Il Decreto Salva-Casa (D.L. 69/2024 convertito con L. 105/24 riguardo a cui chi scrive è coautore di questo ebook dedicato) ha apportato diverse innovazioni al testo unico dell'edilizia, senza snaturarne la struttura, ma andando puntualmente a modificare alcuni dettagli che, nel complesso, vanno effettivamente a rendere meno complessi alcuni ambiti nelle sanatorie delle difformità pregresse riscontrabili sugli edifici esistenti. Una di queste novità, che vuole essere l'approfondimento del post di oggi, è quella che porta con sé il nuovo art. 34 ter DPR 380/01, che introduce di fatto la possibilità di depositare una variante "postuma" alla originaria costruzione dell'edificio, a determinate condizioni. Che differenza c'è tra questa nuova procedura e l'accertamento di conformità "ordinario" di cui agli articoli 36 e 36 bis? vediamolo insieme.
introduzione
Il legislatore con questo nuovo art. 34 ter ha sicuramente voluto dare una risposta alle molte persone che, giustamente, si lamentano del fatto che le difformità pregresse, quando eseguite dal costruttore durante l'edificazione del fabbricato e mai rilevate nel corso del tempo, finiscono per gravare sul proprietario dell'immobile il quale ha la sola "colpa" di trovarsi per le mani la proprietà al momento in cui qualcuno scopre le difformità e che quindi deve mettere mano al portafoglio per risolvere dei problemi che in verità non ha generato lui. Anzitutto, per evitare queste situazioni che possono essere non solo spiacevoli se scoperte dopo un compromesso di vendita o dopo un rogito ma anche e soprattutto costose, conviene sempre affidarsi ad un tecnico esperto di Due Diligence Immobiliare per analizzare la legittimità dell'immobile ancora prima di pensare di metterlo in vendita (chi scrive è un tecnico Architetto e Geometra che svolge questo servizio su Roma e che sulla compravendita immobiliare ha scritto un libro specifico e, per casi particolari, anche nel Lazio: se interessati ai miei servizi consultate la mia pagina "chi sono-contatti").
La norma appare essere direttamente dedicata a chi si trova nella condizione di aver riscontrato a posteriori che l'edificio in cui si trova il proprio immobile è stato realizzato, fin dall'originario costruttore, in modo differente rispetto al progetto edilizio: può essere una finestra spostata, un dettaglio architettonico realizzato in modo diverso ma può essere anche un leggero disallineamento della sagoma o un differente assetto del fabbricato. Entro certi limiti che vedremo, il nuovo art. 34 ter vuole rispondere da un lato all'esigenza di facilitare la regolarizzazione di situazioni di cui nella stragrande maggioranza dei casi i proprietari attuali non sono colpevoli, e dall'altra certificare in qualche modo il fatto che il trascorrere del tempo può garantire un determinato beneficio in termini amministrativi, purché in limitatissime situazioni e senza evitare comunque di dover procedere alla presentazione di una istanza edilizia.
Il rilevare a posteriori delle difformità di cui il proprietario non ha colpe comporta comunque l'obbligo di porre rimedio da un punto di vista amministrativo, in quanto le difformità edilizie rimangono tali finché non vengono gestite, e non basta il solo passare del tempo affinché si possano risolvere "da sole": nella legislazione italiana, difatti, il passare del tempo incide solo sul reato penale eventualmente connesso all'abuso, ma non sulla violazione amministrativa la quale anche a distanza di molti decenni deve essere comunque colmata, o con un accertamento di conformità, o con un ripristino o, come vedremo tra poco, anche con una nuova procedura di presentazione di una variante in corso d'opera "postuma" o "differita".
La fattispecie della norma introdotta dall'art. 34 ter è tutto sommato semplice: dare la possibilità di presentare, ad oggi, quella variante in corso d'opera che non fu depositata dal costruttore ma che avrebbe dovuto essere presentata laddove durante la costruzione fossero state apportate delle modifiche al progetto edilizio originario. La necessità di presentare una variante scaturisce dalla stessa definizione di stato legittimo di cui all'art. 9 bis comma 1 bis DPR 380/01 secondo il quale lo stato legittimo di un immobile è quello impresso dal titolo edilizio che ne ha originato la costruzione e/o dagli altri titoli o circostanze che possono concorrere a definirlo.
In verità fino alla pubblicazione della L. 10/1977 non era affatto chiaro se ed in quali circostanze effettivamente era dovuta la presentazione di una variante, in quanto la struttura delle norme antecedenti al 1977 non forniva né una definizione chiara di stato legittimo né una precisa indicazione di cosa fare in caso di varianti apportate dal costruttore durante il cantiere. Tuttavia, nei comuni che si erano nel frattempo dotati di regolamenti edilizi puntuali e specifici nel merito della definizione delle opere o anche della disciplina delle varianti in corso d'opera, l'obbligo di procedere ad una variante in corso d'opera poteva essere già definito. Ad esempio a Roma l'obbligo di variante può retrodatarsi al 1934 in quanto il regolamento edilizio, nella sua versione già vigente a quel tempo, prevedeva, ai sensi dell'art. 12, il divieto di apportare "modifiche arbitrarie" al progetto a pena di annullamento della licenza. Ciò però non significa, a parere di chi scrive, che non si possa comunque applicare le disposizioni dell'art. 34 ter, in quanto non incompatibile con eventuali obblighi pregressi dovuti a normativa locale puntuale.
Introdotto il tema, vediamo il testo vigente al momento di scrivere il presente post:
Art. 34-ter - Casi particolari di interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo.
1. Gli interventi realizzati come varianti in corso d'opera che costituiscono parziale difformità dal titolo rilasciato prima della data di entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e che non sono riconducibili ai casi di cui all'articolo 34-bis possono essere regolarizzati con le modalità di cui ai commi 2 e 3, sentite le amministrazioni competenti secondo la normativa di settore.
2. L'epoca di realizzazione delle varianti di cui al comma 1 è provata mediante la documentazione di cui all'articolo 9-bis, comma 1-bis, quarto e quinto periodo. Nei casi in cui sia impossibile accertare l'epoca di realizzazione della variante mediante la documentazione indicata nel primo periodo, il tecnico incaricato attesta la data di realizzazione con propria dichiarazione e sotto la propria responsabilità. In caso di dichiarazione falsa o mendace si applicano le sanzioni penali, comprese quelle previste dal capo VI del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
3. Nei casi di cui al comma 1, il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile possono regolarizzare l'intervento mediante presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività e il pagamento, a titolo di oblazione, di una somma determinata ai sensi dell'articolo 36-bis, comma 5. L'amministrazione competente adotta i provvedimenti di cui all'articolo 19, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche nel caso in cui accerti l'interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione delle opere.
Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 36-bis, commi 4 e 6.
Per gli interventi di cui al comma 1 eseguiti in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica resta fermo quanto previsto dall'articolo 36-bis, comma 5-bis.
4. Le parziali difformità, realizzate durante l'esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, accertate all'esito di sopralluogo o ispezione dai funzionari incaricati di effettuare verifiche di conformità edilizia, rispetto alle quali non sia seguito un ordine di demolizione o di riduzione in pristino e sia stata rilasciata la certificazione di abitabilità o di agibilità nelle forme previste dalla legge, non annullabile ai sensi dell'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, sono soggette, in deroga a quanto previsto dall'articolo 34, alla disciplina delle tolleranze costruttive di cui all'articolo 34-bis
il comma 1: i confini dell'applicabilità
Come si legge nel comma 1, il legislatore fa riferimento proprio alla L. 10/77 per i motivi scritti più sopra: ciò comunque significa che l'adempimento "semplificato" previsto dal 34 ter può applicarsi solo ed esclusivamente a fabbricati edificati prima dell'entrata in vigore di questa legge. La norma fa riferimento al momento del rilascio del titolo e non alla effettiva conclusione dei lavori, dunque se una licenza è stata rilasciata prima del 1977 ma l'edificio è stato completato dopo, la norma rimane comunque applicabile perché fa fede la data di presentazione del titolo. La legge 10 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 29 gennaio 1977 e, ai sensi del suo art. 22, è entrata in vigore il giorno successivo, dunque la data spartiacque dell'art. 34 ter è da individuarsi nel 30 gennaio 1977.
Sempre il comma 1 individua che la norma si applica se le difformità riscontrate non sono riconducibili all'art. 34 bis relativo alle tolleranze costruttive: attenzione perché la norma non da la facoltà di optare tra 34 bis e 34 ter ma è perentoria, dunque se si ricade nelle tolleranze l'art. 34 ter risulterà non applicabile (e presumibilmente inefficace l'eventuale SCIA depositata). Naturalmente, è molto probabile che nell'analisi delle difformità di un fabbricato vi siano opere che ricadono nelle tolleranze ed opere che invece ne superano i confini: in tal caso a parere di chi scrive è sempre possibile presentare un art. 34 ter al cui interno potranno trovare posto le opportune dichiarazioni relative alle tolleranze individuate e che potranno non essere oggetto di calcolo della sanzione. Sulle tolleranze costruttive come innovate dal decreto salva-casa non ho ancora scritto un post specifico ma sull'e-book scritto a quattro mani con l'avv. Andrea di Leo trovate un capitolo esclusivamente dedicato a questo argomento.
L'articolo 34 ter comma 1 (e commi 2 e 3 collegati) dunque si applica all'interno di precisi confini: deve trattarsi di una "variante in corso d'opera" (vedi approfondimento sotto) e contestualmente le difformità devono potersi ascrivere all'alveo delle parziali difformità, dunque escludendo le opere classificabili come in totale difformità dal titolo ma anche le variazioni essenziali. Ciò comporta un corto-circuito interpretativo e fa evidenziare tutta la limitatezza del dover stabilire le competenze dei titoli edilizi in base a definizioni di gravità degli abusi di fatto inesistenti nel TUE: non potendo gestire le opere di variazione essenziale ma "solo" di parziale difformità, l'art. 34 ter ha i seguenti problemi:
- non vi è certezza interpretativa circa le opere che oggettivamente possono essere gestite attraverso questo strumento: l'assenza di una chiara interpretazione delle difformità parziali creerà senz'altro incertezza interpretativa;
- rimane di "livello" inferiore al 36-bis e non ne è quindi una completa alternativa, in quanto solo con quest'ultimo è possibile gestire anche le varianti essenziali.
Appare il caso di ricordare che le tolleranze costruttive hanno un loro specifico ambito di applicabilità e non necessariamente si tratta di eseguire la stessa, identica procedura. Si può suggerire, tuttavia, di iniziare la valutazione delle difformità di un edificio partendo dalle tolleranze costruttive e valutarne la riferibilità all'art. 34 bis; laddove si osservi uno sconfinamento oltre detti confini, allora si dovrà valutare se operare ai sensi dell'art. 34 ter, ove ne ricorrano i presupposti, ovvero ai sensi dell'art. 36 bis (la sanatoria "ordinaria" ma che in più rispetto al 34 ter può gestire anche le varianti essenziali). Si tratta quindi di eseguire una valutazione per livelli di gravità: ai livelli più bassi si potrà dichiarare la sussistenza delle tolleranze; oltre tale limite, si passerà agli articoli 34 ter e 36 bis da valutare caso per caso; al di sopra ancora, per le difformità più gravi, occorrerà considerare invece di applicare l'art. 36 (opere eseguite in assenza o in difformità totale dal Permesso) oppure eventualmente la fiscalizzazione dell'abuso ai sensi dell'art. 34. Se si va ancora oltre, quindi casi drammatici di difformità, si dovrà valutare la demolizione per riduzione in pristino. Dunque come si vede, l'art. 34 ter non va inteso, a parere di chi scrive, come una soluzione per tutti i problemi, ma si va ad inserire in una "scaletta" di titoli edilizi che vanno scelti in funzione della fattispecie di difformità in cui si ricade.
le responsabilità del tecnico
nel comma 2 è contenuta la disciplina di una delle parti più importanti della procedura, ovvero quella che attribuisce al tecnico la responsabilità di accertare l'effettiva epoca di realizzazione delle opere in variante. Più che altro, ciò che viene chiesto al tecnico di verificare è che effettivamente le opere oggetto di art. 34 ter siano effettivamente delle varianti operate dal costruttore durante lo svolgimento del cantiere, e non, invece, delle trasformazioni successive apportate al di fuori della validità della originaria licenza. Ciò che difatti appare chiaro fin da subito è che il 34 ter opera esclusivamente nell'ambito di quelle opere che sono state eseguite in difformità dal titolo ma durante la sua vigenza, dunque prima del collaudo: ciò anzitutto significa che tale procedura può essere attuata in un edificio nel cui fascicolo di progetto sia presente anche il collaudo o la certificazione di inizio e fine lavori (attenzione, non fa fede il collaudo strutturale che si faceva a completamento delle strutture, ma non a completamento dell'edificio). In generale è importante accertarsi che non si tratti di un edificio non completato entro la validità del titolo originario: nel passato non vi era una durata precisa dei titoli abilitativi ma con il DPR 380/01 questa durata è stata stabilita in tre anni, con possibilità di un solo rinnovo in casi particolari. Le attività di verifica del tecnico devono quindi tendere ad acquisire tutti quegli elementi utili a comprendere se le varianti sono effettivamente riferibili all'epoca della stessa costruzione, e non siano posteriori.
Una documentazione sicuramente efficace nel testimoniare che le difformità sono state eseguite durante la vigenza del titolo possono essere gli accatastamenti di primo impianto, purché questi siano stati depositati in catasto prima del collaudo o dell'agibilità; ciò sicuramente avviene per gli edifici di recente costruzione dove l'accatastamento è uno dei requisiti per l'agibilità, ma in passato non era così e non è raro che gli accatastamenti siano successivi, anche di qualche anno, rispetto alla conclusione del cantiere. E' naturalmente il tecnico che deve valutare caso per caso, in quanto se ne assume la responsabilità.
Nel caso in cui il tecnico attesti che le difformità sono state eseguite successivamente alla costruzione o che comunque non sia possibile in modo del tutto certo stabilire l'epoca di realizzazione delle stesse, si valuti di procedere con accertamento di conformità ordinario ai sensi degli articoli 36 e 36 bis che rimangono naturalmente sempre applicabili anche ai casi di varianti mai presentate; peraltro l'accertamento di conformità diventa l'unico modo di sanare delle difformità eseguite dal costruttore ma su edifici costruiti successivamente al 1977.
l'agibilità sanante: principi e condizioni
prima di parlare del comma 3, che è quello che individua la procedura, preferisco prima parlare del comma 4, il quale introduce un'altra novità non secondaria nel panorama edilizio in quanto consente di elevare, di fatto, a titoli legittimanti dei documenti che fino a prima dell'approvazione del decreto non erano considerati edilizi, come ad esempio l'agibilità. Vi è giurisprudenza praticamente unanime che stabilisce che l'agibilità non è un titolo edilizio e che non può produrre effetti sananti: il comma 4 non va a scardinare questa concezione ma aggiunge una casistica specifica che, se verificata, può effettivamente elevare a "titolo edilizio" anche una agibilità. Deve verificarsi la precisa condizione che i funzionari amministrativi preposti alle verifiche di conformità edilizia abbiano effettuato un sopralluogo in cantiere, abbiano riscontrato delle difformità, ma, anche a seguito della verbalizzazione, il comune non abbia proceduto ad attivare le procedure repressive entro i termini stabiliti dall'art. 21 nonies L. 241/90; altra condizione è che pure in presenza di questi rilievi sia stata rilasciata comunque l'agibiltà da parte del comune. In questo caso specifico, le difformità rientrano forzatamente nella casistica delle tolleranze e dunque non sono soggette ad obbligo di sanatoria.
Attenzione al fatto che il tecnico anche in questo caso non è esente da responsabilità: è infatti a questo che è chiesto di attestare la sussistenza delle tolleranze costruttive dunque è questi che assume il ruolo di verificatore delle condizioni per poter elevare l'agibilità a titolo sanante. Per esperienza personale, anche se chi scrive opera a Roma e questa potrebbe essere una condizione particolare, è abbastanza raro trovare nei verbali degli appunti specifici relativi alle difformità riscontrate e, spesso, i funzionari non sono dei tecnici amministrativi ma dei rappresentanti dell'ufficio di igiene (dato che l'agibilità afferisce più ai temi igienico-sanitari), dunque ci si potrebbe legittimamente chiedere se un funzionario dell'ufficio di igiene abbia la qualifica per poter attestare le difformità edilizie. Diciamo che le norme edilizie e quelle igienico-sanitarie sono in qualche modo compenetrate fra loro dunque non è forse un errore dire che anche questi funzionari possono essere ascritti all'interno di quelli incaricati di verificare la conformità edilizia: naturalmente sta al tecnico privato che attesta la conformità ed al suo committente valutare caso per caso, anche perché dipende da quali difformità vengono riscontrate. Se si parla di altezze, distanze, aggetti, volumi imponibili o altro potrebbe trattarsi di ambiti di non completa competenza dei funzionari dell'ufficio di igiene, ma se si parla di dimensioni delle finestre, affacci, superfici interne degli alloggi, rapporti aeroilluminanti, locali seminterrati o dotazioni comuni quali stenditoi e lavatoi, allora anche il funzionario dell'ufficio di igiene può ritenersi qualificato per valutare le relative difformità.
Il comma 4 appare applicabile anche per edifici successivi al 1977 in quanto non è richiamata espressamente la confinazione del comma 1, dunque può ritenersi applicabile anche per le costruzioni a venire. tuttavia, una delle condizioni del comma 4 è che l'agibilità sia stata "rilasciata" nelle forme previste dalla legge: va ricordato che ad oggi l'agibilità non è "rilasciata" ma è solo acquisita previa segnalazione da parte dell'interessato. Qui si può aprire un dibattito sulla effettiva valenza della parola "rilasciata" e se questa possa riferirsi anche alle agibilità acquisite per segnalazione, ma farò un approfondimento su un altro post appena ne avrò l'opportunità. Comunque, laddove si confermasse che l'agibilità deve essere materialmente "rilasciata" dall'ufficio, va da se che il comma 4 non può essere applicabile per gli immobili recenti o per quelli a venire nel futuro in quanto non è previsto detto "rilascio".
attuare l'art. 34 ter
Veniamo ora al comma 3, ovvero quello che definisce le forme dell'istanza di variante postuma. Viene indicato che è possibile regolarizzare la situazione presentando una Segnalazione Certificata, pagando una oblazione determinata secondo le forme stabilite dall'art. 36 bis. La norma richiama espressamente diversi commi dell'art. 36 bis sicché le due procedure rischiano di andarsi a sovrapporre a livello amministrativo, facendo sorgere il dubbio che in effetti non vi sia una differenza sostanziale tra le due procedure. Andiamo in dettaglio di questa affermazione.
Anzitutto, per quanto riguarda la conformità, va fatto notare che questa non è richiamata né nell'art. 34 ter, né è ricompresa nei commi dell'art. 36 bis espressamente evocati: dunque si potrebbe dedurre che la conformità non è un parametro che afferisce alla procedura dell'art. 34 ter. Tuttavia, a parere del sottoscritto, il concetto di conformità è comunque tacito ed implicito nella stessa procedura, in quanto ai sensi del comma 1 si tratta di interventi che rientrano nella definizione di "variante in corso d'opera"; in verità non esiste una definizione chiara di variante se non quella dell'art 15 della L. 10/1977, ma è implicito che una variante in corso d'opera è ammissibile solo laddove le opere apportate in variante siano conformi alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente al momento della costruzione*: altrimenti opinando, l'art. 34 ter trasformerebbe il legittimo affidamento in un condono edilizio e non appare essere questo il senso della norma.
*appare utile riportare uno stralcio dell'art. 15 della L. 10/77 a cui si ritiene che l'art. 34 ter stia facendo implicito riferimento: "Non si precede alla demolizione ovvero all'applicazione della sanzione di cui al comma precedente nel caso di realizzazione di varianti, purché esse non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e non modifichino la sagoma, le superfici utili e la destinazione d'uso delle costruzioni per le quali è stata rilasciata la concessione. Le varianti dovranno comunque essere approvate prima del rilascio del certificato di abitabilità."
Va comunque riportato che esistono visioni diverse di questo specifico aspetto della norma: il 34 ter in effetti non indica in modo esplicito nessuna informazione circa le eventuali verifiche di rispondenza da effettuare dal che si potrebbe desumere che il legislatore vuole consentire di sanare qualunque cosa che possa essere riconducibile alle "difformità parziali" indipendentemente dalla loro effettiva rispondenza alle norme vigenti all'epoca dell'esecuzione dell'abuso. In questa ipotesi acquista maggiore senso la frase contenuta nell'articolo 34 ter che consente al comune di inibire in autotutela le SCIA depositate laddove ritenga che le difformità vadano ad interferire con qualche interesse pubblico: in sostanza secondo questa visione, l'art. 34 ter sarebbe applicabile sempre, indipendentemente dalla conformità dell'opera alle norme vigenti al momento della loro esecuzione, con la possibilità per il comune di inibire il titolo laddove le stesse siano in violazione di qualche specifico interesse (non astrattamente potrebbe anche essere il mancato rispetto delle norme vigenti all'epoca della realizzazione, con ciò chiudendo il "cerchio" rispetto a quanto prima affermato).
Spero che la questione venga risulta presto perché il tema è delicato e rischia di rendere inefficaci le istanze che verranno depositate nei primi tempi di vigenza della nuova norma.
Dunque per evidenziare le differenze tra art. 34 ter ed art. 36 bis, possiamo enucleare le seguenti:
- il 36 bis prevede la conformità disgiunta, cioè l'opera deve essere conforme alle norme urbanistiche vigenti al momento della presentazione della SCIA ed a quelle edilizie vigenti all'epoca di realizzazione dell'abuso: per il 34 ter invece si potrebbe dedurre che la conformità sia da verificarsi rispetto alle norme sia edilizie che urbanistiche in vigore all'epoca di realizzazione delle difformità;
- il 34 bis nell'evocare i commi del 36 bis omette il 3 bis relativo alle procedure di verifica della sicurezza sismica, dunque si potrebbe dedurre che il 34 ter è esentato da tale incombenza; tuttavia, attenzione ai casi in cui oltre alle difformità sanabili si debba anche contestualmente attestare la sussistenza delle tolleranze costruttive, perché allora diventerebbe operativo l'art. 34 bis, in sovrapposizione al 34 ter, ed anche il suo comma 3 bis;
- come visto, il 34 ter ha dei presupposti specifici per la sua applicazione che il 36 bis ovviamente non ha;
- l'art. 36 bis contiene la possibilità di eseguire opere di conformazione per ottenere uno stato "sanabile" e tale possibilità è sancita dal suo comma 2: tale comma non è citato nel 34 ter il quale in generale non sembra possedere la possibilità di eseguire opere conformative delle varianti non presentate.
Complimenti per l'interessante e dettagliato articolo. Comunque ho un dubbio il relazione al comma 4 della c.d. "agibilità sanante". Infatti, a fronte di circostanze specifiche ben delineate in relazione al verbale per il rilascio dell'agibilità, nel testo leggo "In questo caso specifico, le difformità rientrano forzatamente nella casistica delle tolleranze e dunque non sono soggette ad obbligo di sanatoria", ma, successivamente, nel paragrafo sull'attuazione leggo "che è possibile regolarizzare la situazione presentando una Segnalazione Certificata, pagando una oblazione determinata secondo le forme stabilite dall'art. 36 bis". Quindi il mio dubbio è: per quale motivo se le difformità inquadrabili nel comma 4 non sono soggette ad obbligo di sanatoria, per quale motivo occorre pagare una oblazione per sanarle? Oppure ho capito male e la descrizione dell'attuazione si riferisce solo alle difformità di cui al comma 2?
RispondiEliminail comma 4 è una fattispecie isolata e specifica: se ricorrono i presupposti, si tratta come tolleranza senza necessità di presentare titoli. la SCIA va depositata se invece si ricade nelle fattispecie del comma 1.
EliminaPerfetto! Quindi, ad esempio, se esistono parziali difformità, realizzate dal costruttore ed elencate nel verbale redatto dal funzionario comunale nella relazione di abitabilità che riporta "Costruzione conforme al proggetto approvato ad eccezione di: [segue lista difformità]" e l'abiltabilità risulta rilasciata, mai revocata e, comunque non più annullabile, un tecnico che dovesse presentare una CILA in sanatoria (Art. 6-bis, C. 5 DPR 380/01) per sole modifiche interne eventualmente non comprese nella lista di cui sopra (con la classica sanzione di 1000 €) potrebbe aggiungere, nel paragrafo della relazione asseverata relativo alla verifica delle tolleranze anche la descrizione delle difformità elencate nella relazione di abitabilità, riportandole anche negli elaborati grafici senza necessità di presentare una SCIA, ma solo una CILA per sanare, con sanzione, solo le modifiche interne e non le altre difformità che, prima dell'approvazione del "salva casa" avrebbero richiesto una SCIA in sanatoria. Giusto?
Eliminasi, è tutto corretto, ricorrendone i presupposti.
EliminaBuongiorno Marco, un dubbio su un caso specifico...La situazione è la seguente:
RispondiEliminaHo un fabbricato che, al piano di interesse, da elaborato grafico del progetto originario ha un unico appartamento, ma l'agibilità richiesta e rilasciata riportano correttamente lo stato dei luoghi attuale con due appartamenti, dal corretto numero di vani. Il che rende evidente che le modifiche sono state eseguite al tempo della costruzione e che la variante al progetto o non è stata presentata o è andata perduta.
L'unica ulteriore differenza, nell'appartamento del mio cliente, è che la porta di accesso sul pianerottolo nello stato di progetto è spostata più avanti) rispetto a quanto realizzato in fase di costruzione. (era una rientranza nell'appartamento mentre in realtà la parete non ha rientranze di alcun tipo, per cui l'appartamento risulta più grande di 2mq)
Vorrei capire se, alla luce dell'art 34bis del Salva Casa, posso considerare la variazione del pianerottolo come tolleranza costruttiva.
Considerando che dovrò effettuare dei lavori di manutenzione straordinaria, sull'immobile vorrei capire se posso utilizzare la tolleranza direttamente per avere la legittimità dell'immobile e procedere con la CILA per MS di sole opere interne, o se devo per la differenza di sagoma sul pianerottolo interno, comunque provvedere ad una SCIA per accertamento di conformità.
Grazie per il supporto!
fino ad eventuali interpretazioni ufficiali o prime sentenze su questo articolo, suggerisco di applicarlo in modo molto netto rispetto ai parametri della norma, dunque occorre verificare che queste differenze di cui parli siano espressamente evidenziate nel rapporto del fascicolo di agibilità o almeno nel verbale di sopralluogo. comunque, a parte l'acquisizione della superficie del pianerottolo che effettivamente è gestibile solo in alcuni tessuti, ti suggerisco di valutare una sanatoria ordinaria.
EliminaBuonasera Marco, vorrei un tuo parere su una situazione riscontrata in una unità immobiliare di un mio cliente. L'appartamento fa parte di un edificio costruito nel 1964 con variante del 1967 e regolari licenze edilizie e agibilità rilasciate, posto al piano primo. Risulta dal progetto di costruzione che in adiacenza del soggiorno dovevano essere realizzate 3 cantine con accesso dalla zona cantine. Il primo piano dell'edificio da progetto di costruzione doveva essere destinato ad appartamenti nella zona fuori terra e a cantine nella zona interrata. Il costruttore vende all'attuale primo proprietario un appartamento regolarmente accatastato in cui le tre cantine sono state inglobate nella superficie residenziale del soggiorno (tutte le altre cantine sono state realizzate come da progetto). Come dimostra la planimetria castale d'impianto ci troviamo palesemente difronte ad un abuso commesso in fase di costruzione, poiché il primo accatastamento testimonia un stato dei luoghi non autorizzato dal progetto. Alla luce del rispetto delle norme edilizie, in quanto il nuovo salone presenta comunque il rispetto dei rapporti illuminanti tra superficie e aperture, la difformità può essere considerata come ulteriore variante in corso d'opera che costituisce parziale difformità dal titolo rilasciato prima della data di entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 ed essere sanata come da art. 34 ter del d.p.r. 380 o essendo un cambio di destinazione d'uso da non residenziale a residenziale è possibile ipotizzare solo un ripristino all'autorizzato per sanare l'immobile che deve essere compravenduto?
RispondiEliminasul fatto che il 34 ter possa essere usato per legittimare delle varianti ulteriori rispetto a quelle eventualmente già in atti, per me non vi è dubbio e certamente si può fare. nel caso specifico, si tratta di aver reso abitabili degli ambienti che non avrebbero potuto esserlo secondo le regole vigenti all'epoca della costruzione (troppo interramento), dunque in violazione dei regolamenti specifici. tuttavia, il 34 ter non fa riferimento ad eventuali norme da rispettare e il fatto che il comune abbia possibilità di annullare in autotutela le scia depositate ai sensi di questa norma lascia pensare che la valutazione della congruità debba spettare al comune che valuta se le opere sono in violazione di norme di ordine superiore (in questo caso lo sarebbero) ma deve nel caso esprimersi entro 30 giorni. tuttavia, se ci troviamo a Roma, vi è il problema che il regolamento edilizio già disponeva la disciplina delle varianti, dunque nella nostra città il 34 ter potrebbe ritenersi applicabile ma solo limitatamente alla verifica della conformità alle norme comunque prescritte all'epoca della costruzione. Sulla questione non vi è certezza interpretativa perché la norma è troppo vaga.
Eliminacomunque attenzione al fatto che il mutamento d'uso da cantine ad abitativo è urbanisticamente rilevante e può considerarsi non facente parte delle "difformità parziali" a cui può applicarsi la norma, dovendosi prevalentemente ascrivere alle "variazioni essenziali" come definite dall'art. 32.
EliminaBuonasera,
RispondiEliminami trovo con un fabbricato in muratura realizzato con licenza nel 1952. Lo stato dei luoghi risulta difforme perchè vi è una diversa collocazione del muro portante nella parte centrale dell'efificio.
E' di facile lettura che la realizzazione dello stesso è avvenuta in fase di realizzazione del fabbricato, secondo lei questo caso rientra "tranquillamente" sanabile con l'art. 34-ter o trattandosi una difformità strutturale occorre un 36-bis per varianti essenziali?
In quest'ultimo caso l'art. 36-bis richiede l'applicazione del comma 3-bis dell'art. 34-bis, ma questa procedura è attualmente possibile presso il genio civile della regione lazio?
Grazie mille
la procedura del comma 3-bis è comunque vigente, ed è anche richiamata nel 36-bis dunque va applicata comunque, a meno che non si operi mediante art. 34-ter dove invece non è espressamente richiamata. Ho notizie circa il fatto che il genio civile del Lazio si stia adeguando.
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