Tra le varie novità rilevanti del D.L. 29 maggio 2024 n°69 vi è senz'altro l'inserimento, come articolo a sé stante, dell'accertamento di conformità di interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo edilizio. in questa procedura, per "superare" il problema della doppia conformità viene introdotta una innovativa differenziazione tra norme urbanistiche e norme edilizie. La legge però non sembra contenere una distinzione chiara tra le due e, dato che in questo momento diventa dirimente, cerchiamo in questo post di capire come districarsi.
Sul tema in generale del Decreto Salva Casa D.L. 69/2024 ho scritto assieme all'avv. Andrea Di Leo l'e-book "Decreto Salva Casa: commento, guida e riflessioni tecnico-guiridiche" il cui aggiornamento "post conversione in legge" del decreto che pubblicheremo entro settembre 2024 è già compreso nel prezzo.
Fino a prima della pubblicazione del decreto "salva casa" noi tecnici sapevamo che se dovevamo presentare un accertamento di conformità, sia esso in applicazione dell'art. 36 (per gli abusi più gravi, che avrebbero richiesto il permesso di costruire) o 37 (abusi moderati, per opere che avrebbero richiesto una SCIA) del DPR 380/01 dovevamo affrontare il principio della cosiddetta "doppia conformità" (chiamata "doppia conforme" in alcune delle presentazioni al pubblico del decreto da parte del Ministro Salvini). Questo principio è semplice: l'intervento edilizio per poter essere sanato oggi, occorre verificare che esso sia conforme sia alle norme edilizie ed urbanistiche vigenti al momento in cui si presenta la domanda, sia alle medesime norme per come erano in vigore al momento dell'esecuzione dell'opera abusiva.
stralcio del vigente PRG di Roma, tavole prescrittive Sistemi e Regole scala 1:5.000 |
Da una parte, questo concetto mira ad impedire che governi locali compiacenti possano modificare gli strumenti urbanistici appositamente per consentire di sanare opere abusive eseguite nel passato ma, dall'altra, nella sanatoria di difformità modeste di cui spesso il cittadino è anche ignaro, finisce per essere un eccessivo strumento vessatorio in quanto, peraltro, andare a ricostruire l'esatta forma delle norme edilizie ed urbanistiche in un preciso momento nel passato non è neanche una operazione facile ed in cui si rischia di sbagliare.
Dunque il decreto Salva Casa DL 69/2024, volendo andare nel verso della semplificazione delle sanatorie di opere modeste, introduce un interessante evoluzione del concetto della doppia conformità, differenziando la verifica temporale delle norme urbanistiche da quelle edilizie: nel nuovo art. 36 bis che ad oggi gestisce gli accertamenti di conformità per opere eseguite in parziale difformità dal titolo edilizio, indica che la verifica alle norme urbanistiche deve essere fatta rispetto a quelle vigenti al momento della presentazione della domanda, mentre per quelle edilizie la verifica va fatta al momento dell'esecuzione dell'abuso. L'idea a parere di chi scrive è buona, perché consente ai tecnici come me di poter operare eseguendo delle verifiche più circoscritte ma anche soprattutto di poter gestire delle sanatorie prima impossibili; dall'altra, però, per come si vedrà, sarebbe forse stato opportuno accompagnare questa innovazione con una più chiara distinzione tra le due fattispecie di norme.
Occorre quindi comprendere quali siano le norme urbanistiche e quali quelle edilizie, in quanto a questo punto diventa abissale la loro corretta individuazione per poter applicare con serenità la nuova procedura di accertamento.
Norme Edilizie (DPR 380/01)
per capire cosa sono le norme edilizie anzitutto potremmo fare riferimento al nome dello stesso testo unico DPR 380/2001 che è appunto dell'edilizia: la sua rubrica completa è "testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia".
Inevitabilmente, il Testo Unico dell'Edilizia in alcuni settori finisce con lo sconfinare negli ambiti dell'urbanistica ma se lo fa è per vie incidentali in quanto si deve occupare anche delle sanzioni per opere eseguite in difformità dagli strumenti urbanistici o quando indica che il titolo edilizio ha efficacia solo se conforme agli stessi strumenti. Tuttavia, è identificabile in modo abbastanza chiaro che per norme edilizie possono intendersi: quelle che regolamentano i titoli abilitativi, le modalità di rilascio e le competenze; i regolamenti edilizi; l'agibilità; le norme sul contenimento del consumo energetico degli edifici; le norme tecniche sulle costruzioni; le norme sull'abbattimento delle barriere architettoniche.
Vi sono poi le norme igienico-sanitarie, che in verità non sarebbero né edilizie né urbanistiche, ma che incidono fortemente nella questione. A parere di chi scrive, queste norme sono da far confluire nell'ambito delle norme edilizie, perché generalmente sono contenute nei regolamenti edilizi o comunque sono questi strumenti che ne assorbono le disposizioni: ad esempio è nei regolamenti edilizi o in quelli igienico-sanitari che sono contenute le regole sulle superfici minime degli ambienti o dei rapporti aeroilluminanti.
norme urbanistiche (L. 1150/42 e "figlie")
Nel panorama legislativo italiano esiste una legge che è definita la "legge fondamentale urbanistica", la L. 1150/42, tuttora in vigore in diverse parti, la cui rubrica è appunto "legge urbanistica". Dunque appare abbastanza pacifico che per norme urbanistiche debbano intendersi quelle che afferiscono agli ambiti di cui si occupa questa norma, nonché le altre norme che la sono andata a modificare ed implementare, come la L. 765/67.
Non è però del tutto semplice dividere nettamente in due gli ambiti dell'edilizia da quelli dell'urbanistica, in quanto probabilmente nelle intenzioni del legislatore la volontà di creare una separazione netta nel passato non c'è mai stata, se non incidentalmente. Tuttavia, appare potersi collocare nella sfera dell'urbanistica tutto ciò che afferisce a questa legge e, quindi, sostanzialmente alla pianificazione del territorio: parliamo dei piani regolatori, dei piani di lottizzazione, dei piani di recupero, dei programmi integrati d'intervento, e di tutti quegli strumenti urbanistici che consentono agli uffici pubblici di determinare o indirizzare lo sviluppo del territorio.
Dato che la L. 765/67 può anch'essa definirsi una legge urbanistica in quanto è andata a modificare in modo importante la L. 1150/42, è da considerarsi una norma urbanistica, a parere di chi scrive, anche il D.M. 1444/68 che è lo strumento normativo attraverso cui vengono disciplinati i parametri dimensionali della pianificazione, ovvero distanze minime tra costruzioni, altezze, cubature massime edificabili. è pur vero, però, che questo decreto ministeriale è stato nel tempo definito una norma che attiene anche ad altri interessi pubblici non prettamente urbanistici: ad esempio la distanza minima di 10 metri tra costruzioni, nel tempo è stata considerata dalla Giurisprudenza più una norma igienico-sanitaria che un qualcosa di prettamente edilizio. Dunque anche qui, non è possibile determinare un confine netto tra ciò che è "urbanistica" e ciò che non lo è ed è per questo che sarebbe importante che la norma acquisti una migliore definizione di cosa è edilizia e cosa è urbanistica, visto che ai fini dell'accertamento di conformità ad oggi tale distinzione appare fondamentale.
né edilizia né urbanistica
Non appartengono alle norme né edilizie né urbanistiche, a parere di chi scrive, gli strumenti vincolistici del Codice dei Beni Culturali (tra cui ad esempio i piani territoriali paesistici), le norme per la tutela contro i rischi del dissesto idrogeologico, la legge quadro sulle aree protette. Per questi ambiti, laddove vi si ricada, valgono le prescrizioni e le indicazioni contenute nelle stesse leggi.
come applicare la distinzione
Dunque, ammesso (e non concesso) che sia giusta la ripartizione delineata qui sopra, nell'eseguire le valutazioni dell'accertamento di conformità riguardo al vigente art. 36 bis DPR 380/01, il tecnico dovrà considerare:
- la conformità al momento del deposito dell'istanza di:
- rispetto delle indicazioni del piano regolatore vigente, degli eventuali strumenti pianificatori sovrapposti (ad es. piani particolareggiati; programmi di recupero urbano);
- rispetto dei parametri del DM 1444/68 anche se si tratta di edifici precedenti a tale strumento;
- la conformità al momento dell'esecuzione delle opere difformi di:
- rispetto delle indicazioni dei regolamenti edilizio ed igienico, secondo le versioni vigenti all'epoca;
- regole tecniche per le strutture;
- regole tecniche per il contenimento dei consumi energetici;
- norme sull'abbattimento delle barriere architettoniche.
pare che l'epoca dell'abuso, che pone le basi affinche' lo stesso sia sanabile purche' conforme alle norme edilizie dell'epoca stessa, qualora non esista documentazione probatoria, debba essere dichiarata dal tecnico, che se ne assume le responsabilità civili e penali.....mi chiedo....come si è permesso il legislatore di inserire questa regola "vessatoria" per il professionista.....gli ordini non dicono nulla???...tale dichiarazione devrebbe essere in capo al proprietario, come era per i vari condoni!!!!
RispondiEliminaGrazie, architetto! Apprezzabile il tentativo (ben riuscito) di disinguere tra edilizia e urbanistica. Ho seguito anche il ragionamento sulla necessità o meno di acquisire i "titoli" a posteriori. Personalmente, mi trovo in difficoltà sulla parte delle norme tecniche strutturali e antisismiche.
RispondiEliminaPer le parziali difformità il tema è intererssante: il legislatore toglie l’obbligo della doppia conformità strutturale e antisismica, chiedendo di verificare soltanto i “requisiti prescritti dalla disciplina edilizia” al tempo dell’abuso. Il problema però è formale: cosa bisogna presentare? Il legislatore va secondo me in contraddizione perché nel 36-bis al comma 3 indica una “dichiarazione” di rispetto dei requisiti prescritti dalle NORME TECNICHE al tempo dell’abuso; mentre al comma 1 indica che è necessario il rispetto dei requisiti prescritti dalla DISCIPLINA EDILIZIA.
Come è noto, nella recente sentenza riepilogativa del Consiglio di Stato 3645 del 22/04/2024 viene chiaramente indicata quale sia la strada per garantire il rispetto di una “disciplina edilizia”: non basta dimostrare il rispetto delle norme tecniche (per esempio sismiche), bisogna anche acquisire i “titoli” (per esempio il deposito sismico) a posteriori.
Se non si impone l’acquisizione del titolo sismico a posteriori si arriva al seguente paradosso con contraddizione: ristrutturazione abusiva RECENTISSIMA, con un progetto strutturale sismicamente già in regola con le più recenti NTC, ma non accompagnata dal deposito sismico (perché gli abusi si fanno senza la pratica edilizia): per quale assurda ragione non dovrei procedere con il deposito sismico?
Analogamente, si arriva alla stessa conclusione anche per le opere strutturali corrispondenti ad abusi in zone che al tempo dell’abuso non erano dichiarate sismiche (nella quali era obbligatoria la denuncia del costruttore, con presentazione di denuncia e collaudo statico).
E si aggiunge il fatto che, in ogni caso, l’acquisizione del certificato di collaudo statico ricade sia nella “disciplina edilizia” (il DPR lo cita spesso, anche nella sezione della agibilità, e nel 67, comma 7 per le zone sismiche), sia nelle “norme tecniche” (sin dal Regio Decreto del '39 il collaudo era previsto dalle norme tecniche). Perché quindi non dovrei acquisire i titoli a posteriori? Cosa ne pensa, architetto?
salve ingegnere e grazie per il contributo. certamente si tratta di una norma che necessiterebbe di un "completamento" dal punto di vista delle procedure sismiche, dunque secondo me occorrerebbero altri aggiustamenti o a livello di NTC o come migliore specifica della procedura da seguire; ritengo comunque utile lo sforzo fatto dal legislatore.
EliminaConcordo, grazie ;-)
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