lunedì 12 agosto 2024

varianti in corso d'opera postume: come applicare il nuovo art. 34 ter del salva-casa

 Il Decreto Salva-Casa (D.L. 69/2024 convertito con L. 105/24 riguardo a cui chi scrive è coautore di questo ebook dedicato) ha apportato diverse innovazioni al testo unico dell'edilizia, senza snaturarne la struttura, ma andando puntualmente a modificare alcuni dettagli che, nel complesso, vanno effettivamente a rendere meno complessi alcuni ambiti nelle sanatorie delle difformità pregresse riscontrabili sugli edifici esistenti. Una di queste novità, che vuole essere l'approfondimento del post di oggi, è quella che porta con sé il nuovo art. 34 ter DPR 380/01, che introduce di fatto la possibilità di depositare una variante "postuma" alla originaria costruzione dell'edificio, a determinate condizioni. Che differenza c'è tra questa nuova procedura e l'accertamento di conformità "ordinario" di cui agli articoli 36 e 36 bis? vediamolo insieme.

Immagine generata con Ideogram AI su prompt dell'autore


introduzione

Il legislatore con questo nuovo art. 34 ter ha sicuramente voluto dare una risposta alle molte persone che, giustamente, si lamentano del fatto che le difformità pregresse, quando eseguite dal costruttore durante l'edificazione del fabbricato e mai rilevate nel corso del tempo, finiscono per gravare sul proprietario dell'immobile il quale ha la sola "colpa" di trovarsi per le mani la proprietà al momento in cui qualcuno scopre le difformità e che quindi deve mettere mano al portafoglio per risolvere dei problemi che in verità non ha generato lui. Anzitutto, per evitare queste situazioni che possono essere non solo spiacevoli se scoperte dopo un compromesso di vendita o dopo un rogito ma anche e soprattutto costose, conviene sempre affidarsi ad un tecnico esperto di Due Diligence Immobiliare per analizzare la legittimità dell'immobile ancora prima di pensare di metterlo in vendita (chi scrive è un tecnico Architetto e Geometra che svolge questo servizio su Roma e che sulla compravendita immobiliare ha scritto un libro specifico e, per casi particolari, anche nel Lazio: se interessati ai miei servizi consultate la mia pagina "chi sono-contatti"). 

La norma appare essere direttamente dedicata a chi si trova nella condizione di aver riscontrato a posteriori che l'edificio in cui si trova il proprio immobile è stato realizzato, fin dall'originario costruttore, in modo differente rispetto al progetto edilizio: può essere una finestra spostata, un dettaglio architettonico realizzato in modo diverso ma può essere anche un leggero disallineamento della sagoma o un differente assetto del fabbricato. Entro certi limiti che vedremo, il nuovo art. 34 ter vuole rispondere da un lato all'esigenza di facilitare la regolarizzazione di situazioni di cui nella stragrande maggioranza dei casi i proprietari attuali non sono colpevoli, e dall'altra certificare in qualche modo il fatto che il trascorrere del tempo può garantire un determinato beneficio in termini amministrativi, purché in limitatissime situazioni e senza evitare comunque di dover procedere alla presentazione di una istanza edilizia.

Il rilevare a posteriori delle difformità di cui il proprietario non ha colpe comporta comunque l'obbligo di porre rimedio da un punto di vista amministrativo, in quanto le difformità edilizie rimangono tali finché non vengono gestite, e non basta il solo passare del tempo affinché si possano risolvere "da sole": nella legislazione italiana, difatti, il passare del tempo incide solo sul reato penale eventualmente connesso all'abuso, ma non sulla violazione amministrativa la quale anche a distanza di molti decenni deve essere comunque colmata, o con un accertamento di conformità, o con un ripristino o, come vedremo tra poco, anche con una nuova procedura di presentazione di una variante in corso d'opera "postuma" o "differita".

La fattispecie della norma introdotta dall'art. 34 ter è tutto sommato semplice: dare la possibilità di presentare, ad oggi, quella variante in corso d'opera che non fu depositata dal costruttore ma che avrebbe dovuto essere presentata laddove durante la costruzione fossero state apportate delle modifiche al progetto edilizio originario. La necessità di presentare una variante scaturisce dalla stessa definizione di stato legittimo di cui all'art. 9 bis comma 1 bis DPR 380/01 secondo il quale lo stato legittimo di un immobile è quello impresso dal titolo edilizio che ne ha originato la costruzione e/o dagli altri titoli o circostanze che possono concorrere a definirlo.

In verità fino alla pubblicazione della L. 10/1977 non era affatto chiaro se ed in quali circostanze effettivamente era dovuta la presentazione di una variante, in quanto la struttura delle norme antecedenti al 1977 non forniva né una definizione chiara di stato legittimo né una precisa indicazione di cosa fare in caso di varianti apportate dal costruttore durante il cantiere. Tuttavia, nei comuni che si erano nel frattempo dotati di regolamenti edilizi puntuali e specifici nel merito della definizione delle opere o anche della disciplina delle varianti in corso d'opera, l'obbligo di procedere ad una variante in corso d'opera poteva essere già definito. Ad esempio a Roma l'obbligo di variante può retrodatarsi al 1934 in quanto il regolamento edilizio, nella sua versione già vigente a quel tempo, prevedeva, ai sensi dell'art. 12, il divieto di apportare "modifiche arbitrarie" al progetto a pena di annullamento della licenza. Ciò però non significa, a parere di chi scrive, che non si possa comunque applicare le disposizioni dell'art. 34 ter, in quanto non incompatibile con eventuali obblighi pregressi dovuti a normativa locale puntuale.

Introdotto il tema, vediamo il testo vigente al momento di scrivere il presente post:

Art. 34-ter - Casi particolari di interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo.

1. Gli interventi realizzati come varianti in corso d'opera che costituiscono parziale difformità dal titolo rilasciato prima della data di entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e che non sono riconducibili ai casi di cui all'articolo 34-bis possono essere regolarizzati con le modalità di cui ai commi 2 e 3, sentite le amministrazioni competenti secondo la normativa di settore.

2. L'epoca di realizzazione delle varianti di cui al comma 1 è provata mediante la documentazione di cui all'articolo 9-bis, comma 1-bis, quarto e quinto periodo. Nei casi in cui sia impossibile accertare l'epoca di realizzazione della variante mediante la documentazione indicata nel primo periodo, il tecnico incaricato attesta la data di realizzazione con propria dichiarazione e sotto la propria responsabilità. In caso di dichiarazione falsa o mendace si applicano le sanzioni penali, comprese quelle previste dal capo VI del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

3. Nei casi di cui al comma 1, il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile possono regolarizzare l'intervento mediante presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività e il pagamento, a titolo di oblazione, di una somma determinata ai sensi dell'articolo 36-bis, comma 5. L'amministrazione competente adotta i provvedimenti di cui all'articolo 19, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche nel caso in cui accerti l'interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione delle opere.
Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 36-bis, commi 4 e 6.
Per gli interventi di cui al comma 1 eseguiti in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica resta fermo quanto previsto dall'articolo 36-bis, comma 5-bis.

4. Le parziali difformità, realizzate durante l'esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, accertate all'esito di sopralluogo o ispezione dai funzionari incaricati di effettuare verifiche di conformità edilizia, rispetto alle quali non sia seguito un ordine di demolizione o di riduzione in pristino e sia stata rilasciata la certificazione di abitabilità o di agibilità nelle forme previste dalla legge, non annullabile ai sensi dell'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, sono soggette, in deroga a quanto previsto dall'articolo 34, alla disciplina delle tolleranze costruttive di cui all'articolo 34-bis

il comma 1: i confini dell'applicabilità

Come si legge nel comma 1, il legislatore fa riferimento proprio alla L. 10/77 per i motivi scritti più sopra: ciò comunque significa che l'adempimento "semplificato" previsto dal 34 ter può applicarsi solo ed esclusivamente a fabbricati edificati prima dell'entrata in vigore di questa legge. La norma fa riferimento al momento del rilascio del titolo e non alla effettiva conclusione dei lavori, dunque se una licenza è stata rilasciata prima del 1977 ma l'edificio è stato completato dopo, la norma rimane comunque applicabile perché fa fede la data di presentazione del titolo. La legge 10 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 29 gennaio 1977 e, ai sensi del suo art. 22, è entrata in vigore il giorno successivo, dunque la data spartiacque dell'art. 34 ter è da individuarsi nel 30 gennaio 1977.

Sempre il comma 1 individua che la norma si applica se le difformità riscontrate non sono riconducibili all'art. 34 bis relativo alle tolleranze costruttive: attenzione perché la norma non da la facoltà di optare tra 34 bis e 34 ter ma è perentoria, dunque se si ricade nelle tolleranze l'art. 34 ter risulterà non applicabile (e presumibilmente inefficace l'eventuale SCIA depositata). Naturalmente, è molto probabile che nell'analisi delle difformità di un fabbricato vi siano opere che ricadono nelle tolleranze ed opere che invece ne superano i confini: in tal caso a parere di chi scrive è sempre possibile presentare un art. 34 ter al cui interno potranno trovare posto le opportune dichiarazioni relative alle tolleranze individuate e che potranno non essere oggetto di calcolo della sanzione. Sulle tolleranze costruttive come innovate dal decreto salva-casa non ho ancora scritto un post specifico ma sull'e-book scritto a quattro mani con l'avv. Andrea di Leo trovate un capitolo esclusivamente dedicato a questo argomento.

L'articolo 34 ter comma 1 (e commi 2 e 3 collegati) dunque si applica all'interno di precisi confini: deve trattarsi di una "variante in corso d'opera" (vedi approfondimento sotto) e contestualmente le difformità devono potersi ascrivere all'alveo delle parziali difformità, dunque escludendo le opere classificabili come in totale difformità dal titolo ma anche le variazioni essenziali. Ciò comporta un corto-circuito interpretativo e fa evidenziare tutta la limitatezza del dover stabilire le competenze dei titoli edilizi in base a definizioni di gravità degli abusi di fatto inesistenti nel TUE: non potendo gestire le opere di variazione essenziale ma "solo" di parziale difformità, l'art. 34 ter ha i seguenti problemi:

  • non vi è certezza interpretativa circa le opere che oggettivamente possono essere gestite attraverso questo strumento: l'assenza di una chiara interpretazione delle difformità parziali creerà senz'altro incertezza interpretativa;
  • rimane di "livello" inferiore al 36-bis e non ne è quindi una completa alternativa, in quanto solo con quest'ultimo è possibile gestire anche le varianti essenziali.

Appare il caso di ricordare che le tolleranze costruttive hanno un loro specifico ambito di applicabilità e non necessariamente si tratta di eseguire la stessa, identica procedura. Si può suggerire, tuttavia, di iniziare la valutazione delle difformità di un edificio partendo dalle tolleranze costruttive e valutarne la riferibilità all'art. 34 bis; laddove si osservi uno sconfinamento oltre detti confini, allora si dovrà valutare se operare ai sensi dell'art. 34 ter, ove ne ricorrano i presupposti, ovvero ai sensi dell'art. 36 bis (la sanatoria "ordinaria" ma che in più rispetto al 34 ter può gestire anche le varianti essenziali). Si tratta quindi di eseguire una valutazione per livelli di gravità: ai livelli più bassi si potrà dichiarare la sussistenza delle tolleranze; oltre tale limite, si passerà agli articoli 34 ter e 36 bis da valutare caso per caso; al di sopra ancora, per le difformità più gravi, occorrerà considerare invece di applicare l'art. 36 (opere eseguite in assenza o in difformità totale dal Permesso) oppure eventualmente la fiscalizzazione dell'abuso ai sensi dell'art. 34. Se si va ancora oltre, quindi casi drammatici di difformità, si dovrà valutare la demolizione per riduzione in pristino. Dunque come si vede, l'art. 34 ter non va inteso, a parere di chi scrive, come una soluzione per tutti i problemi, ma si va ad inserire in una "scaletta" di titoli edilizi che vanno scelti in funzione della fattispecie di difformità in cui si ricade.

le responsabilità del tecnico

nel comma 2 è contenuta la disciplina di una delle parti più importanti della procedura, ovvero quella che attribuisce al tecnico la responsabilità di accertare l'effettiva epoca di realizzazione delle opere in variante. Più che altro, ciò che viene chiesto al tecnico di verificare è che effettivamente le opere oggetto di art. 34 ter siano effettivamente delle varianti operate dal costruttore durante lo svolgimento del cantiere, e non, invece, delle trasformazioni successive apportate al di fuori della validità della originaria licenza. Ciò che difatti appare chiaro fin da subito è che il 34 ter opera esclusivamente nell'ambito di quelle opere che sono state eseguite in difformità dal titolo ma durante la sua vigenza, dunque prima del collaudo: ciò anzitutto significa che tale procedura può essere attuata in un edificio nel cui fascicolo di progetto sia presente anche il collaudo o la certificazione di inizio e fine lavori (attenzione, non fa fede il collaudo strutturale che si faceva a completamento delle strutture, ma non a completamento dell'edificio). In generale è importante accertarsi che non si tratti di un edificio non completato entro la validità del titolo originario: nel passato non vi era una durata precisa dei titoli abilitativi ma con il DPR 380/01 questa durata è stata stabilita in tre anni, con possibilità di un solo rinnovo in casi particolari. Le attività di verifica del tecnico devono quindi tendere ad acquisire tutti quegli elementi utili a comprendere se le varianti sono effettivamente riferibili all'epoca della stessa costruzione, e non siano posteriori.

Una documentazione sicuramente efficace nel testimoniare che le difformità sono state eseguite durante la vigenza del titolo possono essere gli accatastamenti di primo impianto, purché questi siano stati depositati in catasto prima del collaudo o dell'agibilità; ciò sicuramente avviene per gli edifici di recente costruzione dove l'accatastamento è uno dei requisiti per l'agibilità, ma in passato non era così e non è raro che gli accatastamenti siano successivi, anche di qualche anno, rispetto alla conclusione del cantiere. E' naturalmente il tecnico che deve valutare caso per caso, in quanto se ne assume la responsabilità.

Nel caso in cui il tecnico attesti che le difformità sono state eseguite successivamente alla costruzione o che comunque non sia possibile in modo del tutto certo stabilire l'epoca di realizzazione delle stesse, si valuti di procedere con accertamento di conformità ordinario ai sensi degli articoli 36 e 36 bis che rimangono naturalmente sempre applicabili anche ai casi di varianti mai presentate; peraltro l'accertamento di conformità diventa l'unico modo di sanare delle difformità eseguite dal costruttore ma su edifici costruiti successivamente al 1977.

l'agibilità sanante: principi e condizioni

prima di parlare del comma 3, che è quello che individua la procedura, preferisco prima parlare del comma 4, il quale introduce un'altra novità non secondaria nel panorama edilizio in quanto consente di elevare, di fatto, a titoli legittimanti dei documenti che fino a prima dell'approvazione del decreto non erano considerati edilizi, come ad esempio l'agibilità. Vi è giurisprudenza praticamente unanime che stabilisce che l'agibilità non è un titolo edilizio e che non può produrre effetti sananti: il comma 4 non va a scardinare questa concezione ma aggiunge una casistica specifica che, se verificata, può effettivamente elevare a "titolo edilizio" anche una agibilità. Deve verificarsi la precisa condizione che i funzionari amministrativi preposti alle verifiche di conformità edilizia abbiano effettuato un sopralluogo in cantiere, abbiano riscontrato delle difformità, ma, anche a seguito della verbalizzazione, il comune non abbia proceduto ad attivare le procedure repressive entro i termini stabiliti dall'art. 21 nonies L. 241/90; altra condizione è che pure in presenza di questi rilievi sia stata rilasciata comunque l'agibiltà da parte del comune. In questo caso specifico, le difformità rientrano forzatamente nella casistica delle tolleranze e dunque non sono soggette ad obbligo di sanatoria.

Attenzione al fatto che il tecnico anche in questo caso non è esente da responsabilità: è infatti a questo che è chiesto di attestare la sussistenza delle tolleranze costruttive dunque è questi che assume il ruolo di verificatore delle condizioni per poter elevare l'agibilità a titolo sanante. Per esperienza personale, anche se chi scrive opera a Roma e questa potrebbe essere una condizione particolare, è abbastanza raro trovare nei verbali degli appunti specifici relativi alle difformità riscontrate e, spesso, i funzionari non sono dei tecnici amministrativi ma dei rappresentanti dell'ufficio di igiene (dato che l'agibilità afferisce più ai temi igienico-sanitari), dunque ci si potrebbe legittimamente chiedere se un funzionario dell'ufficio di igiene abbia la qualifica per poter attestare le difformità edilizie. Diciamo che le norme edilizie e quelle igienico-sanitarie sono in qualche modo compenetrate fra loro dunque non è forse un errore dire che anche questi funzionari possono essere ascritti all'interno di quelli incaricati di verificare la conformità edilizia: naturalmente sta al tecnico privato che attesta la conformità ed al suo committente valutare caso per caso, anche perché dipende da quali difformità vengono riscontrate. Se si parla di altezze, distanze, aggetti, volumi imponibili o altro potrebbe trattarsi di ambiti di non completa competenza dei funzionari dell'ufficio di igiene, ma se si parla di dimensioni delle finestre, affacci, superfici interne degli alloggi, rapporti aeroilluminanti, locali seminterrati o dotazioni comuni quali stenditoi e lavatoi, allora anche il funzionario dell'ufficio di igiene può ritenersi qualificato per valutare le relative difformità.

Il comma 4 appare applicabile anche per edifici successivi al 1977 in quanto non è richiamata espressamente la confinazione del comma 1, dunque può ritenersi applicabile anche per le costruzioni a venire. tuttavia, una delle condizioni del comma 4 è che l'agibilità sia stata "rilasciata" nelle forme previste dalla legge: va ricordato che ad oggi l'agibilità non è "rilasciata" ma è solo acquisita previa segnalazione da parte dell'interessato. Qui si può aprire un dibattito sulla effettiva valenza della parola "rilasciata" e se questa possa riferirsi anche alle agibilità acquisite per segnalazione, ma farò un approfondimento su un altro post appena ne avrò l'opportunità. Comunque, laddove si confermasse che l'agibilità deve essere materialmente "rilasciata" dall'ufficio, va da se che il comma 4 non può essere applicabile per gli immobili recenti o per quelli a venire nel futuro in quanto non è previsto detto "rilascio".

attuare l'art. 34 ter

Veniamo ora al comma 3, ovvero quello che definisce le forme dell'istanza di variante postuma. Viene indicato che è possibile regolarizzare la situazione presentando una Segnalazione Certificata, pagando una oblazione determinata secondo le forme stabilite dall'art. 36 bis. La norma richiama espressamente diversi commi dell'art. 36 bis sicché le due procedure rischiano di andarsi a sovrapporre a livello amministrativo, facendo sorgere il dubbio che in effetti non vi sia una differenza sostanziale tra le due procedure. Andiamo in dettaglio di questa affermazione.

Anzitutto, per quanto riguarda la conformità, va fatto notare che questa non è richiamata né nell'art. 34 ter, né è ricompresa nei commi dell'art. 36 bis espressamente evocati: dunque si potrebbe dedurre che la conformità non è un parametro che afferisce alla procedura dell'art. 34 ter. Tuttavia, a parere del sottoscritto, il concetto di conformità è comunque tacito ed implicito nella stessa procedura, in quanto ai sensi del comma 1 si tratta di interventi che rientrano nella definizione di "variante in corso d'opera"; in verità non esiste una definizione chiara di variante se non quella dell'art 15 della L. 10/1977, ma è implicito che una variante in corso d'opera è ammissibile solo laddove le opere apportate in variante siano conformi alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente al momento della costruzione*: altrimenti opinando, l'art. 34 ter trasformerebbe il legittimo affidamento in un condono edilizio e non appare essere questo il senso della norma.

*appare utile riportare uno stralcio dell'art. 15 della L. 10/77 a cui si ritiene che l'art. 34 ter stia facendo implicito riferimento: "Non si precede alla demolizione ovvero all'applicazione della sanzione di cui al comma precedente nel caso di realizzazione di varianti, purché esse non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e non modifichino la sagoma, le superfici utili e la destinazione d'uso delle costruzioni per le quali è stata rilasciata la concessione. Le varianti dovranno comunque essere approvate prima del rilascio del certificato di abitabilità."

Dunque per evidenziare le differenze tra art. 34 ter ed art. 36 bis, possiamo enucleare le seguenti:

  • il 36 bis prevede la conformità disgiunta, cioè l'opera deve essere conforme alle norme urbanistiche vigenti al momento della presentazione della SCIA ed a quelle edilizie vigenti all'epoca di realizzazione dell'abuso: per il 34 ter invece si potrebbe dedurre che la conformità sia da verificarsi rispetto alle norme sia edilizie che urbanistiche in vigore all'epoca di realizzazione delle difformità;
  • il 34 bis nell'evocare i commi del 36 bis omette il 3 bis relativo alle procedure di verifica della sicurezza sismica, dunque si potrebbe dedurre che il 34 ter è esentato da tale incombenza; tuttavia, attenzione ai casi in cui oltre alle difformità sanabili si debba anche contestualmente attestare la sussistenza delle tolleranze costruttive, perché allora diventerebbe operativo l'art. 34 bis, in sovrapposizione al 34 ter, ed anche il suo comma 3 bis;
  • come visto, il 34 ter ha dei presupposti specifici per la sua applicazione che il 36 bis ovviamente non ha;
  • l'art. 36 bis contiene la possibilità di eseguire opere di conformazione per ottenere uno stato "sanabile" e tale possibilità è sancita dal suo comma 2: tale comma non è citato nel 34 ter il quale in generale non sembra possedere la possibilità di eseguire opere conformative delle varianti non presentate.
Per quanto riguarda il resto, ivi compresa la procedura speciale di sanatoria paesaggistica, non appaiono differenze radicali tra 36 bis e 34 ter così come non appare diversa neppure la procedura amministrativa in quanto in entrambi i casi si parla di SCIA. Nel 34 ter è comunque espressamente previsto che il comune possa attivare le procedure repressive e quindi respingere la SCIA di accertamento qualora accerti che le opere eseguite in variante siano in contrasto con un qualche specifico interesse pubblico che meriti tutela (e che non può essere solo l'ordinato sviluppo del territorio). Questa specifica contenuta sempre nel comma 3 lascerebbe pensare che l'intento originario del legislatore fosse quello di consentire una sanatoria di opere anche non conformi alla regolamentazione in vigore al momento dell'esecuzione degli abusi, perché in caso contrario apparirebbe un eccesso di normazione; tuttavia, se l'intento fosse stato questo, il comma 1 a parere di chi scrive avrebbe dovuto essere scritto in modo differente.

E' importante ricordare ancora una volta che 34 ter e 36 bis non sono alternativi fra loro: ciascuno va utilizzato in funzione dei precisi confini di attuazione e talvolta, anche in presenza di difformità eseguite durante la costruzione, potrebbe essere necessario ricorrere al 36 bis laddove ad esempio sia necessario provvedere a delle opere conformative. La legge lascia decidere al tecnico quale sia lo strumento migliore: da questo punto di vista mi sembra di poter dire che l'art. 34 ter, escludendo il comma 4, altro non sia che un caso speciale di 36 bis.

Se riscontrate delle difformità che non rispettano i presupposti del 34 ter ricordate che ad oggi è possibile eseguire la fiscalizzazione dell'abuso con una procedura un po' più chiara di prima e beneficiare anche del fatto che il pagamento della relativa sanzione oggi "concorre" alla determinazione dello stato legittimo.

Come sempre attendo suggerimenti, commenti ed anche critiche possibilmente strutturate al presente testo; quanto qui sopra riportato è frutto dell'esperienza e della valutazione dell'autore il quale garantisce il massimo dell'affidabilità. Parallelamente, però, non si assume alcuna responsabilità in caso in cui qualcuno decidesse di effettuare valutazioni e/o depositare istanze facendo riferimento a quanto qui sopra riportato, in quanto la responsabilità è sempre e solo di chi firma, sia come committente che come tecnico.



Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per il commento. verifica di essere "nell'argomento" giusto: ho scritto diversi post su vari argomenti, prima di commentare controlla che il quesito non sia più idoneo ad altri post; puoi verificare i miei post cliccando in alto nel link "indice dei post". I commenti inseriti nella pagina "chi sono - contatti" non riesco più a leggerli, quindi dovrete scrivere altrove: cercate il post con l'argomento più simile. In genere cerco di rispondere a tutti nel modo più esaustivo possibile, tuttavia potrei non rispondere, o farlo sbrigativamente, se l'argomento è stato già trattato in altri commenti o nel post stesso. Sono gradite critiche e più di ogni altro i confronti e le correzioni di eventuali errori a concetti o procedure indicate nel post. Se hai un quesito delicato o se non riesci a pubblicare, puoi scrivermi in privato agli indirizzi che trovi nella pagina "chi sono - contatti". Sul blog non posso (e non mi sembra giusto) pubblicare le mie tariffe professionali: scrivimi un email per un preventivo senza impegno. Grazie.