In questo blog si è spesso parlato di vincoli, tema a me caro ed anche oggetto specifico della mia quarta fatica letteraria. Ogni volta che si è parlato di vincoli derivanti dal Codice dei Beni Culturali ho sempre avuto premura di specificare un'importante aspetto delle procedure di autorizzazione sia paesaggistica che monumentale, che è l'aspetto relativo al fatto che le domande di autorizzazione non maturano mai il silenzio-assenso. In sostanza, finché l'ente preposto alla tutela non si esprime per iscritto, l'autorizzazione non può mai intendersi rilasciata, nemmeno una volta trascorsi i termini perentori che pure la legge prevede. Ma, come spesso accade, c'è sempre l'eccezione.
L'eccezione nel caso dei vincoli del Codice dei Beni Culturali si trova nella legge che regolamenta le procedure per l'abbattimento delle barriere architettoniche: nella L. 9 gennaio 1989 n°13 agli articoli 4 e 5 sono contenute delle speciali disposizioni nel caso in cui gli immobili oggetto di interventi di abbattimento barriere ricadano in edifici oggetto di provvedimenti di tutela.
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Gli articoli sono distinti perché all'epoca in cui fu promulgata la legge, le norme che tutelavano i vincoli paesaggistici e quelli storico-monumentali erano distinte e separate: la L. 29 giugno 1939 n°1497 gestiva i vincoli paesaggistici, mentre la L. 1 giugno 1939 n°1089 gestiva i vincoli diretti o storico-monumentali. Oggi queste due disposizioni si trovano nell'unico riferimento normativo del Codice dei Beni Culturali d.lgs. 22 gennaio 2004 n°42 ma anche all'interno di questo provvedimento le discipline relative alle due tipologie di vincoli rimangono distinte: la parte II del Codice si occupa dei beni monumentali, mentre la parte III si occupa dei vincoli paesaggistici. Si presti attenzione al fatto che le discipline rimangono distinte e con procedure nettamente separate, anche se sotto lo stesso tetto normativo.
In sostanza, secondo il Codice dei Beni culturali (d.lgs. 42/04) così come le precedenti (leggi del 1939), prima di dare corso ad opere di trasformazione su immobili interessati da vincoli paesaggistici e/o architettonico-monumentali è necessario acquisire una specifica autorizzazione, rilasciata dagli enti preposti alla tutela dello specifico vincolo (tipicamente, ma non necessariamente, detti enti sono le Soprintendenze per i vincoli diretti monumentali - parte II del Codice - e le regioni per i vincoli paesaggistici - parte III del Codice).
Come accennato, ciò che contraddistingue entrambe le procedure di rilascio autorizzazioni sia paesaggistiche che monumentali è il fatto che sono procedure che non hanno il meccanismo del silenzio-assenso: il cittadino deve sempre attendere il rilascio dell'atto da parte dell'ente tutore, anche se le leggi prevedono dei termini perentori entro cui si dovrebbe provvedere all'istruttoria amministrativa. Sul punto vi è cospicua giurisprudenza.
La specialità delle disposizioni della L. 13/89 risiede nel fatto che in effetti introduce un regime speciale derogatorio secondo cui se sugli immobili vincolati sono in progetto opere finalizzate specificamente all'abbattimento delle barriere architettoniche, su dette richieste si applica, in deroga, il principio del silenzio-assenso. Ciò non è illogico: la ratio del Codice dei Beni Culturali circa il non consentire la maturazione del silenzio-assenso su progetti che prevedono trasformazioni su immobili vincolati risiede nel fatto che lo Stato ritiene che l'interesse pubblico alla conservazione del bene sia al di sopra del diritto del privato cittadino di utilizzare e trasformare lo stesso bene a proprio piacere; tuttavia, nel caso di opere finalizzate all'abbattimento delle barriere architettoniche non si tratta di attività voluttuarie ma di opere necessarie ad eliminare quelle che possono rappresentare delle vere e proprie barriere sociali per chi è affetto da specifiche limitazioni alle possibilità di movimento o di percezione. Il legislatore che ha prodotto la L. 13 dunque ha ritenuto che l'interesse pubblico alla equiparazione dei cittadini in termini di diritti e di possibilità sia quantomeno pari a quello che tutela la bellezza dei beni vincolati: dato che, comunque, si tratta di due interessi pubblici parimenti importanti, la legge non "annulla" la necessità del rilascio dell'autorizzazione, ma la confina all'interno di una specifica tempistica trascorsa la quale l'ente tutore del vincolo perde il potere di esprimersi. Si tratta dunque di un abile meccanismo finalizzato al livellamento del peso di distinti interessi pubblici.
In dettaglio, l'art. 4 della L. 13/89 specifica che vanno in silenzio-assenso le istanze di autorizzazione paesaggistica dopo 90 giorni dal deposito, e che l'eventuale diniego disposto entro i termini deve essere ben motivato e con chiara indicazione degli elementi che contrastano con i principi di tutela. essendo la norma del 1989 non tiene conto del fatto che attualmente esistono due procedure di autorizzazione paesaggistica: una semplificata, in cui l'ente avrebbe 60 giorni di tempo per esprimere l'atto, ed una ordinaria, in cui il tempo è espanso a 120 giorni. Si ritiene che in entrambi i casi, nell'ipotesi in cui si presenti un progetto per abbattimento barriere, valgano i 90 giorni per la maturazione del silenzio-assenso.
l'art. 5 ha il medesimo tenore dell'art. 4 ma è dedicato agli edifici oggetto di vincolo monumentale: l'unica concreta differenza con l'art. 4 è che in questo caso il termine del silenzio-assenso matura dopo 120 giorni.
Mi sento di dover specificare che il principio del silenzio-assenso, per logica, può essere applicato a progetti che hanno esclusivo oggetto opere di abbattimento barriere architettoniche ed eventuali opere che hanno strettissima rilevanza: un più ampio progetto che prevede vari interventi tra cui solo alcuni sono effettivamente finalizzati all'abbattimento barriere può non essere ritenuto soggetto allo speciale regime di "favore". nel caso di una ristrutturazione complessa in cui sia necessario procedere in via prioritaria alla realizzazione delle opere di abbattimento delle barriere architettoniche può essere opportuno presentare progetti separati, di cui uno limitato alle sole opere di cui alla L. 13/89. Suggerisco nel caso anche di dare ampia descrizione della fattispecie in una specifica relazione tecnica.
Nel merito, è interessante analizzare la sentenza TAR Lazio n°12445 del 24 luglio 2023 (di cui se ne è parlato anche su LavoriPubblici.it dove ho appreso di questa sentenza) dove viene trattato un caso di un diniego tardivo rilasciato per un progetto che prevede la realizzazione di un ascensore interno ad un cortile di un edificio oggetto di vincolo diretto. Peraltro, il fatto si svolge proprio nella città di Roma. La sentenza è favorevole al cittadino, nel senso che il TAR riconosce che trascorsi i 120 giorni la Soprintendenza perde il diritto di denegare il progetto, il quale deve ritenersi autorizzato una volta trascorso il termine.
Un altro aspetto interessante di questa sentenza è anche quello relativo alle tempistiche da prendere in considerazione per la maturazione dei termini: la domanda viene presentata il 6 settembre 2022 (con ogni probabilità via PEC, come da disposizioni specifiche della Soprintendenza di Roma) ma viene protocollata il 12 settembre successivo: il TAR indica che la data a cui fare riferimento è quella dell'invio da parte del richiedente, e non quella di protocollo. il fatto dunque che l'ufficio abbia un protocollo differito rispetto all'invio effettivo dell'atto non sortisce effetto, anche perché in effetti è un qualcosa su cui il cittadino non ha nessuna possibilità di intervento. Nel caso in esame questo è un aspetto dirimente perché l'ufficio emetterà il suo atto di diniego esattamente allo scadere del 120° giorno dal 6 settembre 2022, dunque se il termine si fosse computato dal 12 settembre sarebbe stato nei termini. Dunque è essenziale poter dimostrare a posteriori la data di effettivo invio della PEC.
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