Se si è proprietari di un pezzo di terra "edificabile", e si vuole realizzare una nuova costruzione, oltre a chiedere la licenza al comune (e sottostare alla montagna di leggi e normative relative all'edilizia ed all'urbanistica) bisogna anche devolvere quelli che si chiamano gli "oneri di urbanizzazione". Chi è un conservatore accanito dirà che il meccanismo dell'onerosità del titolo edilizio è una violazione del diritto di godimento della proprietà privata; chi invece è un progressista dirà che, dato che il territorio appartiene a tutti (il suolo può anche essere privato, ma il territorio ed il paesaggio sono di tutti), e dato che le nuove costruzioni hanno bisogno comunque di infrastrutture pubbliche, è giusto che chi costruisce compartecipi alle spese per l'urbanizzazione dei nuovi insediamenti (strade, fognature, elettrodotti, etc). Secondo me si può avere una terza visione della faccenda, partendo dal presupposto che è giusto il principio di fondo secondo cui la licenza edilizia viene rilasciata dietro il pagamento di un obolo a parziale risarcimento delle urbanizzazioni. Se vi interessa la mia opinione sull'argomento, potete continuare a leggere... :-)
I comuni d'Italia, benchè le tasse locali negli ultimi 15 anni siano cresciute del 114% (fonte: repubblica) hanno sempre i conti in profondo rosso. La "botta" dell'eliminazione dell'ICI di qualche anno fa è stata devastante, ma anche la nuova IMU è una grossa presa in giro ai cittadini ed ai comuni (in pochi hanno capito che in realtà va quasi tutta allo stato, ma la chiamano "imposta municipale"): dunque i comuni per tirare avanti a campare hanno soltanto due strade, ovvero quella di aumentare i balzelli che sono di loro competenza (vedi per esempio gli aumenti delle reversali per il deposito delle pratiche edilizie, che sono raddoppiati e triplicati negli ultimi anni), e quella di intascare quanti più oneri concessori possibili. Per intascare belle fette di oneri concessori bisogna però concedere l'edificazione di grosse superfici, come per esempio insediamenti urbani sostanziosi (Porta di Roma, Ponte di Nona, etc) o centri commerciali megagalattici (Porta di Roma, Euroma 2, Roma Est, etc). Il territorio viene quindi riempito di cubatura ma, soprattutto, si vanno a creare nuovi ambiti urbani slegati dal tessuto della città esistente: questi quartieri "satellite", inoltre, nascono ben prima di ricevere le infrastrutture utili a renderlo appetibile (linee del trasporto pubblico; servizi di base; etc), creando di fatto dei quartieri nuovi ma difficili da abitare. Le conseguenze sono note: tutti gli abitanti sono costretti a spostarsi con mezzi privati, i quali vanno subito a saturare l'infrastruttura stradale preesistente che era magari già congestionata di suo. Morale: la città diventa brutta. Sì, la città diventa brutta quando diventa difficile da vivere, e quando ciò avviene le persone si intristiscono. Non è infatti la gente che fa diventare brutta la città, ma è la città nata male, nata per soli scopi finanziari che rende brutta la gente che la abita: perché ci si esaspera ad aspettare il carro bestiame dell'atac che passa una volta ogni mezz'ora, oppure a dover prendere la macchina e fare 5km per prendere il latte, ad essere costretti a fare la spesa solo al megacentro commerciale vicino, oppure, cosa più importante, ci si esaspera a sentirsi abbandonati dallo Stato.
I princìpi del capitalismo finanziario applicati alla città la distruggono: per antonomasia, la città è il luogo di incontro per le persone, dove la gente decide di abitare tutti assieme per avere diversi vantaggi reciproci (in tempi antichi lo si faceva per difendersi meglio dagli assalti esterni, ma anche perchè ci si rendeva conto che abitare vicini facilitava i commerci e lo scambio di prodotti - oltre che di cultura -, indispensabili alla sopravvivenza: Roma nacque non a caso in prossimità del guado del Tevere dove erano costretti a passare tutti quelli che si spostavano tra nord e sud d'Italia, e probabilmente per questo divenne potente) oltre che essere la base indispensabile ed irrinunciabile della vita sociale. il sistema capitalistico-finanziario fa di tutto per farci credere che l'economia giri solo grazie alla finanza perché questo fa comodo a molti: cercano di farci distogliere dal concetto fondamentale, valido da circa cinquemila anni, che l'economia gira attorno ed all'interno delle nostre città.
Eppure basterebbe poco: per scardinare il ricatto degli oneri concessori basterebbe far si che i soldi - come dicevo comunque dovuti - degli oneri concessori siano devoluti non al comune ma allo Stato (o alla Regione magari) che poi utilizzerà questi fondi per creare le infrastrutture necessarie e programmandole magari anche a livello sovracomunale (non sono pochi i casi di insediamenti urbani realizzati - appunto, per "fare cassa" - all'interno del territorio dei comuni confinanti con Roma che però sono connessi in modo stupido alla capitale, proprio perchè il Comune di Roma non se ne è preoccupato ed i comuni limitrofi non hanno ovviamente potere di decidere le infrastrutture sul suolo di altri comuni), facendo cioè quello che già fanno le provincie e le regioni (la programmazione sovracomunale) ma avendo anche i fondi per farlo. In questo modo si slegherebbe subito il collegamento diretto tra soldi di cui il comune ha bisogno e nuove autorizzazioni per l'edificazione: la pianificazione urbana quindi si potrebbe fare con maggiore intelligenza e serenità, magari privilegiando la modifica (anche drastica) ed il recupero di settori di città già urbanizzati e nati senza regole (grazie ai vari condoni) ma soprattutto facendo una pianificazione intelligente delle infrastrutture (non per citare sempre i casi all'estero, però in Danimarca come in Svezia si realizzano prima le linee di metropolitana e solo dopo si cominciano a costruire i fabbricati per abitazione) in modo che i nuovi quartieri nascano già "maturi" delle infrastrutture e dei servizi di cui hanno bisogno.
Inutile illuderci, poi, che l'iniziativa di riqualificare le nostre città possa passare attraverso il privato: così come i princìpi del capitalismo finanziario non sono adatti alla città, altrettanto sono inadatti i princìpi e le scelte del privato che inevitabilmente si trasformano in attività speculative. Il privato può al massimo inserirsi all'interno di programmi di qualificazione di iniziativa pubblica, i quali certo devono essere concepiti anche per offrire guadagni economici (purchè non mostruosi) agli investitori per attirarli (premi di cubatura, sgravi fiscali, perequazioni, cessione di immobili pubblici inutilizzati, cambi di destinazione d'uso), ma il vantaggio principale dovrà essere della città e non dello speculatore.
Comunque non voglio solo criticare: Roma Capitale ha un ufficio che si occupa della riqualificazione delle periferie che promuove diversi programmi di recupero urbano, e il Piano Regolatore di Roma non è fatto poi tanto male consentendo diverse tipologie di intervento anche invasivo di ristrutturazione urbanistica: insomma gli strumenti per fare ci sarebbero pure.
I princìpi del capitalismo finanziario applicati alla città la distruggono: per antonomasia, la città è il luogo di incontro per le persone, dove la gente decide di abitare tutti assieme per avere diversi vantaggi reciproci (in tempi antichi lo si faceva per difendersi meglio dagli assalti esterni, ma anche perchè ci si rendeva conto che abitare vicini facilitava i commerci e lo scambio di prodotti - oltre che di cultura -, indispensabili alla sopravvivenza: Roma nacque non a caso in prossimità del guado del Tevere dove erano costretti a passare tutti quelli che si spostavano tra nord e sud d'Italia, e probabilmente per questo divenne potente) oltre che essere la base indispensabile ed irrinunciabile della vita sociale. il sistema capitalistico-finanziario fa di tutto per farci credere che l'economia giri solo grazie alla finanza perché questo fa comodo a molti: cercano di farci distogliere dal concetto fondamentale, valido da circa cinquemila anni, che l'economia gira attorno ed all'interno delle nostre città.
Eppure basterebbe poco: per scardinare il ricatto degli oneri concessori basterebbe far si che i soldi - come dicevo comunque dovuti - degli oneri concessori siano devoluti non al comune ma allo Stato (o alla Regione magari) che poi utilizzerà questi fondi per creare le infrastrutture necessarie e programmandole magari anche a livello sovracomunale (non sono pochi i casi di insediamenti urbani realizzati - appunto, per "fare cassa" - all'interno del territorio dei comuni confinanti con Roma che però sono connessi in modo stupido alla capitale, proprio perchè il Comune di Roma non se ne è preoccupato ed i comuni limitrofi non hanno ovviamente potere di decidere le infrastrutture sul suolo di altri comuni), facendo cioè quello che già fanno le provincie e le regioni (la programmazione sovracomunale) ma avendo anche i fondi per farlo. In questo modo si slegherebbe subito il collegamento diretto tra soldi di cui il comune ha bisogno e nuove autorizzazioni per l'edificazione: la pianificazione urbana quindi si potrebbe fare con maggiore intelligenza e serenità, magari privilegiando la modifica (anche drastica) ed il recupero di settori di città già urbanizzati e nati senza regole (grazie ai vari condoni) ma soprattutto facendo una pianificazione intelligente delle infrastrutture (non per citare sempre i casi all'estero, però in Danimarca come in Svezia si realizzano prima le linee di metropolitana e solo dopo si cominciano a costruire i fabbricati per abitazione) in modo che i nuovi quartieri nascano già "maturi" delle infrastrutture e dei servizi di cui hanno bisogno.
Inutile illuderci, poi, che l'iniziativa di riqualificare le nostre città possa passare attraverso il privato: così come i princìpi del capitalismo finanziario non sono adatti alla città, altrettanto sono inadatti i princìpi e le scelte del privato che inevitabilmente si trasformano in attività speculative. Il privato può al massimo inserirsi all'interno di programmi di qualificazione di iniziativa pubblica, i quali certo devono essere concepiti anche per offrire guadagni economici (purchè non mostruosi) agli investitori per attirarli (premi di cubatura, sgravi fiscali, perequazioni, cessione di immobili pubblici inutilizzati, cambi di destinazione d'uso), ma il vantaggio principale dovrà essere della città e non dello speculatore.
Comunque non voglio solo criticare: Roma Capitale ha un ufficio che si occupa della riqualificazione delle periferie che promuove diversi programmi di recupero urbano, e il Piano Regolatore di Roma non è fatto poi tanto male consentendo diverse tipologie di intervento anche invasivo di ristrutturazione urbanistica: insomma gli strumenti per fare ci sarebbero pure.
Certo, la mia idea prevede che i comuni rinuncino ad una fetta del loro potere, e solo chi ha a che fare con la pubblica amministrazione sa quanto ogni singolo ufficietto sia più preoccupato di tutelare la sua piccola fettina di potere piuttosto che promuovere il benessere della società: è per questo che l'idea iniziale dell'ultimo governo Berlusconi di liberalizzare le piccole ristrutturazioni edilizie alla fine è naufragato tristemente; chi pensate che si sia opposto se non le amministrazioni locali (la CILA è di fatto la DIA che c'era prima, non è cambiato nulla: l'unica cosa che è cambiata è che non c'è più il silenzio-assenso di 30giorni, ma in compenso sono raddoppiate le reversali comunali: puoi leggere questo altro mio post se vuoi approfondire questo argomento)?
Questa è ovviamente soltanto la mia personale opinione: Just my 2 cents ;-)
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