Chi come me fa (anche) tante pratiche edilizie di accertamento di conformità prima o poi si scontra con un problema non secondario: se l'opera eseguita in difformità contempla(va) interventi sulle strutture esistenti, l'accertamento di conformità deve contemplare anche un accertamento della conformità strutturale? e, se sì, questo significa che bisogna verificare che la struttura sia idonea a rispettare i requisiti della normativa vigente per le nuove costruzioni? andiamo con ordine.
Immagine da Pixabay |
Tutto iniziò quando, nel 1985, per la prima volta venne introdotto nella legislazione italiana l'accertamento di conformità, generato dalla L. 47 di quell'anno e oggi confluito negli articoli 36 e 37 del DPR 6 giugno 2001 n°380. Questi due articoli contengono un principio fondamentale, e non necessariamente facile da gestire, relativo alla cosiddetta doppia conformità: è, in estrema sintesi, un principio secondo cui ogni intervento, per poter essere sanato a posteriori, deve essere conforme alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dell'opera senza titolo, sia al momento in cui si deposita la richiesta di accertamento. Questo meccanismo serve ad evitare che amministrazioni conniventi possano modificare appositamente gli strumenti urbanistici a posteriori per rendere "sanabili" interventi effettuati abusivamente, magari anche di pesante speculazione (ma chi è in grado di operare speculazioni ad alto livello, non segue certo questa strada); per contro, crea gravi problemi applicativi quando l'oggetto da sanare corrisponde a delle difformità edilizie eseguite decenni prima dall'originario costruttore, e devono essere gestite ad oggi da proprietari del tutto ignari e soprattutto incolpevoli delle problematiche dei propri immobili. Questo significa che il professionista tecnico deve verificare che l'intervento era conforme alle norme vigenti di quando fu realizzato, ma che lo sia anche ad oggi. Fin qui tutto chiaro: ma il principio si applica anche alle norme non espressamente urbanistiche?
l'edilizia è composta da tante norme - checché ne dica il titolo del DPR 380 che vorrebbe essere il "testo unico", che di unico ha solo il titolo - che disciplinano diversi aspetti: da quello energetico (d.lgs. 192/05) a quello sismico (lo stesso DPR e le norme tecniche per le costruzioni), dalle norme sulla prevenzione incendi fino ai principi sulle distanze tra costruzioni (D.M. 1444/68 ma anche Codice della Strada). Dunque c'è da chiedersi se il concetto di doppia conformità debba ritenersi esteso anche alle altre discipline tecniche che si ritengono sotto certi aspetti compenetrate all'edilizia. La giurisprudenza non è mai stata del tutto chiara sul concetto di doppia conformità esteso in senso generale a tutte le norme di settore, ma nel caso della sicurezza sismica è entrata effettivamente nel merito: il riferimento giurisprudenziale principale secondo me è da individuarsi nella sentenza 101/2013 della Corte Costituzionale (che ha confermato l'incostituzionalità di alcuni passaggi di una norma Regione Toscana) la quale ha stabilito che la doppia conformità deve riferirsi anche all'ambito strutturale, poiché la vigilanza sull'attività strutturale è fondamentale per tutelare la pubblica incolumità. A valle di tale sentenza, ma anche precedentemente, altri dispositivi hanno militato in tal senso.
Perché è così importante l'attenzione verso il contrasto alle norme strutturali? per diversi motivi: anzitutto, perché le norme tecniche si evolvono nel tempo, e le strutture realizzate nel passato pure in coerenza con le regole vigenti, con l'evoluzione della normativa diventano inadeguate agli standard di sicurezza futuri: adeguare le strutture esistenti alle norme tecniche vigenti può rappresentare un limite fisico impossibile da affrontare: immaginate di dover adeguare strutturalmente un edificio in telaio di calcestruzzo armato: l'intervento su travi, pilastri e solai prevederebbe il completo sventramento dell'edificio; non secondario è l'aspetto prettamente procedurale della cosiddetta "sanatoria strutturale", la quale è una procedura di fatto non prevista dall'attuale ordinamento e che implica, peraltro, l'accertamento delle violazioni penali connesse alla mancata denuncia di opere inerenti la pubblica incolumità.
In questo complesso e delicato quadro, la norma censurata della Regione Toscana in verità non era poi così distante da quella che dovrebbe essere la logica applicativa: in estrema sintesi, il testo censurato prevedeva che, in caso di accertamento di conformità, per quanto riguarda l'ambito strutturale, la verifica della rispondenza della struttura dovesse essere limitato alle norme che erano in vigore al momento della realizzazione dell'illecito, e non a quelle in vigore al momento della presentazione dell'istanza: ciò avrebbe trovato la sua logica nella misura in cui è veramente difficile adeguare alle norme tecniche vigenti delle strutture realizzate in conformità alle norme precedenti, soprattutto se le costruzioni abusive risalgono a prima del 2008, anno di introduzione delle nuove norme tecniche per le costruzioni (poi modificate nel 2018), in cui furono introdotti principi di calcolo del tutto innovativi rispetto alle norme precedenti. Il principio non avrebbe nemmeno contrastato con la logica pratica: è vero che la tutela è verso la pubblica incolumità, con la quale non bisogna mai scherzare, ma se un intervento è stato fatto comunque in conformità delle norme tecniche dell'epoca (benché in assenza della prescritta autorizzazione), significa che è una struttura compatibile con il concetto ed il livello di sicurezza previsti al momento della costruzione. immaginiamo che l'oggetto della difformità sia un balcone, realizzato effettivamente durante la costruzione ma assente nel progetto: il costruttore probabilmente avrà fatto eseguire una variante strutturale allo stesso professionista che ha redatto il progetto di tutta la struttura ed è facile ritenere che, quindi, quel balcone, la cui struttura è compenetrata a quella dell'edificio, abbia un livello di conformità alle norme dell'epoca della costruzione ed ai relativi livelli di sicurezza uguali a quelli del fabbricato cui inerisce fisicamente. Sarebbe quindi logico ritenere che quel balcone possa essere sanato nello stato in cui è, verificando semplicemente che quel balcone sia stato effettivamente costruito con i livelli di sicurezza previsti all'epoca.
La Corte ha, però, ritenuto errato questo approccio ed ha insistito sul fatto che gli interventi devono essere conformi alla disciplina tecnica in vigore, oltre che a quella urbanistica.
Ma questo non necessariamente significa che un opera debba essere perfettamente rispondente alle caratteristiche che avrebbe se fosse realizzata ad oggi ex-novo, in quanto le NTC 2018 vigenti prevedono una apposita procedura (punto 8.3 delle NTC) di "valutazione della sicurezza" la quale procedura va esperita quando ricorra il caso di delle "opere realizzate in assenza o difformità dal titolo abitativo, ove necessario al momento della costruzione, o in difformità alle norme tecniche per le costruzioni vigenti al momento della costruzione. ". Sembra dunque che le stesse norme tecniche prevedano una procedura apposita in caso di opere realizzate in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione, e ciò non confliggerebbe con il principio espresso dalla suprema Corte in quanto la procedura è incorporata nelle stesse norme tecniche per le costruzioni.
La procedura prevede una sorta di calcolo postumo dell'elemento strutturale abusivo, con l'indicazione, da parte del tecnico verificatore, di eventuali limitazioni all'utilizzo della struttura o di opere necessarie affinché la struttura possa svolgere il compito per cui è stata originariamente pensata. Questa procedura, a meno di norme regionali specifiche, non è una sanatoria strutturale e non dovrebbe essere intesa in tal senso da parte degli uffici del Genio Civile: si tratta, in sostanza, di una verifica, che può comportare l'esecuzione di opere laddove si ritenesse ad oggi che l'elemento strutturale sia in effetti un rischio per la pubblica incolumità. Ovviamente, la complessità dell'operazione risiede nel fatto che la struttura deve essere conosciuta dal verificatore, e quindi l'operazione può prevedere l'esecuzione di saggi al fine di verificare i dettagli delle carpenterie: può, insomma, non essere una operazione del tutto indolore.
La Regione Lazio ad esempio ha disciplinato le procedure relative alla verifica della sicurezza mediante l'art. 10 del nuovo regolamento sismico n°26/2020. Secondo tale procedura, il deposito della verifica della sicurezza sul portale Open Genio (un portale telematico che assorbe e sostituisce gli ordinari depositi presso gli uffici comunali) previa esecuzione di specifiche valutazioni ed accertamenti.
Si potrebbe dunque ritenere che questa possa rappresentare la via corretta da seguire in caso di sanatoria edilizia che implichi anche opere strutturali effettuate in difformità della prescritta procedura: da un lato, non vengono violate le norme tecniche sulle costruzioni, in quanto esse così espressamente prevedono di operare al punto 8.3, mentre dall'altra non appaiono in contrasto con il principio della sentenza della Corte Costituzionale la quale ha indicato che le Regioni non possono introdurre norme in contrasto con il Testo Unico, e la procedura della verifica della sicurezza sismica non appare contrastare con quella disciplina.
Per fortuna, la Regione Lazio sembra condividere la stessa interpretazione che ho dato qui sopra a novembre 2021, in quanto nel parere che è stato reso al Comune di Fara Sabina nel dicembre 2022 individua proprio la medesima procedura, ovviamente a patto che si dimostri che le opere sono effettivamente antecedenti al momento in cui il territorio di interesse è entrato nella classificazione sismica.
Scritta così, sembra una procedura facile e leggera, ma occorre valutare anche altri aspetti.
Occorre, difatti, prestare grande attenzione all'aspetto pratico di questa procedura: la valutazione della sicurezza consente, in ipotesi, l'accertamento di conformità anche urbanistico laddove sia pienamente positiva, cioè nel momento in cui il tecnico incaricato di valutare la sicurezza sia in grado di attestare che effettivamente la struttura sia stata eseguita in conformità delle regole tecniche in vigore al momento dell'esecuzione dell'opera e risponda quindi ai livelli di sicurezza previsti dalle norme tecniche stesse; tale valutazione, peraltro, può essere di fatto impossibile laddove non sia possibile ricostruire con esattezza le caratteristiche della struttura (pensiamo al calcestruzzo armato e all'impossibilità del rilievo dei ferri in esso annegati). Laddove invece l'esito della verifica della sicurezza sia negativo, e si accerti, quindi, che l'intervento è stato eseguito in violazione delle norme o che anche soltanto non rispetti i valori di sicurezza prescritti, occorrerà prevedere delle opere di rinforzo le quali non potranno non essere coerenti con le prescrizioni delle norme tecniche (anche se non necessariamente è richiesta la prestazione prevista da una nuova costruzione): in tal caso si apre facilmente l'ipotesi che non solo si debbano realizzare interventi strutturali di consolidamento, rinforzo e quindi di adeguamento sismico, ma che si possano aprire le porte all'accertamento, da parte delle autorità, delle eventuali responsabilità penali connesse all'aver eseguito in passato interventi strutturali in assenza della prescritta procedura, in difformità delle normative in vigore. La differenza difatti può intravedersi nella differente natura della violazione: se questa è procedurale, cioè non si è effettuato il deposito del progetto ma comunque è stata fatta una struttura coerente con le norme (anche se con riferimento limitatamente a quelle in vigore al momento della costruzione), ovvero se è sostanziale, cioè manca sia il rispetto dell'adempimento, sia la violazione delle norme tecniche vigenti.
Nel Regolamento sismico della Regione Lazio, la procedura per l'accertamento di eventuali reati è disciplinata dall'art. 19, nel quale comunque non vi è nessun espresso rimando alla procedura dell'art. 10: dunque almeno non vi è una connessione automatica tra deposito di una verifica della sicurezza ed un accertamento di violazioni. Su questo tema mi sembra ben strutturato il ragionamento contenuto nel parere del Comitato Tecnico Scientifico della Regione Emilia Romagna del 7 novembre 2019, anche se fa riferimento principalmente alle norme specifiche regionali locali e quindi a procedure che possono non ritenersi valide anche nelle altre regioni.
Sarebbe comunque auspicabile una soluzione più chiara e definita del problema, che affligge tantissimi ambiti: nel futuro testo in corso di valutazione politica, denominato "disciplina delle costruzioni", è apparsa una intera porzione dedicata alla sanatoria strutturale: la consapevolezza politica della delicatezza della questione, quindi, è presente e, forse, non dobbiamo fare altro che aspettare tempi migliori.
Gent.mo Architetto
RispondiEliminaHo un immobile a Roma, che è stato accorpato nel luglio 2007 con DIA con la realizzazione di una scala a chiocciola.
La bucatura sul solaio è di 0,98*0,92 MT, mi chiedo se andava fatto a suo tempo il genio civile o per l entità del lavoro bastava solo la DIA consegnata al municipio di competenza?
La ringrazio
Cordiali saluti
bisognerebbe verificare diversi fattori: 1. cosa diceva esattamente il regolamento sismico all'epoca vigente o comunque quale norma si doveva ritenere in vigore; 2. la struttura di cui è composto il solaio; 3. a seconda del punto 2, capire se la bucatura ha interessato porzioni strutturali attive.
EliminaPurtroppo in Internet non è così facile trovare il regolamento sismico se 2003/2005 o se presente uno successivo prima del 2008.
EliminaLa ringrazio