederTi se presentando una CILA a questo punto sia obbligatorio accatastare tali pareti anche se mobili per presentare il fine lavori.
RispondiEliminaSaluti
secondo me sì.
EliminaAggiungo che il regolamento edilizio di Roma parla di altezza di almeno 3 metri se gli uffici si trovano al piano terra
RispondiEliminaArchitetto Buonasera.
RispondiEliminaStavo leggendo il Suo interessantissimo Post e mi sorge una curiosità in merito ad un caso che sto affrontando:
All'interno di un negozio, pannellature interne divisorie in vetro e legno (poggiate e quindi rimovibili), atte a creare dei passaggi e magazzini, rientrano sempre nel caso della CILA oppure possono essere considerate come manutenzione ordinaria?
Le sottolineo che da un punto di vista della rendita catastale questa non viene assolutamente modificata quindi non è indispensabile alcun atto di aggiornamento.
Cosa ne pensa?
Occorre un titolo edilizio oppure no?
Possono essere considerate alla stregua di stigliature interne?
Anticipatamente grazie se potrà rispondermi.
Saluti
Giampaolo
a mio parere rientrano nell'assoggettabilità a SCIA: fino ad una determinazione chiara in materia mi terrei su una linea cautelativa.
EliminaBuonasera Arch. Campagna,
RispondiEliminaPer un ufficio in cui ci sono più stanze, se il RAI non viene soddisfatto in quanto le finestre (ovviamente non modificabili) hanno una superficie piccola, è possibile integrare i mq mancanti con un sistema di immissione ed estrazione e con punti luci per dare un adeguato apporto di luce artificiale?
Riassumendo:
Se ho una stanza di 20 mq e la finestra esistente è di 1,2 mq (sviluppando 10 mq) posso integrare i 10 mq con un impianto di immissione ed estrazione per dare i giusti ricambi di aria (allegando anche relazione specifica alla CILA) e dando il necessario apporto illuminotecnico?
La ringrazio molto
in attesa delle famose norme specifiche che non sono state ancora emanate pur essendo trascorsi i termini di legge, bisognerebbe acquisire il parere ASL, la quale però è assai restìa ad autorizzare sistemi alternativi alla ventilazione e illuminazione naturali.
EliminaQuindi se in quell’immobile ci sono sempre stati uffici con le caratteristiche di cui le dicevo ed ora il nuovo proprietario vuole redistribuire gli spazi non ha alternative che limitarsi a fare uffici da 10 mq per ogni finestra ed inutilizzare porzione dell’immobile se non per ripostigli, bagni etc??
EliminaI titoli edilizi precedenti su che base erano legittimi? Non credo che negli anni 80 fosse possibile avere una stanza ufficio da 20 mq con una finestra che sviluppa 10 mq!
La ringrazio per la disponibilità.
è possibile che nei precedenti titoli sia stata omessa la verifica dei rapporti aeroilluminanti, che in passato esistevano sempre ma ci sono stati momenti in cui erano meno restrittivi di adesso. Se ci sono titoli rilasciati in momenti in cui i rapporti non erano prescritti o, se lo erano, avevano valori minimi più bassi, si può valutare se è possibile continuare a mantenere lo stato di quei progetti. insomma va visto con attenzione, sempre partendo da una attenta verifica della conformità edilizia nei suoi vari passaggi.
EliminaBuongiorno Arch. Campagna,
RispondiEliminaPer una bitazione in cui c'è una grande stanza con 2 finestre che si vuol dividere con parete mobile, e il RAI viene soddisfatto , secondo lei che tipo di pratica bisogna presentare al Comune e a che bonus si ha diritto?
grazie molto
trattandosi di diversa distribuzione spazi interni, sarà congrua una CILA. per i bonus, dipende molto dalla destinazione d'uso e dal soggetto finanziatore.
Eliminaio sono del medesimo parere, e che laddove la parete modulare chiude il volume completamente, dal pavimento al soffitto, dove addirittura è divisa da una porta, dove spesso al suo interno passano impianti (prese di corrente, interruttori) non possono considerarsi degli arredi, ma sono a tutti gli effetti elementi che danno luogo a una diversa distribuzione e che incide urbanisticamente, ergo soggetta a CILA. Diversamente sarebbe come dire che se faccio una parete in cartongesso allora devo dimostrare al comune e all'asl che la porta è almeno da 90cm e rispetto i rappori RAI, se invece uso pareti modulari, posso fregarmene di dimensionare le porte o di rispettare indici urbanistici e igienici. La mera questione del "più o meno ancorato" o della "più o meno temporaneità" dal punto di vista giuridico è acclarato che non regge.
RispondiEliminagrazie del contributo è l'approccio che condivido.
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