update giugno 2012: gli argomenti trattati in questo vecchio post sono stati in parte superati da una nuova legislazione. Vi invito pertanto a leggere i miei post più recenti relativi agli stessi argomenti.
anzitutto, la Denuncia di Inizio Attività (c.d. DIA) è un titolo edilizio (da non confondersi con la denuncia di inizio attività commerciali) che serve ad ottenere l'autorizzazione per poter realizzare una certa casistica di opere edili. Al di sopra di questo titolo, c'è il Permesso di Costruire: i due titoli edilizi si differenziano soprattutto per i lavori che possono autorizzare, ma anche per la "complessità" che necessariamente richiedono. Il permesso di costruire, essendo rivolto all'ottenimento del titolo per realizzare qualunque tipo di nuovo edificio sul territorio, deve essere accompagnato da una moltitudine di altre autorizzazioni e documenti (dalla Valutazione di Impatto Ambientale ai calcoli per il rispetto dei parametri di consumo energetico; dai nulla osta dei vari enti preposti alle tutele dei vincoli delle aree interessate alla perizia sull'impatto acustico, e via dicendo) e, soprattutto, differisce dalla DIA perchè ha il meccanismo del "silenzio rifiuto": ovvero se l'amministrazione, una volta presentata l'istanza, non comunica alcunchè entro un certo tempo (in genere 60 giorni), l'autorizzazione si considera automaticamente negata. Viceversa, alla DIA, che vuole essere uno strumento più esile del permesso di costruire, è attribuito il meccanismo del "silenzio assenso", ovvero se l'amministrazione non comunica alcunchè nell'arco di un certo tempo (attualmente sono 30 giorni) il titolo si ritiene automaticamente concesso. Si capisce subito, quindi, la volontà del legislatore di voler creare uno strumento che, seppure immerso nei meandri della burocrazia del nostro paese, sia abbastanza esile da poter essere usato in tutti i casi in cui le opere da autorizzare non siano di così grande impatto sul territorio quanto le nuove costruzioni.
Vediamo quindi qualche riferimento normativo. La DIA è oggi normata all'interno del Testo Unico dell'Edilizia (d.p.r. 380/01 e successive modifiche), all'articolo 22; nasce poco tempo prima della creazione del testo unico stesso, per risolvere e ordinare una serie di norme preesistenti che risultavano poco chiare e poco efficaci. Sicuramente è stato un bel passo avanti dal punto di vista della burocrazia, perchè finalmente veniva definito in modo chiaro in quale ambito doveva essere presentata una DIA, definendo bene contemporaneamente gli ambiti di applicazione rispetto agli altri titoli edilizi. Le opere che sono soggette alla presentazione di una DIA sono, allo stato attuale della normativa, i lavori di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia e, in alcuni specifici e limitati casi, di nuova costruzione.
Attenzione: queste definizioni di lavori sono definite all'interno dello stesso testo unico, all'articolo 3. Molti tendono a confondere il termine gergale "ristrutturazione edilizia" come la ristrutturazione del proprio appartamento, ma non è così: interpretando l'art.3, infatti, si capisce che la "ristrutturazione" di un appartamento ricade tra le opere definibili di "manutenzione straordinaria". Le opere di ristrutturazione edilizia, infatti, così come definite dal testo unico, sono quelle in cui si incide, anche fortemente, sull'edificio esistente, andandone anche a modificare i volumi e le sagome. La manutenzione straordinaria, invece, sono tutte quelle opere che possono essere realizzate senza modificare le superfici, le sagome, i volumi o il numero delle unità immobiliari. Ma se entrambe queste lavorazioni ricadono nella DIA, perchè preoccuparsi della differenza tra le due definizioni? è presto detto: alla DIA, in alcuni casi, è attribuito un potere che prima veniva delegato al solo permesso di costruire; in tempi andati, infatti, quando si voleva fare opere di "ristrutturazione edilizia" era necessario richiedere un permesso di costruire, perchè a questo tipo di operazioni era, ed è, collegata la richiesta del pagamento degli oneri concessori. Tuttavia, fin da poco dopo la nascita della DIA, il legislatore si è accorto che, con la nuova normativa, ricadevano nel permesso di costruire anche opere realtivamente poco influenti sul territorio, quali potevano essere i frazionamenti o le fusioni degli immobili senza alterazione delle superfici, o la demolizione e ricostruzione di parti, magari ammalorate, degli edifici esistenti. Così si è pensato - giustamente - di ampliare i poteri della DIA per poter richiedere il titolo abilitativo "semplificato" anche per opere soggette al pagamento degli oneri concessori: ecco quindi che nacque, già nel 2002, la DIA onerosa, o c.d. superDIA.
Saltando altri ragionamenti, forse troppo tecnici o comunque delegabili a futuri post, vediamo nel dettaglio quando serve la DIA e quando non serve. L'articolo 6 del citato testo unico descrive quali opere si possano compiere senza la richiesta di alcun titolo abilitativo: è la cosiddetta "attività edilizia libera". Attualmente le sole opere che non richiedono alcun titolo abilitativo sono quelle definite all'articolo 3 come "opere di manutenzione ordinaria". Queste sono universalmente definite come quelle opere che servono a mantenere in efficienza un immobile, ma senza incidere sulla sua distribuzione interna nè sulla destinazione d'uso dei singoli vani.
Sono quindi opere che non richiedono alcun titolo edilizio, ad esempio:
- il rifacimento degli impianti elettrico, idrico, di riscaldamento, antintrusione all'interno del singolo appartamento o anche dell'intero fabbricato
- la demolizione e ricostruzione dei pavimenti, degli intonaci dei tramezzi, o anche dei tramezzi stessi solo nel caso in cui vengano demoliti per essere ricollocati esattamente allo stesso punto dell'originale
- la sostituzione delle porte interne o anche degli infissi esterni, solo nel caso in cui vengano sostituiti con elementi aventi identiche caratteristiche sia dimensionali che estetiche rispetto agli originali
- la creazione di controsoffittature in cartongesso
- tinteggiare pareti e soffitti
- demolizione e ricostruzione dei tramezzi interni per ottenere una diversa distribuzione degli ambienti (non importa la tecnologia costruttiva dei tramezzi, sia blocchi di cemento siano pareti in cartongesso o legno)
- rifacimento, restauro, rinforzo o sostituzione di elementi strutturali dell'edificio o dell'immobile
- modifiche ai prospetti esterni (quindi dimensioni, forme e colori delle finestr) dell'immobile o del fabbricato
- opere di restauro e risanamento conservativo che non modificano le sagome, le superfici o i volumi dell'edificio esistente
- opere di demolizione e ricostruzione, anche di interi edifici, purchè il nuovo edificio sia identico all'originale in quanto a volumi, sagome e superfici.
- lo spostamento dei locali di servizio (bagni o cucina) da un vano all'altro, anche senza spostare i tramezzi
- realizzazione di volumi tecnici o di tettoie necessarie per proteggere elementi tecnologici o necessarie a fare da supporto a impianti (come p.e. i pannelli solari)
Salendo la scala della "complessità" delle opere, ancora autorizzabili in DIA, ma soggette al pagamento degli oneri concessori (stiamo quindi parlando della c.d. superDIA), abbiamo:
- fusioni e frazionamenti di unità immobiliari all'interno dello stesso fabbricato
- opere di demolizione e ricostruzione anche di interi edifici con variazione della sagoma e/o dei volumi o superfici preesistenti
- sopraelevazioni, chiusura di balconi
- qualunque opera che aggiunge o riduce la quantità di volume o di superficie anche di un singolo appartamento
- opere di restauro e risanamento conservativo che influiscono sui volumi e/o sulle superfici dell'edificio
- la nuova costruzione di edifici, purchè esista già un piano di lottizzazione approvato che definisca sagome, volumi e superfici dei singoli edifici del comprensorio
Al di là dei molteplici casi specifici, la cui trattazione sarebbe praticamente infinita, vorrei comunque specificare che l'installazione dei pannelli solari sul tetto di un edificio, entro certe superfici, molto spesso ricade tra le opere che non necessitano di alcun titolo autorizzativo. Tratterò l'argomento, che è assai complesso, in un post specifico.
Fin qui abbiamo trattato di cosa è autorizzabile e cosa no: ora vediamo, nel dettaglio, in cosa si traduce questa famosa DIA in termini pratici.
Anzitutto va detto che la DIA, essendo una struttura burocratica concepita appositamente per togliere la responsabilità dalla pubblica amministrazione per trasferirla altrove, necessita della firma di un tecnico, che dovrà asseverare, sotto la propria responsabilità, che le opere di cui si chiede l'autorizzazione siano conformi a tutto un corollario di normative, che vanno dal regolamento edilizio del singolo Comune alle norme più disparate in vigore a livello nazionale (legge sulla sicurezza sui posti di lavoro; legge sulle norme per il risparmio energetico; norme regionali sull'impatto acustico; norme delle ASL locali sullo smaltimento di eventuali rifiuti pericolosi; eventuali interpretazioni della magistratura delle varie norme, etc etc). I tecnici abilitati a timbrare le DIA sono i geometri, i periti edili, gli ingegneri e gli architetti, ovviamente solo se regolarmente iscritti al relativo albo di appartenenza.
La DIA, sostanzialmente, si compone di poche paginette, nella stragrande maggioranza dei casi compilate su moduli messi a disposizione dagli stessi Comuni (ovviamente ogni comune ha il suo modulo e, addirittura a Roma, i moduli sono "personalizzati" in ciascun municipio, o quasi - va detto che molti oggi accettano anche il modulo-standard messo a disposizione dal IX dipartimento), in cui vengono descritte le opere e vengono inseriti gli estremi dei vari attori, che sono: il committente (colui che paga i lavori e colui che rimane titolare dell'autorizzazione edilizia) che può anche non coincidere con il proprietario dell'immobile (in caso di più proprietari, il committente è comunque uno solo tra essi); il progettista, che è il tecnico che si assume la responsabilità che il progetto risponde alle varie normative; il direttore dei lavori, che è il tecnico (che nelle DIA in genere coincide con il progettista, ma non necessariamenteo) che si dovrà assumere la responsabilità, di fronte all'amministrazione pubblica, che il progetto venga realizzato esattamente così come è stato depositato in origine - salvo comunque la possibilità di integrare o modificare il progetto originario, purchè sempre rispettoso della varie normative -.
Ai moduli precompilati, quindi, si aggiungeranno la realzione tecnica, in cui il tecnico descriverà le opere da compiersi, e gli elaborati grafici, che dovranno rappresentare, in scala adeguata, le stesse lavorazioni. In più, all'istanza vanno allegati una serie di documenti, soprattutto quelli che servono a dimostrare che lo stato attuale dell'immobile, prima dei lavori, è stato a sua volta autorizzato da un precedente titolo. Infatti, secondo le vigenti leggi, se un immobile ha una planimetria che deriva da lavori che non sono mai stati ufficializzati, si è in una situazione di abusivismo: in questo caso sarà necessario procedere alla sanatoria dell'abuso (se è sanabile) prima di procedere con le nuove opere. Purtroppo questa è una condizione che si verifica praticamente sempre, perchè in particolare per edifici molto vecchi, è praticamente impossibile che non sia mai stata spostata una porta, creata una nicchia o tirato su un muro magari per dividere un ambiente: questo è il prezzo di una normativa che, se da un lato ci da strumenti elastici, dall'altra è rigida e inflessibile.
Stiamo attendendo comunque gli esiti di una proposta di legge, avanzata dal Ministro Brunetta, di voler far rientrare molte delle opere di manutenzione straordinaria nell'attività edilizia libera: questo significherebbe che le opere di rifacimento interno delle distribuzioni degli appartamenti potrebbero essere fatte senza richiedere alcun titolo. Il dibattito sembra che si sia arenato, ed è ormai più di un anno che gira questa proposta di legge senza mai compiere il passo definitivo verso le camere. Personalmente, seppure in qualità di tecnico, sarei di gran lunga favorevole alla deregolamentazione di questo particolare settore dell'edilizia, sia perchè, in questo modo, ci avvicineremmo al resto dell'europa (in Germania per costruire una nuova casa bisogna rispettare una serie di norme che sono contenute in un foglio A3, e nessuno richiede autorizzazioni per fare modifiche interne agli appartamenti: è una fantasia tutta italiana), e sia perchè, seppure esile, la burocrazia rallenta sempre il processo produttivo, scatenando, tra l'altro, anche delle sanzioni spesso sproporzionate all'entità dei "danni" che si producono.
Carissimo collega,
RispondiEliminasto analizzando in questi giorni l'applicabilità di un Piano Casa per ampliamento in sopraelevazione a Roma e considerato il fatto che vale il requisito dell'autonomia funzionale del volume che si andrà a realizzare, sarò costretto a realizzare preliminarmente una scala esterna che arrivi al piano di copertura.
Considerando il fatto che mi trovo in un ambito della Città da Ristrutturare (Zona Morena), che tipo di pratica dovrò redigere per la realizzazione di questo nuovo accesso dall'esterno? DIA o PdC?
le scale di collegamento verticale possono andare anche in SCIA, ma secondo me se hanno rilevanza esterna serve sempre la DIA. il PdC sicuramente no, perché non c'è aumento di volume. Finora ho visto piani casa fatti facendo acquisire l'autonomia funzionale ad immobili semplicemente realizzando dei nuovi accessi su strada, ed i municipi hanno spesso storto il naso; una scala intera è quantomeno singolare: verifica che il diritto acquisito sia poi incontestabile, benché la normativa non è affatto chiara sul punto.
Eliminacaro Marco, ti ringrazio per la celere risposta.
EliminaSono consapevole del fatto che si possa acquisire l'autonomia funzionale ad immobili semplicemente realizzando dei nuovi accessi su strada, ma nel mio caso non avrebbe senso, in quanto dal cancelletto su strada si accede ad una zona comune e poi all'androne comune che serve il PT e il 1°P...quindi non avrebbe senso realizzare un ulteriore nuovo accesso.
Cosa ne pensi?
Ti chiarisco meglio il mio caso:
Elimina- attualmente l'immobile è costituito da un piano terra ed un primo piano serviti da un vano scale comune che arriva fino in copertura
- i proprietari d'accordo tra di loro vorrebbero realizzare un volume al secondo piano in sopraelevazione con l'accesso dal vano scala comune
Il mio dubbio principale sull'autonomia funzionale è legato al fatto che non mi è completamente chiaro se tale caratteristica:
- è soddisfatta dall'accesso del vano scala comune?
- sono costretto a far realizzare, come ti dicevo, una scala diretta al piano in sopraelevazione?
- il nuovo volume deve essere collegato da una scala interna alla proprietà del Primo Piano, e dovrà avere il primo piano autonomia funzionale?
Ti ringrazio in anticipo
se i proprietari sono d'accordo sull'intervento a che ti serve l'autonomia funzionale? puoi applicare il piano casa direttamente, facendo accedere l'immobile dal vano scale comune. l'autonomia funzionale comunque la raggiungeresti solo con una scala esterna.
Eliminagrazie mille....sempre gentilissimo
EliminaBuon giorno, vorrei realizzare dei finti travi in cartongesso che passerebbero in soggiorno (da 2,85 metri si passerebbe a 2,65 metri per 20 cm di larghezza) e in corridoio (contro soffitto in cartongesso) per far passare all interno l'impianto di riscaldamento, dovrei fare la DIA? O la CILA? Grazie della riposta
RispondiEliminaper i finti travi secondo me non è necessaria alcuna pratica edilizia; per il ribassamento nel corridoio sarebbe indicata la CILA ma anche qui molti ritengono che non sia necessaria, poiché la realizzazione di un controsoffitto non necessariamente rientra nella classificazione di manutenzione straordinaria.
EliminaSalve Arch.Campagna,
RispondiEliminadovrei aprire una finestra per un wc su una chiostrina interna, la quale ha dimensioni pari a 3,80 X 3,75, il mio appartamento si trova al V ultimo piano.
la parete di fronte a dove vorrei intervenire ha delle finestre che illuminano le scale fino al piano IV e le due pareti laterali all'ipotetica finestra da aprire sono finestrate (due finestre a sx che fanno parte del mio appartamento e una a dx di un'altra abitazione)
è stata presenatta una DIA al municipio e pagato il corrispettivo per il contributo sul costo di costruzione per l'apertura d questa finestra, ma ora mi sorge un dubbio:
Le pareti finestrate non devono rispettare una distanza minima di 10m come previsto dall'art.9 D.M. 1444/68? o poichè sono pareti del medesimo fabbrica e non avendo finestre di fronte posso seguire il regolamento edilizio del Comune di Roma che prevede che "la normale, misurata tra una finestra ed il muro opposto, sia di 3,50 m se l'altezza della chiostrina è compresa tra 12 e 18 m"
GRAZIE MILLE
essendo la finestra di un bagno, è sufficiente che rispetti le norme per l'affaccio nelle chiostrine. ovviamente potrebbero esserci problemi un domani qualora si volesse riconvertire l'ambiente in camera da letto.
EliminaMarco buonasera,
RispondiEliminasecondo te un DIA presentata nel 1996 ai sensi dell'art.9 del DL 154/1996 per la quale non fu mai presentata né comunicazione di fine lavori, né certificato di collaudo finale, che valore può avere?
Mi spiego, può essere utilizzata come "ante operam" per una CILA/SCIA da presentare oggi? può essere utilizzata come titolo per una variazione catastale?
grazie mille
teoricamente è decaduta ed è come se non fosse mai stata presentata; tuttavia alcune amministrazioni accettano di fare un collaudo postumo, con applicazione di sanzione. Conviene andare a chiedere.
Eliminasempre per aggiornare le varie casistiche:
RispondiEliminaho chiesto ieri in Municipio (II) e secondo il tecnico non è possibile oggi, a distanza di 20 anni, procedere alla presentazione della fine lavori+certificato di collaudo. sarebbe stato possibile entro un termine massimo di 10 anni con pagamento di una sanzione di € 516 ("fine lavori tardiva"). gli ho chiesto il riferimento normativo che stabiliva il termine dei 10 anni, ma ovviamente non me lo ha saputo dire...
alla prossima
grazie del feedback. interessante il punto di vista: cercherò di approfondire.
EliminaBuonasera architetto,
RispondiEliminauna mia cliente vorrebbe aprire sul balcone affacciato nel cortile condominiale una porta finestra (ha già l'approvazione del condominio, non è città storica, non ci sono vincoli e l'intervento è già stato eseguito anche da altri condomini). Questa lavorazione può essere eseguita con DIA in alternativa al permesso a costruire con presentazione del computo metrico estimativo e pagamento del 10% del contributo di costruzione rispetto al costo di costruzione dell'opera. Nello stesso appartamento senza autorizzazione edilizie sono stati eseguiti in economia 3 anni fa delle piccole modifiche interne (spostamento di porte e tramezzi), chiedo a lei come converrebbe agire, è possibile far rientrare le vecchie modifiche nella nuova DIA? Servirebbe una Dia in sanatoria? Anche se per le opere da "sanare" sarebbe servita una normale Cila....In attesa di una sua risposta la ringrazio e la saluto cordialmente.
generalmente è possibile fare una pratica che sani il pregresso e autorizzi nuovi interventi, anche se per le cose da sanare sarebbe sufficiente un titolo meno "forte"; dato però che in questo caso le oblazioni vanno pagate come se fosse una CILA, è bene accordarsi con il municipio per sapere come loro ritengono sia meglio fare.
EliminaCiao Marco , sempre grazie per il blog, ho un dubbio amletico, ho presentato una dia in sanatoria per manutenzione straordinaria e interventi in RE2.Una volta fatto il docfa per variazione andrò a protocollare nuova planimetria e variazione catastale, ma devo anche preentare una vera e propria (ma fasulla) fine lavori con collaudo!? Mi sembra un controsenso, o basta allegare una lettera di accompagnamento in cui mi riferisco alla pratica??
RispondiEliminagrazie mille!
nella DIA in sanatoria devi aspettare l'avallo dell'ufficio: non c'è infatti silenzio-assenso nell'accertameto di conformità. saranno loro a dirti cosa fare per concludere l'iter, comunque è probabile che ti chiedano una certificazione di regolare esecuzione delle opere, cioè una sorta di fine lavori.
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