giovedì 29 novembre 2018

la piccola sanatoria edilizia del dl 55-18 aggiornata dal decreto genova

Molto (di sbagliato) si è detto sul cosiddetto "condono Ischia" contenuto nel sempre cosiddetto "decreto Genova" (DL 109/18 convertito con modifiche dalla L 130/18), ma nessuno ha detto che il DL 55/18, fatto dal governo precedente in uno degli ultimissimi atti, conteneva già una forma di sanatoria semplificata e sotto certi aspetti derogatoria, limitata ad alcune opere minori, che con il decreto genova è stata ulteriormente affinata.



L'articolo 1 sexies del DL 55/18, modificato poi dall'art. 39 ter del decreto genova, in sostanza dice che sono sanabili, mediante una procedura di sanatoria ordinaria, però corretta nelle forme in cui vedremo, gli interventi che avrebbero richiesto il deposito di una SCIA ai sensi dell'art. 22 comma 1 del DPR 380/01. Fin qui non c'è niente di strano: il testo unico dell'edilizia normalmente prevede la possibilità di accertare la conformità (cioè sanare) abusi edilizi, a patto però che gli stessi rappresentino degli interventi che erano realizzabili con le forme ordinarie: in sostanza sono interventi fattibili, ma per i quali non è stata chiesta l'obbligatoria autorizzazione. L'altra clausola, spesso foriera di grossi problemi, che la normativa in via ordinaria prevede, è che non solo le opere abusive devono rispettare la normativa in vigore (e ci mancherebbe) ma deve pure rispettare quella in vigore al momento dell'esecuzione dell'abuso. Questo concetto è detto della "doppia conformità", e spesso, nell'applicazione pratica, presenta diversi problemi. Dato che le leggi spesso cambiano, ed anche per comodità di chi legge, copincollo qui appresso il testo dell'art. 39 ter in vigore ad oggi (29 novembre 2018), che ha sostituito il comma 1 art. 1 sexies del DL 55/18:

1. In caso di interventi edilizi sugli edifici privati nei comuni di cui agli allegati 1, 2 e 2-bis al decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, realizzati prima degli eventi sismici del 24 agosto 2016 in assenza di titoli edilizi nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, o in difformita' da essi, e nelle ipotesi di cui al comma 1-bis del presente articolo, il proprietario dell'immobile, pur se diverso dal responsabile dell'abuso, puo' presentare, anche contestualmente alla domanda di contributo, richiesta di permesso o segnalazione certificata di inizio attivita' in sanatoria, in deroga alle previsioni degli articoli 36, comma 1, 37, comma 4, e 93 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, avendo riguardo a quanto rappresentato nel progetto di riparazione o ricostruzione dell'immobile danneggiato e alla disciplina vigente al momento della presentazione del progetto. E' fatto salvo, in ogni caso, il pagamento della sanzione di cui ai predetti articoli 36 e 37, comma 4, il cui importo non puo' essere superiore a 5.164 euro e inferiore a 516 euro, in misura determinata dal responsabile del procedimento comunale in relazione all'aumento di valore dell'immobile, valutato per differenza tra il valore dello stato realizzato e quello precedente all'abuso, calcolato in base alla procedura prevista dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701. L'inizio dei lavori e' comunque subordinato al rilascio dell'autorizzazione statica o sismica, ove richiesta"
1-bis. Il comma 1 del presente articolo trova applicazione anche nei casi previsti dalle norme regionali attuative dell'intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, sull'atto concernente misure per il rilancio dell'economia attraverso l'attivita' edilizia, di cui al provvedimento della Conferenza unificata 1° aprile 2009, n. 21/CU, ovvero dalle norme regionali vigenti in materia di urbanistica e di edilizia. In tale caso il contributo non spetta per la parte relativa all'incremento di volume. Il presente articolo non trova applicazione nel caso in cui le costruzioni siano state interessate da interventi edilizi totalmente abusivi per i quali sono stati emessi i relativi ordini di demolizione" 

Rispetto al testo originario dell'articolo 1 sexies viene introdotto il riferimento all'art. 36 del TUE, affiancandosi quindi all'art. 37 già preesistente nel testo. l'art 36 è quello che consente l'accertamento di conformità di opere molto più invasive (ristrutturazione edilizia ed anche nuove costruzioni) ma, come si vedrà, appare attualmente un arma spuntata.

Il primo problema della doppia conformità è la determinazione esatta dell'epoca dell'abuso. Spesso chi è in possesso dell'immobile con difformità, non è l'esecutore materiale dell'abuso, e risalire quindi all'epoca esatta non è sempre facile. Risalire all'epoca esatta sarebbe sempre necessario, in quanto appunto il concetto della "doppia conformità" ci impone di andare a verificare se l'intervento era fattibile anche all'epoca della sua realizzazione. E qui veniamo al secondo problema: se ci si limitasse alla normativa nazionale, non sarebbe troppo complicato ricostruire il panorama normativo in quasi ogni istante del passato (grazie per esempio all'ottimo servizio del sito normattiva.it che consente di visualizzare il testo di una legge in vigore ad una precisa data); tuttavia, l'edilizia è sovrastata anche e soprattutto dalla normativa locale (regionale e comunale) la quale ha a volte un tasso di aggiornamento più veloce, o comunque diverso, di quella nazionale. Inoltre, andare a ricostruire i cambiamenti della normativa locale è più complesso, soprattutto quella comunale, dove i PRG previgenti, o le varie stesure dei regolamenti edilizi, non sono spesso di facile ricostruzione. Ne deriva quindi sempre un certo margine di incertezza nell'intervenire in accertamento di conformità. Tuttavia, l'art. 39 ter prevede di derogare proprio a questa procedura, anche se limitatamente agli immobili all'interno dei comuni oggetto di eventi sismici degli ultimi anni.

L'articolo in questione difatti consente, nell'applicazione ordinaria dell'art. 36 o art. 37, ma solo per opere realizzate prima del 24 agosto 2016, di omettere la verifica della doppia conformità, consentendo quindi al cittadino di ottenere l'accertamento di conformità di quanto eventualmente abusivamente realizzato verificando la rispondenza dell'opera solo alla normativa in vigore al momento della presentazione dell'istanza. Questa non è solo una semplificazione procedurale (anche di contro-verifica da parte dell'ufficio) ma consente anche di sanare opere che sarebbero sanabili solo con norme straordinarie, purché appunto in vigore (come per esempio la legge laziale sulla rigenerazione urbana, ma non per esempio in riferimento al piano casa, il quale è invece scaduto a giugno 2017), come difatti espressamente consente l'art. 1 bis aggiunto al DL 55/18 proprio dall'art. 39 ter.

Tuttavia, il decreto 55/18 consente la sanatoria solo di quegli interventi che ricadono nell'art. 22 comma 1 del DPR 380, cioè in SCIA ordinaria, escludendo apparentemente (è forse un errore?) gli interventi realizzabili in art. 23, ovvero in SCIA alternativa al permesso di costruire (Ex DIA). l'art. 22 comma 1 quindi limita la portata del provvedimento ai seguenti interventi: opere di manutenzione straordinaria e/o di restauro e risanamento conservativo che comprendono interventi strutturali; opere "minori" di ristrutturazione edilizia. Rimangono pertanto esclusi gli interventi di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, normati dall'art. 23, come detto. La limitazione all'art. 22 comma 1 era presente già nella versione originaria del testo.

Risulta pertanto apparentemente preclusa la possibilità di sanare ampliamenti, generalmente ritenuti interventi di nuova costruzione o ristrutturazione pesante, o altri interventi per esempio sui prospetti esterni, tutti rientranti nel permesso di costruire o nella SCIA ad esso alternativa. Quello che appare invece sanabile sono gli interventi strutturali eseguiti anche senza comunicazione al genio civile (difatti l'art. 39 ter consente la deroga, non a caso, anche all'art. 93 del DPR 380/01) tra cui per esempio la diversa quota d'imposta dei solai interni, o altre opere che comunque non modificano nè i prospetti esterni, nè la sagoma. Come detto, comunque, le opere devono rispettare la normativa in vigore al momento della presentazione dell'istanza, ciò anche con riguardo all'aspetto strutturale a mio avviso, e questo può prestare degli aspetti di criticità perché è difficile, se non impossibile, andare a ricostruire con esattezza le modalità esecutive di una struttura fatta "abusivamente", senza conoscerne i dettagli strutturali (per esempio, se in calcestruzzo armato, il numero, la tipologia, lo spessore e il posizionamento esatto dei ferri di armatura).

Altra cosa che la norma ci tiene a specificare, è che la sanzione applicabile è comunque quella della norma nazionale: pertanto da ciò si può interpretare che se si attua questa procedura nel Lazio, si dovrebbe evitare di applicare la molto più costosa LR 15/08.

Un nodo che non risulta del tutto chiaro, a leggere il dettame normativo, è se questa procedura straordinaria di sanatoria è limitata ai soli casi in cui, contestualmente o parallelamente, si presenta una domanda di elargizione contributi per ripristino, oppure se invece questa possa essere presentata a prescindere, a condizione che ci si trovi nei comuni indicati espressamente nel DL 189/16.

In estrema sintesi, la norma così come impostata appare interessante per consentire e snellire l'accertamento di conformità di quegli interventi minori che non possono impattare sul territorio, ma che possono presentare seri problemi procedurali per essere sanati in via ordinaria. Rimane comunque il fatto che la procedura che viene aggirata è solo quella della verifica della cosiddetta doppia conformità, mentre invece rimangono in essere tutti gli altri limiti di questa procedura, tra cui quello, non secondario, del fatto che l'intervento, per essere sanato, deve rispettare la normativa in vigore e quindi deve essere un intervento di fatto realizzabile per via ordinaria, ma per il quale non si è chiesto il titolo. Questo aspetto da un punto di vista strutturale può presentare seri problemi, soprattutto in regioni come il Lazio che non sono dotate di procedure apposite per l'accertamento di conformità strutturale.

Rimane poi il mio personale dubbio sul se il legislatore voleva introdurre la possibilità di applicare questa procedura anche alle SCIA in art. 23 del TUE, ma poi si sia invece contenuto solo all'art. 22 comma 1, perché altrimenti non avrebbe molto senso il riferimento, contenuto al comma 1 bis, alle norme speciali dei piani casa, le quali si applica(va)no praticamente sempre o in PdC o in art. 23. In ogni caso, una considerazione veloce: molti degli immobili presenti nelle zone terremotate sono vincolati con vincoli paesaggistici, dove è sempre e comunque preclusa la possibilità di sanare ampliamenti volumetrici, quindi comunque l'incrocio dei vari temi non avrebbe senz'altro impedito una facile sanabilità.

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