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martedì 29 aprile 2025

aggiornamento alle NTA del PRG di Roma Capitale: novità per la città consolidata

adozione nuove norme tecniche attuazione prg Roma: focus sulle regole della città consolidata

Proseguono i miei post dedicati al commento alle novità introdotte dalle Norme Tecniche di Attuazione del PRG adottate da Roma Capitale con delibera n°169 dell'11 dicembre del 2024: oggi parliamo della città consolidata e delle evoluzioni ivi previste.

stralcio a caso del PRG di Roma con i tessuti della
città consolidata


La città consolidata nel vigente PRG

Nelle norme tecniche di attuazione vigenti del PRG gli articoli che sono dedicati ai tessuti della città consolidata sono quelli che vanno dal 45 al 49 compresi. si tratta di tessuti della città che risultano ordinati ed organizzati, caratterizzati da edifici aventi tutti grosso modo la stessa sagoma, altezze e distacchi, nati generalmente sulla base di piani particolareggiati approvati: dunque porzioni di città cresciute legittimamente o che, comunque, non sono ritenuti necessitevoli di interventi di ristrutturazione urbanistica. la città consolidata, come suggerisce anche il nome, viene considerata dal PRG come tessuto da conservare, consentendo trasformazioni anche invasive sui singoli edifici ma non sulla struttura urbana.

Nel PRG vigente, l'art. 45 è quello delle norme generali, a cui seguono altri quattro articoli dedicati alle norme dei tessuti specifici. Nei primi cinque commi dell'art. 45 vengono effettuate modifiche rilevanti al testo, ma a ben guardare si tratta solamente di un adeguamento al fatto che sono state abrogate le definizioni specifiche degli interventi edilizi, in quanto giustamente Roma Capitale ha deciso di fare sue le definizioni ufficiali del testo unico dell'edilizia: in verità, era improprio che la città eterna avesse delle definizioni personalizzate, ma siamo comunque sopravvissuti.

Ai sensi dell'art. 107 delle NTA, la città consolidata riveste il carattere della zona territoriale omogenea di tipo B. Se siete atterrati su questo post e gli argomenti vi sembrano disorientanti, vi suggerisco la lettura di quest'altro mio post.

Come si vedrà nel testo che segue, la novità più rilevante, forse l'unica che avrà un sicuro impatto, è contenuta nelle modifiche previste all'art. 45 comma 6; per il resto, si tratta sostanzialmente di un adeguamento delle norme di tessuto alla introduzione delle nuove categorie di intervento edilizio.

apertura ai cambi d'uso verso residenziale

Proseguendo nella lettura delle modifiche apportate all'articolo delle norme generali, al comma 6 troviamo subito una delle novità più rilevanti che faranno felici i proprietari di tutti quegli immobili che, ad oggi, si trovano in una condizione di inappetibilità di mercato: mi spiego meglio per chi non conosce la questione. La città consolidata di Roma è un tessuto di piano regolatore che è stato attribuito a tutti quegli ampi settori della città che sono il frutto dell'espansione edilizia avvenuta sulla base del PRG del 1965 ma anche sulla base dei piani di ampliamento del PRG del 1931 redatti o attuati nel secondo dopoguerra, dunque parliamo di quartieri ad elevata densità abitativa quali, solo per fare alcuni esempi, il tiburtino, il tuscolano, collina Fleming, nuovo salario, le espansioni a sud de l'EUR, etc. 

La peculiarità della città consolidata è che sono zone che, per naturale evoluzione dell'economia urbana, sono nate a destinazione residenziale e questa vocazione non solo è rimasta, ma si è andata ulteriormente imprimendo nei tessuti: per contro, la crisi economica del 2008 (peraltro, anno di approvazione del vigente prg) e i cambiamenti economici nel settore dei servizi e del commercio hanno fatto sì che gli immobili non ad uso residenziale (locali commerciali ma soprattutto uffici, in particolare quelli di piccola dimensione ovvero di superficie pari ad un appartamento) venissero pesantemente penalizzati a livello di appetibilità nel mercato sia delle vendite ma soprattutto negli affitti. Dunque, molti proprietari di questi immobili potrebbero desiderare di cambiare l'uso in abitativo, che è molto richiesto in questi tessuti: tuttavia, qui entra in gioco il tema dell'art. 45 comma 6 in quanto nel testo approvato nel 2008 e tutt'ora vigente questo cambio d'uso è implicitamente impedito, in quanto non è possibile portare gli immobili non residenziali all'uso residenziale, se non attraverso operazioni complesse che lo rendono di fatto inattuabile. Ciò ha creato negli anni grande scompiglio, nonché specifiche pronunce giurisprudenziali, di cui ho già parlato in altri post in particolare questo.

Il Comune sembra aver compreso che vietare i cambi d'uso verso residenziale in città consolidata rappresenta un inutile vincolo che dispiega i suoi effetti negativi sostanzialmente sui proprietari di questi immobili non più appetibili sul mercato senza creare concreti vantaggi alla città, dunque nelle norme adottate viene riscritto tutto il comma 6 introducendo la possibilità di operare il cambio d'uso verso residenziale degli immobili che fino a ieri erano "bloccati". Tuttavia, c'è un obolo da pagare: il cambio d'uso di questo tipo rimane vincolato a due fattori di non secondaria importanza:

  1. l'operazione è soggetta alla devoluzione del contributo straordinario di urbanizzazione, che in caso di trasformazioni con pochissime o nulle opere edilizie, può rappresentare un costo rilevante (è la sua funzione, d'altronde, ma occorre valutarne l'impatto come primissima cosa). risulta criptica, comunque, la riferibilità dell'applicazione del contributo alle "più rilevanti valorizzazioni immobiliari" in quanto in assenza di una definizione di cosa possa essere "rilevante" riguardo alle "valorizzazioni" appare una frase che può non voler dire nulla e rendere sempre assoggettato l'intervento al contributo straordinario. Da come è formulata la frase della norma adottata si dovrà comunque attendere uno specifico regolamento probabilmente dedicato ai criteri di calcolo della valorizzazione a cui assoggettare il contributo, e nelle more della sua pubblicazione, pagare il contributo su tutte le operazioni da effettuare;
  2. la trasformazione deve essere accompagnata da opere di ristrutturazione edilizia.

Così risulta scritto il nuovo comma 6 dell'art. 45:

L’insediamento di destinazioni d’uso a CU/a nonché cambi di destinazioni d’uso verso CU/a sono attuati in modalità indiretta previa verifica di sostenibilità urbanistica e soggetti al contributo straordinario di cui all’art. 20. 
I cambi di destinazione verso “abitazioni singole/ad uso ricettivo” che generano le più rilevanti valorizzazioni immobiliari sono assoggettati al contributo straordinario di cui all’art.20 come disciplinato da apposito regolamento, sono attuati con modalità diretta e devono essere previsti all’interno di interventi di categoria Ristrutturazione Edilizia.
Nel caso di cambi di destinazione d’uso verso “abitazioni singole e abitazioni ad uso ricettivo” con SUL pari oppure superiore a 8.000 mq il 10% della SUL deve essere riservata a Edilizia Residenziale Sociale disciplinata da apposita convenzione di cui all’art.6 bis e non soggetta al contributo straordinario di cui all’art.20. 
Sono sempre consentite ai piani terra degli edifici, in quanto equiparati ad interventi di rigenerazione urbana, ai sensi dell’art 17, comma 4bis del D.P.R. 380/2001, le aperture e i cambi di destinazioni d’uso di “piccole strutture di vendita” fino ai 250 mq di SUL; di artigianato di servizio’, degli ‘studi d’artista’ , delle attrezzature collettive: centri e sale polivalenti, palestre fino a 500 mq di SUL. Sono, pertanto, oggetto di riduzione o esonero dall’obbligo del contributo di costruzione, se dovuti, a condizione che il vincolo di destinazione  funzionale sia individuato in specifico atto d’obbligo.

criticità delle nuove norme

il vincolo a connettere il cambio d'uso con opere di ristrutturazione edilizia a mio avviso non è assolutamente condivisibile: la connessione forse è qui riportata per fare riferimento all'art. 6 della L.R. 7/2017 sulla rigenerazione urbana, dove appunto nell'ambito di interventi di ristrutturazione edilizia è anche ammesso il mutamento d'uso in deroga alle modalità con cui il PRG le prevede (era, ed è, un "grimaldello" per aggirare l'art. 45 comma 6): tuttavia, tale connessione appare logica nell'ambito della legge sulla rigenerazione, che si presta ad essere applicata in specifici contesti dove la deroga alla destinazione può essere concessa a fronte di un miglioramento della situazione ambientale ed urbanistica, ma nell'ambito di regole di trasformazione ordinaria, il vincolare il cambio d'uso alle opere di ristrutturazione edilizia è solo un inutile inciampo che creerà più problemi ai proprietari che non opportunità di riqualificazione per i tessuti urbani. Nelle osservazioni che sono state proposte congiuntamente dagli Ordini e Collegi professionali romani, è stato suggerito di modificare il testo sostituendo la parola "devono" con "possono" (vedi testo sopra, carattere in blu). Per la cronaca, sempre nelle medesime osservazioni è stato proposto di eliminare il riferimento alle "più rilevanti valorizzazioni immobiliari" per via della già detta ambiguità.

Sempre in ottica di risposta al fatto che le zone della città consolidata sono afflitte da una crisi urbanistica contingente, il comune introduce un meccanismo di "riduzione o esonero" dal pagamento del contributo di costruzione quando si effettuano mutamenti d'uso dei locali ai piani terra delle destinazioni commerciali (purché piccole), di artigianato di servizio, palestre e sale polivalenti, a fronte, però, del vincolo della destinazione d'uso con atto d'obbligo.

I limiti di questa pur interessante innovazione, a mio parere, sono che 1. chi decide se il contributo è "ridotto" o "esonerato"? non può essere una valutazione dello stesso proponente né può essere il municipio a deciderlo, e né si può obbligare ad operare mediante permesso di costruire convenzionato, perché allungherebbe i tempi ed i costi in modo sproporzionato quando si opera su piccole unità: sarebbe opportuna una chiarificazione con specifico regolamento o con delibera, oppure auspicabile correzione in sede di approvazione definitiva; 2. l'atto d'obbligo comunque rappresenta un costo (va stipulato davanti ad un Notaio) nonché un vincolo urbanistico "definitivo", creando problemi in caso di successive trasformazioni urbanistiche: ci saranno sicuramente casi in cui molti proponenti decideranno di affrontare i costi del contributo di costruzione invece che stipulare l'atto d'obbligo, vanificando in parte l'interesse alla deroga; 3. il costo maggiore in termini economici dei cambi d'uso è spesso rappresentato dalla monetizzazione degli standard urbanistici che non sembrano interessati da esoneri o riduzioni; 4. i locali "piani terra" non necessariamente sono quelli fronte strada, e ciò potrebbe portare a delle inusuali applicazioni di questa procedura ad esempio all'interno di corti o situazioni urbanistiche ambigue (ad esempio locali tecnici o piani cantine al piano terra) o comunque dove potrebbe ritenersi inopportuna la semplificazione con sconto sul contributo; 5. il Comune continua ad usare la definizione di "studi d'artista" senza che le relative regole tecniche siano definite in modo chiaro (è un ufficio? è un laboratorio? deve avere il bagno? può avere la cucina? può avere la camera da letto? può essere seminterrato? non si sa).

Va infine fatto notare che nella sua circolare esplicativa delle norme di salvaguardia prot. QI 2025/75625, Roma Capitale indica che le disposizioni dell'art. 45 comma 6 possono trovare diretta attuazione, senza dunque attendere l'approvazione delle norme. Occorre difatti ricordare che l'adozione delle norme non comporta l'automatico superamento delle norme precedenti, le quali invece rimangono perfettamente in vigore secondo la regola delle norme di salvaguardia: le norme adottate difatti si affiancano e non sostituiscono quelle precedenti, in quanto solo con l'approvazione definitiva avviene l'abrogazione completa di quelle originarie. Ne consegue che allo stato attuale vigono le prescrizioni di entrambe le norme in quanto rimangono in vigore quelle precedenti, ma gli interventi non devono essere in contrasto con quelle adottate: nei fatti, vige un regime di doppia verifica dove gli interventi devono rispettare entrambe le norme, sia quelle vecchie, sia quelle adottate. 

Appare quindi ambigua l'indicazione della circolare che ritiene direttamente applicabili le semplificazioni dell'art. 45 comma 6, facendo leva sulla sentenza che fu pubblicata nel 2010 (ne ho parlato sempre qui, post già linkato sopra) e che aveva definito irragionevole la prescrizione di dover ricorrere agli strumenti indiretti, pertanto chi scrive suggerisce di attendere le norme approvate per procedere con i cambi d'uso in residenziale, anche perché le norme potrebbero subire delle modifiche in sede di approvazione definitiva per controdeduzione alle osservazioni pervenute - ma si ritiene che in sede di approvazione non possano esserci ripensamenti sull'approccio alla "liberalizzazione" di questo tipo di cambio d'uso. Nei fatti, l'operazione che fa il comune è "semplicemente" quella di adeguarsi alla sentenza del TAR Lazio del 2010, facendolo però con quindici anni di ritardo: meglio tardi che mai.

le modifiche agli altri articoli

Gli articoli 46, 47 e 48 vengono sostanzialmente aggiornati al solo fine di rendere coerente le regole dei tessuti con le definizioni edilizie del testo unico: salvo qualche piccola modifica di dettaglio, le norme operative e specifiche dei tessuti T1, T2 e T3, contenute rispettivamente negli articoli sopra numerati, rimangono sostanzialmente immutate.

Analogamente, non vengono previste radicali modifiche dell'art. 49 relativo al "verde privato" se non l'aggiornamento al fatto che non esiste più una definizione specifica di interventi edilizi.

nota di lettura

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