Oggi un breve post per commentare una sentenza TAR Lazio (del 2020) che fornisce una risposta ad un quesito che non era affatto scontato: quando si utilizzano gli immobili per affitti brevi o case vacanze (o in generale attività extralberghiere) è necessario che la distribuzione interna rispetti anche le prescrizioni del regolamento edilizio?
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il regolamento edilizio va rispettato anche nelle case vacanza?
Spoiler: la risposta è sì e, per fortuna, a chi me lo chiese nel passato io mi sono sempre espresso nello stesso modo. Il concetto ha una sua logica: se l'immobile deve mantenere le sue caratteristiche di unità residenziale, devono applicarsi le specifiche indicazioni prescrittive del Regolamento Edilizio di Roma Capitale (ed anche di quello di igiene, per le norme applicabili alle unità residenziali). Affermare il contrario ha poco senso, perché l'attività extralberghiera non fa uscire l'immobile dalla sua destinazione residenziale anche se, come abbiamo visto nella recente evoluzione delle norme tecniche di attuazione del PRG romano, già ad oggi le unità residenziali che sono destinate ad attività extralberghiera rientrano in una destinazione d'uso specifica, diversa da quella delle "abitazioni singole".
Il ricorso al TAR fu presentato perché Roma Capitale ha dichiarato inefficace una SCIA per avvio attività perché l'unità immobiliare non era dotata di un soggiorno di almeno 14 mq, come prescritto dall'art. 40 lett. c) del Regolamento Edilizio: il titolare dell'attività, per tramite dei propri legali di fiducia, impugna il provvedimento dinanzi al giudice amministrativo con la motivazione, tra le altre, che il regolamento non si applicherebbe alle case vacanze, la cui regolamentazione sarebbe affidata esclusivamente alle norme regionali. Nel regolamento regionale, in effetti, le case vacanze sono le uniche strutture per le quali la norma specifica non indica in modo esplicito la necessità dell'esistenza di un soggiorno, cosa che invece appare per altre destinazioni quali Bed & Breakfast, ma indica comunque in modo chiaro che l'immobile deve essere a destinazione residenziale.
il TAR Lazio statuisce la validità parallela dei regolamenti
Il tribunale rigetta nettamente l'ipotesi che le norme del regolamento edilizio possano essere sostituite o eluse dal regolamento regionale, in quanto questo opera su un piano amministrativo che è sì diverso da quello edilizio ma senza dubbio non ne è alternativo.
Dunque la sentenza emessa dal TAR Lazio, Roma sez. 2 ter che prende il numero 9022/2020 così recita in uno dei passaggi più espressivi:
Ciò induce a ritenere che tali immobili debbano, comunque, rispettare la normativa urbanistica ed edilizia vigente, e, quindi, anche il regolamento edilizio di Roma Capitale, a nulla rilevando che, per essi, il regolamento regionale n. 16/08 non preveda limiti dimensionali minimi come, invece, accade, ad esempio, per gli affittacamere e gli ostelli per la gioventù.e prosegue ancora specificando che:
La ragione di tale differenziazione non può essere ricercata nell’assenza di limiti dimensionali per le case vacanza (come, invece, prospettato dalla ricorrente) ma è giustificata dal fatto che nelle ipotesi di affittacamere ed ostelli della gioventù vengono in rilievo locazioni per parti separate dell’immobile che, pertanto, hanno indotto il legislatore regionale ad introdurre direttamente specifici requisiti dimensionali minimi dei locali.
Nelle case per vacanze, invece, l’appartamento è locato per intero e, pertanto, l’esigenza di assicurare un limite minimo dei singoli ambienti oggetto di locazione viene salvaguardata dalla normativa generale vigente in materia urbanistica, edilizia e sanitaria la cui applicabilità alle “case vacanza” è incontestabile in ragione della natura (di appartamento) e destinazione (a civile abitazione) di tali beni non potendo la deroga ai requisiti edilizi, di salubrità ed igiene, tutelati dal regolamento edilizio di Roma Capitale, essere giustificata dalla particolare categoria di fruitori (i turisti) di tali beni.
A ciò si aggiunga che l’art. 7 comma 1 lettera f) del regolamento regionale n. 16/08, nel testo applicabile alla fattispecie, stabilisce l’obbligo, per chi presenta la scia, di depositare una “dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, sottoscritta dal richiedente, attestante la conformità urbanistica e catastale alla normativa vigente” da ritenersi, pertanto, comprensiva della normativa edilizia vigente (il rispetto della quale costituisce presupposto per la legittimità dell’accatastamento) e, quindi, del d.p.r. n. 380/01 e dei regolamenti edilizi espressamente previsti dagli artt. 2 e 4 del citato d.p.r
Il riferimento che ho sottolineato nel testo sopra fa riferimento ad un regolamento regionale che non è ad oggi più in vigore, ma lo era all'epoca dei fatti contestati per cui giustamente nella sentenza si fa ancora riferimento al regolamento del 2008 che fu rimpiazzato da quello tuttora in vigore che è il regolamento n°8 del 2015. Quest'ultimo comunque riporta una prescrizione del tutto simile (art. 14 comma 2 lett.c) dunque quanto statuito nella sentenza citata deve ritenersi perfettamente in continuità con quanto è tuttora in vigore nella Regione Lazio.
Prevedibile il non accoglimento della tesi dell'eccessivo lasso di tempo trascorso tra il deposito della scia e la dichiarazione di inefficacia: il TAR per respingere tale concetto si basa sul fatto che il tecnico ha rilasciato una dichiarazione in cui attesta che l'immobile è conforme al regolamento edilizio, cosa non smentita dal ricorrente: qui viene riproposto un concetto ormai consolidato secondo cui un atto amministrativo perde comunque efficacia se si basa su una dichiarazione non veritiera, nel caso in cui tale dichiarazione sia a fondamento dell'atto stesso.
la potenziale via d'uscita
Il soggetto ricorrente, però, poteva avere delle possibilità di difesa, perché - stando solo a quanto è possibile leggere nel dispositivo quindi nell'impossibilità di avere un quadro completo dell'impianto difensivo - l'edificio in cui si voleva instaurare l'attività risale a prima del 1934, anno in cui fu pubblicato il regolamento edilizio di Roma che tuttora utilizziamo (ma prima di questo del 1934 ne sono esistiti altri: leggi il mio post specifico sulla storia dei regolamenti di Roma antecedenti al 1934). In questo contesto, leggendo fra le righe della sentenza, forse si sarebbe potuto produrre documentazione atta a dimostrare che in tal caso potevano ritenersi applicabili le regole edilizie esistenti al momento dell'edificazione (ammesso, però, che l'immobile non sia mai stato modificato nel tempo, e questo non possiamo saperlo perché non è oggetto di contraddittorio): in effetti, la prima versione del regolamento del 1934 non dettava regole specifiche sui soggiorni o sulle cucine, ma si limitava a specificare che gli ambienti abitabili dovessero avere una cubatura spaziale minima per consentire l'arieggiamento. La regola del soggiorno da 14 mq fu introdotta nel Regolamento romano solo nel 1978, dopo che nel 1975 fu emanato il Decreto Sanità che dettò regole specifiche per gli ambienti interni.
Forse - e dico forse, perché non è con la dietrologia che si può fare giurisprudenza - laddove si fosse citata la storia evolutiva del regolamento edilizio romano si sarebbe potuto avere qualche freccia in più al proprio arco, almeno per rendere più traballante la difesa della dichiarazione di inefficacia. Ad oggi peraltro è in vigore la specifica deroga dell'art. 10 comma 2 D.L. 76/2020 (pubblicato dopo la controversia, quindi non vigente ratione temporis) che consente di poter trasformare gli immobili esistenti secondo le regole spaziali ed igienico-sanitarie originarie, purché legittime e dimostrabili. Tale passaggio normativo, però, non era in vigore al momento della dichiarazione di inefficacia della SCIA quindi in effetti difendersi su questo punto non sarebbe stato affatto facile.
E' proprio per avere una base di riflessione in situazioni come questa che nel mio post sul regolamento edilizio di Roma ho voluto inserire tutte le note sulla evoluzione dello stesso: è difatti essenziale poter individuare in quale preciso momento è stata introdotta una specifica prescrizione, proprio per comprendere se ciò che è stato fatto prima sia legittimo o no.
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