sabato 8 giugno 2019

riproposto nella legge di conversione del DL 32/19 l'interpretazione autentica della regola delle distanze

Oggi un post lapidario, giusto per informarvi che nel testo della bozza di legge di conversione del DL 32/2019, modifiche apportate all'art. 5 del c.d. "sblocca cantieri" è stata reintrodotta l'"interpretazione autentica" del DM 1444/68 per quanto riguarda le distanze tra costruzioni. Vediamo brevemente cosa potrebbe comportare questa novità.

il testo di questo post è stato scritto prima della pubblicazione della legge di conversione, ed è stato poi conseguentemente aggiornato il 18 giugno 2019. potreste quindi ancora rinvenire nel testo dei riferimenti alle bozze che circolavano prima della pubblicazione: volutamente lascio alcune parole per dare comunque il senso del fatto che tale post è stato scritto in due fasi, prima e dopo la conversione in legge del decreto 32/19.
Il decreto 32/2019 è stato convertito con la legge n°55 del 14 giugno 2019, con la quale quindi è diventata definitivo il testo che già circolava nelle bozze. L'art. 5 rinnovato pertanto adesso contiene la seguente lettera b-bis:

« b-bis) le disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9 »
Il testo dell'art. 9 DM 1444/68 così recita (l'indicazione dei commi l'ho inserita io per maggiore chiarezza, ma in effetti il testo originario non riporta il numero dei commi e quindi potrebbe essere errata la distinzione da me riportata):

art. 9. Limiti di distanza tra i fabbricati 

[comma 1] Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.
[comma 2] Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
- ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
- ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
- ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
[comma 3] Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. 
[comma 4] Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

quindi l'interpretazione che si vuole dare del DM è che i commi 2 e 3 di cui sopra, si riferirebbero solo alle zone territoriali omogenee C e non anche alle zone A, B (oltre a tutte le altre che non sono C), come invece nel corso del tempo aveva interpretato la giurisprudenza (vedi sentenza cass. 40694/2016 riportata in quest'altro post). Questo vuole essere quindi uno strumento di enorme semplificazione per gli interventi di rigenerazione urbana, in quanto, in particolare per le zone B, di fatto il vincolo sarebbe solo ed esclusivamente la distanza di 10 metri tra pareti finestrate, facilitando quindi gli interventi di sostituzione edilizia anche con diversa sagoma e volume (altrimenti, si sarebbe sempre vincolati alla sagoma esistente per non dover ricadere nell'obbligo di rispettare le distanze come ad oggi computate, dato che la stragrande maggioranza del territorio delle città è stato sviluppato prima del decreto 1444/68).

Rimane il grosso limite della zona A, in quanto in questo tessuto le distanze non possono essere inferiori a quelle preesistenti, imponendo di fatto un implicito vincolo alla sagoma esistente così come fotografata al momento di pubblicazione del decreto del 1968. unico modo quindi di "aggirare" le distanze in zona A sarebbe quella di autorizzare gli interventi di rigenerazione urbana all'interno di ambiti a progettazione urbana e quindi con strumenti autorizzativi indiretti in cui vi è la partecipazione principale della pubblica amministrazione, come indicato dal comma 4 del decreto.

Tutto ciò comunque nell'attesa che le Regioni attuino l'altra innovazione, già apportata legislativamente, che prevede che queste siano chiamate obbligatoriamente a definire gli ambiti di deroga, come abbiamo già visto in questo recente post avente sempre ad oggetto la versione già approvata del DL 32/19. Va detto tuttavia che in sede di conversione in legge, il Governo è tornato sui suoi passi ed ha soppresso la originaria lettera a) del comma 1 dell'art. 5, di fatto quindi eliminando l'obbligo per le Regioni di definire tali deroghe.

Se ho interpretato correttamente la volontà del legislatore, in effetti la novella introdotta dalla lettera b-bis porta con sè una innovazione interessante (nonché già ventilata in precedenza ma poi stralciata dalla versione approvata del DL), perché va nel verso del mantenimento della tutela delle zone A, che oggi possono ricomprendere tessuti molto delicati benché edificati in epoche relativamente recenti (per esempio a Roma oggi la zona A ricomprende anche i quartieri nomentano, flaminio, trieste, prati, città giardino, cioè tutti tessuti urbani sviluppati nel XX secolo), ma rendendo più semplice la sostituzione edilizia nelle zone B, dove in effetti la qualità edilizia e l'assembramento urbano hanno prodotto ambienti urbani di scarsa qualità. L'applicazione di questa norma, comunque, combinata con quelle leggi speciali regionali che consentono premialità volumetriche, rischia di generare interventi speculativi "invasivi" che possono danneggiare tessuti comunque delicati.

Una delle prime sentenze a citare la modifica normativa in parola è Consiglio di Stato n°6613/2021 nella quale viene specificato che la novella normativa incide solo sulla applicabilità del criterio delle distanze in funzione anche dell'altezza nelle sole zone C, mentre per le altre zone rimane ferma la specifica della distanza minima inderogabile dei metri 10.

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