Quando si è proprietari di un appartamento in un edificio che è stato costruito in base agli incentivi per l'edilizia economica e popolare accade che, spesso se non sempre, sull'immobile grava un vincolo relativo al "prezzo massimo di cessione", ovvero un tetto al valore della casa che incombe su tutti i trasferimenti immobiliari, quelli futuri ma anche quelli passati.
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Questo post vuole essere una guida o, meglio, una raccolta di appunti per orientare sia i proprietari, sia i tecnici, verso una corretta applicazione della procedura amministrativa che consente, a fronte del pagamento di un corrispettivo economico, lo scioglimento dei vincoli di prezzo massimo di cessione e/o anche della trasformazione, laddove sussistente, della proprietà comunale dell'area in proprietà privata. Questi vincoli possono essere presenti entrambi negli immobili dell'edilizia convenzionata, o anche uno solo di essi: dipende dalla convenzione e dalle scelte politiche pianificatorie operate dal comune sulla specifica zona. I vincoli sono imposti nella convenzione urbanistica, cioè l'atto con cui il comune concede ad un costruttore privato (spesso anche cooperative) di edificare su una determinata area, beneficiando di alcune facilitazioni, a patto di imporre alcune limitazioni; i patti della convenzione vengono ereditati dai singoli proprietari degli alloggi. Per vincolo di proprietà dell'area si intende il fatto che il comune rimane il proprietario esclusivo del suolo dove sorge l'edificio, mentre la costruzione è privata; per vincolo del prezzo massimo di cessione, invece, si intende un tetto massimo economico che deve essere rispettato nella vendita ed anche nella locazione degli alloggi e vale sia per le prime compravendite, quelle cioè effettuate dal costruttore ai primi proprietari, sia per le successive compravendite tra singoli proprietari.
Questo vincolo nasce dall'esigenza di immettere sul mercato immobili con prezzi calmierati per due motivi entrambi importanti: 1. consentire alle persone meno abbienti di poter accedere a case dignitose, di recente realizzazione, sicure e confortevoli; 2. aumentare l'offerta di case che, nei comuni con elevata tensione abitativa, serve a regolare il mercato edilizio per evitare che i prezzi delle case, anche quelle non "popolari" arrivino a valori inaccessibili, creando alterazioni del mercato che finiscono per riflettersi su tutta l'economia. Dunque questo "prezzo massimo" ha un suo scopo molto importante e fa parte degli strumenti che la politica ha a disposizione per incidere sul mercato immobiliare.
Il vincolo al "prezzo massimo", però, in determinati casi può rappresentare un problema, soprattutto quando le case, nel passato, sono state trasferite senza che si sia rispettato questo prezzo massimo, vendendole quindi ad un valore maggiore in modo illegittimo: in questo modo si è creata una indebita ricchezza da parte di chi vende; una illegittima compressione dell'interesse pubblico che si traduce in una sostanziale inutilità dello strumento di facilitazione ma, soprattutto, un danno per gli acquirenti che pagano di più per un qualcosa che avrebbero dovuto pagare di meno. Questo problema venne fuori di recente con le prime sentenze che davano ragione agli acquirenti di queste case che intendevano rivalersi sui venditori (non necessariamente i costruttori, ma anche i semplici cittadini che, ignari, vendevano immobili con tale vincolo), ai quali veniva riconosciuta una indennità pari alla differenza di valore tra quanto avevano effettivamente pagato la casa e quanto invece doveva essere il valore massimo (ad oggi le sentenze non arrivano più a questo esito, vista l'evoluzione normativa). Non è comunque un caso che il problema sia venuto fuori dopo il 2005, anno di introduzione del principio del "prezzo-valore" secondo cui le imposte per le transazioni immobiliari possono essere pagate sul valore catastale, che è fisso, e non su quello di effettiva compravendita; ma questo è solo un appunto per un altro discorso che in questa sede non ha senso sviluppare.
Dopo queste prime sentenze che sono state devastanti sia per chi le ha subite, sia per il mercato immobiliare degli immobili di questi piani di zona, sono stati introdotti degli strumenti normativi che consentono di "affrancare" il prezzo massimo di cessione, pagando al comune una somma ragionevole che consente di svincolare il prezzo massimo di cessione. Già che c'erano, correttamente, i politici hanno anche consentito di svincolare l'altro vincolo che attanaglia moltissime case popolari in Italia, che è quello relativo al fatto che il suolo su cui sorgono i fabbricati popolari rimane di proprietà del Comune che concede la concessione per l'edilizia popolare, riservandosi il diritto di proprietà della superficie del lotto. La proprietà comunale dell'area non è un vincolo ma un regime giuridico, il quale può essere trasformato (ma non "svincolato"): in ogni caso è il comune che deve determinare quali aree possono godere della trasformazione in proprietà, dunque non è detto che in tutti i piani di zona sia possibile fare contemporaneamente entrambe. L'affrancazione del prezzo massimo di cessione, invece, può essere fatta in qualunque piano di zona, naturalmente dove ne ricorrono i presupposti.
Già, perché una persona che è proprietaria di un immobile inserito in un piano di zona per l'edilizia economica e popolare in verità non è il "pieno proprietario" ma è il "proprietario superficiario", cioè proprietario solo dell'unità immobiliare, ma non anche del suolo su cui sorge il fabbricato. In questi immobili, difatti, in visura catastale oltre ai nominativi dei soggetti che sono proprietari dell'appartamento troviamo (rectius, dovremmo trovare) anche il comune, quale proprietario "per l'area" o anche come "diritti del concedente".
Ciò accade perché l'edilizia popolare viene costruita su suoli, appunto, di proprietà pubblica (in genere comunale) e dati in concessione temporanea ad un costruttore che, con diverse agevolazioni, costruisce gli edifici che poi immette nel mercato dell'affitto e della vendita, secondo la convenzione stipulata con il comune. nella convenzione è anche stabilito il valore del prezzo massimo di cessione, il quale poi viene aggiornato di anno in anno indicizzato all'ISTAT (la cosa è più complessa ma diciamo che può essere sintetizzata così). Le concessioni stipulate nel comune di Roma in genere hanno durata di 99 anni, il che significa che, teoricamente, il comune può tornare ad essere proprietario dell'intero edificio allo scadere della convenzione, oppure prorograrle di altri 99 anni, come generalmente è espressamente previsto. Dato che la legge in base alla quale sono state stipulate queste convenzioni è degli anni settanta, nessuna convenzione è ancora scaduta dunque ancora non si sa cosa succede quando effettivamente arriva il termine. Nel frattempo, però, come accennato, è ad oggi possibile "trasformare" la proprietà comunale dell'area, pagando un obolo proporzionato al valore dell'area, e questa domanda può essere fatta anche per il singolo appartamento, dunque non deve farla l'intero condominio. Tuttavia, per poter effettuare la trasformazione in diritto di proprietà, occorre che il comune abbia espressamente deliberato tale possibilità. Nel comune di Roma difatti solo alcuni piani di zona possono essere oggetto di trasformazione, quelli appunto per cui il comune ha appositamente deliberato. Per i piani di zona recenti, il comune non dovrebbe concedere la possibilità di trasformazione almeno non prima del trascorrere di almeno cinque dalla convenzione (e dopo venti anni in diritto di proprietà si dovrebbero considerare automaticamente decaduti i vincoli convenzionali, vedi sul punto sentenza corte costituzionale n°210/2021), altrimenti rischiano di sfumare i benefici per la collettività dell'edilizia popolare, trasformandola in un mero strumento speculativo.
Quando il Governo pubblicò la legge che consentiva l'affrancazione del prezzo massimo (prima con il D.L. 70/2011 che ha introdotto il comma 49 bis alla L. 448/98 art. 31 e poi con il D.L. 23 ottobre 2018 n°119 convertito con L. 138/2018 che lo ha modificato), nei grandi comuni come Roma si scatenò una corsa alla presentazione delle domande, poiché chi si era già impegnato per la vendita rischiava costose cause dall'esito praticamente scontato, mentre chi era intenzionato a vendere preferiva attendere l'esito dell'affrancazione per poter essere libero da problemi legati al vincolo del prezzo massimo di cessione. Dopo una prima fase di grande tumulto, Roma Capitale si è dotata di un sistema telematico per l'invio di istanze semplificate per l'affrancazione del prezzo massimo di cessione e per la trasformazione della proprietà comunale che funziona tutto sommato bene, e che consente di procedere incaricando un tecnico per eseguire l'istanza caricando su un apposito portale la documentazione richiesta, e quindi attendere l'esito dell'istruttoria da parte del comune, che a quel punto è semplificata perché il portale telematico aiuta ad impostare i dati in modo tale che questi siano ordinati e chiari all'istruttore, il quale quindi deve solo validare quanto già predisposto dal tecnico incaricato.
Eseguire l'affrancazione del prezzo massimo di cessione, ad oggi, è un procedimento assolutamente consigliato benché non fondamentale: da un lato, in alcuni piani di zona (quelli concessi in diritto di proprietà, se passati venti anni, ma non quelli in diritto di superficie) il vincolo al prezzo massimo di cessione è già scaduto per legge, mentre altri piani possono avere dei valori di mercato già allineati con quelli che sarebbero i prezzi massimi di cessione, dunque vendere l'immobile all'interno del tetto massimo consentito significa comunque non rimetterci rispetto al mercato. Tuttavia, oggi chi cerca casa nei piani di zona si aspetta che il problema dell'affrancazione sia già stato risolto, dunque può essere comunque un buon biglietto da visita per la vendita. L'affrancazione del prezzo massimo di cessione si può presentare comunque anche per quei piani in cui l'affrancazione sarebbe già decorsa per naturale passare del tempo: talvolta, peraltro, il canone di affrancazione viene anche zero, dunque si tratta veramente solo di una procedura amministrativa di mera formalità, utile a tutelare chi vende e a tranquillizzare chi compra.
La trasformazione in proprietà invece non è un obbligo formale, ma può aiutare ad aumentare il valore dell'immobile, in quanto si andrebbe a vendere la "piena proprietà" e non la "proprietà superficiaria". Si consideri inoltre che effettuare la trasformazione della proprietà porta con sé implicitamente anche l'affrancazione del prezzo massimo di cessione, dunque in quei piani di zona in cui il Comune ha già deliberato la possibilità di trasformare la proprietà, si valuti l'opportunità di fare, con un colpo solo, entrambe le procedure.
Prima di addentrarci nella descrizione della procedura, è giusto il caso di ricordare che l'affrancazione del prezzo massimo di cessione e/o di trasformazione in proprietà nulla ha a che vedere con la verifica della legittimità edilizia e non vi sono correlazioni dirette tra le due: l'affrancazione non è una sanatoria edilizia, ma solo la conversione in denaro di un diritto pubblico che si è deciso di far decadere. Ciò significa che anche laddove si siano spesi soldi per eseguire la procedura di affrancazione, in caso di non conformità edilizia bisognerà comunque attivare le relative procedure di sanatoria possibilmente prima di immettere in vendita l'immobile. Tirando l'acqua al mulino dei professionisti tecnici a cui fieramente appartengo, posso suggerire, già che si deve incaricare un tecnico per l'affrancazione, di fargli eseguire anche una verifica della legittimità dell'immobile: se non glie lo si chiede espressamente, il tecnico può tralasciare la verifica di conformità in quanto non ha nessuna responsabilità diretta nel merito dell'eventuale non conformità edilizia.
Vediamo in dettaglio come funziona la procedura semplificata per l'affrancazione a Roma tramite il portale SIAT - Sistema Informativo Affrancazioni e Trasformazioni.
Attualmente (maggio 2024) la procedura semplificata è un modulo virtuale in cui occorre inserire una serie di dati. L'inserimento dati deve essere effettuato da un tecnico abilitato, incaricato della procedura al termine della quale fornirà espressa asseverazione circa la correttezza dei dati inseriti e dei calcoli della onerosità derivata. La procedura può essere quindi avviata solo da un tecnico, che deve essere preventivamente incaricato, ed abilitato ad operare come tecnico sulla piattaforma comunale. Naturalmente, è fatta salva la possibilità per il cittadino di avviare in piena autonomia, senza quindi incaricare un tecnico, la procedura ordinaria di affrancazione, la quale prevede tempi più lunghi.
Anzitutto, potreste avere il dubbio se il vostro immobile effettivamente ricada o meno nei piani di zona: qui è possibile consultare la mappa interattiva di tutti i piani di zona di Roma. Attenzione: non tutti i piani hanno la documentazione pubblicata sul sito.
La procedura semplificata funziona nel seguente modo: il tecnico incaricato avvia dal portale telematico del comune l'inserimento dati, inserisce i valori richiesti, allega i documenti che vedremo sotto, dopodiché il portale stesso produce in automatico una serie di documenti in pdf che devono essere firmati dal tecnico, dal soggetto che chiede l'affrancazione ed anche, alcuni, dall'amministratore di condominio. una volta firmati (con firma "cartacea" scansionata o con firma elettronica Pades) il tecnico provvede a caricarli sul portale ed inviare il tutto: il sistema in automatico produrrà l'avviso di pagamento in formato PagoPA e, una volta pagato, si provvede alla protocollazione. Se dall'inserimento dati risulterà che non è dovuto nessun importo per l'affrancazione, si potrà direttamente protocollare l'istanza. Una volta protocollata, la pratica viene esaminata dai funzionari di Roma Capitale: come obiettivo di base, prevedono che le istanze vengano chiuse entro 60 giorni dalla protocollazione. una prima fase prevede il controllo formale dell'istanza, dunque viene verificato che i dati inseriti siano coerenti e che siano presenti tutti gli allegati richiesti (il portale non vi fa andare avanti se non li caricate, ma viene verificato che siano stati effettivamente inseriti dei pdf contenenti le informazioni corrette), dopodiché l'istanza passa nella fase finale in cui viene approvata. una volta approvata, la pratica viene associata ad altri che, come noi, hanno presentato altre istanze e viene prodotta una unica determinazione dirigenziale di accoglimento dell'istanza di affrancazione che consente quindi di andare dal Notaio a stipulare. il rilascio della DD conclude l'iter di approvazione da parte del comune. Lo stato della pratica è visibile sul portale telematico, e al tecnico viene notificato via PEC sia all'esito del controllo formale, sia al momento del rilascio della DD.
I documenti che la procedura richiede, volendo fare un elenco esemplificativo e non esaustivo, sono i seguenti:
- lettera di incarico al tecnico - non c'è un modulo prestampato per compilare questa lettera; il tecnico può usare una sua lettera standard o può redigerla ad hoc. suggerisco di inserirvi gli elementi fondamentali di tutte le lettere di incarico e cioè almeno 1. i dati del tecnico e del committente; 2. i dati precisi dell'immobile oggetto di affrancazione e che tipo di affrancazione si sta facendo (se di prezzo massimo, di proprietà o entrambe); 3. l'oggetto ed i limiti dell'incarico. Suggerisco di inserire anche: a. il riferimento alla polizza professionale (obbligatoria); b. le pattuizioni economiche; c. l'informativa privacy.
- documento di identità del soggetto che vi incarica di depositare l'affrancazione e degli altri soggetti eventualmente contitolari;
- l'ultimo rogito notarile che ha riguardato l'immobile, quindi il documento che attesta che il committente è titolare del diritto di proprietà superficiaria dell'unità immobiliare (in alcuni casi può essere utile avere anche i rogiti pregressi anche se non espressamente richiesti dalla procedura; si presti attenzione ad eventuali atti integrativi o correttivi che pure vanno citati oppure ancora ad eventuali successioni ereditarie o disposizioni del tribunale);
- la convenzione tra il comune ed il soggetto o i soggetti costruttori degli edifici del piano di zona;
- le tabelle millesimali ed il regolamento di condominio vigenti, di cui l'amministratore dovrà rilasciare apposita dichiarazione di conformità ai documenti effettivamente approvati, sulla base del modulo prestampato che genera il portale stesso;
- le visure catastali e planimetriche dell'unità immobiliare e delle eventuali pertinenze associate (suggerisco di fare delle visure aggiornate);
- i dati dell'amministratore di condominio, ivi compreso il suo documento di identità nonché la PEC;
- i dati del notaio che, una volta completata la procedura, dovrà stipulare l'atto di affrancazione. Il Notaio evidentemente va contattato prima di inviare l'istanza di affrancazione per accordi procedurali ed economici, poiché quando verrà rilasciata la determinazione dirigenziale, comparirà il nome di quel notaio e solo lui potrà stipulare l'atto di affrancazione che conclude la procedura.
Eccezionale come sempre, estremamente chiaro e semplice nelle spiegazioni in questo marasma di norme. Complimenti ancora
RispondiEliminaGrazie. ci tengo a dire che nella stesura di questo post mi ha aiutato una persona che vuole rimanere anonima, ma che ha dato un contributo importante per la correzione di una serie di dettagli e di affermazioni. Mi raccomando, se vogliamo che le mie pagine siano davvero utili a tutti, contribuite tutti ed inviatemi, anche in privato se ritenete, commenti e proposte di modifica per rendere le informazioni sempre corrette e puntuali.
EliminaBuongiorno, se mi trovassi nella situazione: comparto edificato da due operatori con mc convenzionati diversi (mcA > mcB).
RispondiEliminaDue edifici distaccati costruiti esattamente uguali composti da due scale ciascuno. Unico regolamento di condominio. Parlando sempre di residenziale, conosco da convenzione quanti mc ha A e quanti B (con relativi oneri concessori) ma non come sono stati ripartiti nei due edifici. Quale è l'unità edilizia in questo caso.
Grazie
non so se ho capito bene la situazione, comunque in questo caso l'unità edilizia è la porzione di compendio su cui è posto l'immobile da affrancare. curioso il fatto che gli edifici non coincidono con le quote edificatorie dei due soggetti: potrebbe essere uno di quei casi in cui è preferibile acquisire il progetto di costruzione per vedere se da lì escono fuori elementi di dettaglio.
EliminaBuongiorno, quindi secondo il suo parere l'unità edilizia è il blocco scala A (scala dove si trova l'appartamento) che a sua volta fa parte del primo edificio composto da due scale? Esatto, I mc convenzionati sono stati ripartiti in misura diversa tra i due operatori ma leggendo le istruzioni del comune credevo di trovarmi nel caso n.3 con la particolarità che: "la Cubatura Unità Edilizia: si intende la volumetria virtuale corrispondente al Condominio che ospita l’unità abitativa oggetto della domanda di Affrancazione". Seguendo questa indicazione mi troverei che i mc conv. comparto=mc unità edilizia...
EliminaBuonasera
RispondiEliminaGrazie per aver condiviso degli “appunti” assai utili.
Ho ancora alcuni dubbi:
gli oneri concessori stabiliti dalla convenzione si dividono in opere di urbanizzazione e per l’occupazione d’urgenza. Devo considerare la somma dei due o solo i primi?
Come posso sapere se dopo quel pagamento sono state fatti altri pagamenti a compensazione o anche per differenza nel costo d’esproprio rispetto a quello stimato (la cooperativa, originario operatore, non esiste più, il comune ha questi dati?)?
La convenzione suddivide la cubatura virtuale in residenziale e commerciale, le tabelle attuali non tengono in considerazione quella suddivisione. E’ più corretto considerare la sommatoria delle due volumetrie da convenzione e rapportarle ai millesimi dell’attuale tabella millesimale oppure considerare solo la volumetria virtuale residenziale e poi operare un faticoso scorporo dei millesimi dedicati alle unità non residenziali e risuddividere in millesimi le restanti quote?
Il dubbio più grande, l’aumento abusivo di volume poi sanato, rientra nelle richiesta di affrancazione / trasformazione? Se si, devo integrare la volumetria virtuale inserita in convenzione di quella sanata (calcolata come superficie dell’abuso x h m.3.20 o h.3.00 al sottotetto?)
Grazie mille sin d’ora per qualunque possibile contributo
Giovanni
per quale somma debba essere considerata, occorre fare riferimento alla convenzione: se in effetti in questa è specificato che gli oneri si compongono di due elementi, potrebbe essere necessario considerare la somma dei due. Quanto all'altro quesito, non ho capito se la tabella millesimale è comunque unica, e comprende immobili residenziali e commerciali insieme, oppure se è separata dunque una tabella per le abitazioni ed una separata per il commerciale: in questo secondo caso il calcolo è complesso perché bisogna capire quanta cubatura è riferita alle abitazioni e quanta al commerciale, e quindi poi rapportare quella residenziale alle tabelle specifiche. Anche in questo caso può essere opportuno visionare il progetto edilizio di costruzione così da estrarre lì auspicabilmente i valori delle cubature.
Eliminacomunque vi ricordo che nel caso in cui la situazione sia particolarmente complessa, si può sempre inviare una istanza di affrancazione ordinaria, così sarà l'ufficio a valutare come procedere.
EliminaGrazie mille per la celere risposta, in effetti per le cose complicate non si trova in comune qualcuno con cui interfacciarsi, per la questione del condono, ho inviato una email, in caso anche questo passo non avrà esiti positivi procederò secondo il Suo consiglio di intraprendere la procedura ordinaria. cordialità Giovanni
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