Probabilmente non smetteremo mai di parlare dei condoni edilizi, anche se, almeno attualmente, sono oltre venti anni che non viene promulgata una nuova legge di sanatoria straordinaria. Uno dei motivi per cui ancora discutiamo di condono è il fatto che non si è ancora del tutto chiarito come va visto un immobile condonato da un punto di vista giuridico o della legittimità di fondo: c'è chi interpreta gli immobili condonati come perfettamente legittimi e c'è un diverso filone interpretativo che invece ritiene i condonati una sorta di eccezione da tollerare, ma non da trasformare: in questo post commenterò una delle più recenti sentenze sul tema.
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un immobile condonato è legittimo?
La legge n°47/85 che ha istituito il condono non si schiera espressamente sulla "legittimità" degli immobili oggetto di condono, nel senso che essa dispone solo delle modalità con cui ottenere la "concessione in sanatoria" e che questa possa essere ottenuta - e qui sta la straordinarietà della legge - anche laddove l'intervento eseguito risulti in contrasto con la pianificazione urbanistica, cioè le regole che determinano se, come, dove e quanto si può costruire su un determinato terreno. dunque ad esempio se nel 1970 è stata rilasciata la licenza per costruire un villino da 100 mq e quello era il limite massimo dell'edificabilità del suolo dell'epoca, ma quel villino in fase costruttiva o successivamente è stato oggetto di aumento di superficie oltre il limite di legge, con il condono - ricorrendone i presupposti - sarebbe stato possibile ottenere la concessione in sanatoria per la superficie realizzata oltre il limite dello strumento urbanistico. Il rilascio della concessione estingue ogni reato e consente di poter mantenere la difformità ed anche vendere l'immobile liberamente.
Tuttavia, la giurisprudenza si è posta più volte una questione forse fondamentale: gli immobili che hanno ottenuto il condono, anche se non possono più essere considerati abusivi, possono essere considerati degli immobili normali a tutti gli effetti, ovvero essere equiparati ai fabbricati costruiti invece nel rispetto delle regole? la domanda non è affatto banale e la risposta non è per niente semplice da fornire. Equiparare completamente gli immobili condonati a quelli nati e cresciuti legittimamente in effetti finirebbe per creare una disparità, perché la ricchezza generata dall'abuso è generalmente sempre maggiore rispetto a quanto si paga per legittimare, ma non solo: si finisce per mettere sullo stesso piano chi ha rispettato le regole con chi le ha deliberatamente violate. Per altro verso, il rilascio di una concessione per molti va considerato come una piena legittimazione dell'immobile, perché in fondo si compie un percorso di ravvedimento e si pagano delle oblazioni il cui scopo è compensare la collettività che decide di tollerare chi ha costruito senza seguire le regole.
un immobile condonato può essere trasformato radicalmente?
La questione è sottile per un motivo assolutamente non secondario: se si ammette che gli immobili oggetto di condono sono pienamente legittimi, allora possono essere modificati, trasformati e utilizzati come cubatura legittima ad esempio in caso di demolizione e ricostruzione, ma anche più semplicemente per messa a norma; se, diversamente opinando, si ritengono gli immobili condonati come semplicemente tollerati ma non legittimi, essi sono destinati a rimanere nelle loro esatte forme di condono per sempre (salvo modeste opere di mantenimento in efficienza e armonizzazione), perché nel momento in cui dovessero essere demoliti, la loro cubatura non potrà essere recuperata in alcun modo.
Alcune regioni, tra cui il Lazio, nelle proprie leggi speciali (piano casa, rigenerazione urbana) ha sempre specificato che le trasformazioni, anche radicali come la demolizione e ricostruzione, possono essere eseguite anche su immobili oggetto di condono, perché appunto equiparati agli immobili perfettamente legittimi.
Di recente alcune sentenze emesse da due organi di massima valenza giuridica quali la Corte Costituzionale ed il Consiglio di Stato hanno dato una loro lettura della vicenda, validando una visione pessimistica (per i proprietari) e cioè che gli immobili condonati non possono essere considerati pienamente legittimi ma solo "tollerati". Questa tollerabilità degli immobili condonati sembra produrre uno status giuridico che potrebbe essere equiparato a quello degli immobili oggetto di fiscalizzazione dell'abuso (procedura "atipica" di sanatoria, prevista negli artt. 33 e 34 del DPR 380/01, che con il decreto salva-casa è stata elevata a documento che concorre alla definizione dello stato legittimo).
occhio alla tipologia dichiarata nel condono
Prima di commentare le sentenze di cui si dirà, è opportuno a parere di chi scrive specificare che tutte e tre le leggi di condono edilizio (47/85 art, 31, L. 724/94 art. 39, L. 326/03) consentivano di poter sanare diverse tipologie di abuso. Ad ogni tipologia di abuso corrispondeva una determinata categoria di difformità, come ad esempio l'ampliamento, il cambio di destinazione d'uso o la ristrutturazione edilizia. Data la natura straordinaria della norma, la tipologia di condono più "gravosa" per il territorio, quali l'ampliamento o l'integrale nuova costruzione in assenza di titolo, è stata ulteriormente suddivisa in varie fattispecie a seconda se l'intervento era o meno conforme alla disciplina urbanistica in vigore in diversi momenti, da verificarsi caso per caso, per determinare la corretta tipologia di abuso da dichiarare ed anche pagare le oblazioni conseguenti.
Le varie fattispecie differenziano le opere eseguite in totale difformità dagli strumenti urbanistici (dunque opere che non si potevano fare né secondo le norme dell'epoca dell'abuso, né ad oggi) da quelle che hanno una conformità al tempo della realizzazione o al tempo della presentazione della domanda di condono: le ultime due fattispecie di abuso sono considerate sotto certi aspetti meno gravi, proprio perché rappresentano abusi per cui non è stata chiesta l'autorizzazione ma che comunque si sarebbero potute fare chiedendola; la tipologia 1 invece consente di sanare opere che non si potevano fare e che non sono conformi agli strumenti vigenti al momento del deposito della domanda, dunque la categoria più grave anche in termini di violazione del territorio.
Chi scrive ritiene che, per come prospettata la cosa, alcune delle tipologie di condono possono essere considerate indenni, o parzialmente immuni, dall'interpretazione più drammatica che ritiene non pienamente conformi le opere oggetto di condono. Mi spiego meglio: tornando all'esempio di prima, della villetta di 100 mq, se questa fosse stata realizzata in modo completamente abusivo ma entro i limiti dell'edificabilità dei suoli, si poteva chiedere il condono per opere "conformi agli strumenti urbanistici" (tipologie 2 e 3, a seconda se la conformità andava riferita al momento del deposito dell'istanza di condono o al momento di realizzazione dell'abuso, come accennato sopra), dunque la procedura di condono non sarebbe stata derogatoria della disciplina urbanistica ma sarebbe stato come presentare a posteriori una licenza per costruire un qualcosa che comunque poteva essere costruito, cioè un procedimento non diverso dall'attuale art. 36 DPR 380/01 il quale appunto consente di ottenere il permesso di costruire "postumo", ma al verificarsi di rigidissime condizioni (la cosiddetta doppia conformità, cioè l'intervento doveva essere ammissibile sia secondo la normativa in vigore all'epoca della costruzione, sia ad oggi al momento del deposito dell'istanza di accertamento) e senza la preziosa assistenza dell'idoneità statica che consente in taluni casi di evitare la sanatoria sismica che rimane tuttora un limbo.
Dunque ferme restando le statuizioni giurisprudenziali che tra poco si andranno a illustrare e commentare, va detto che non tutti gli edifici oggetto di condono sono da intendersi afflitti dal concetto della mancanza della piena legittimità, ma questa è solo un opinione di chi scrive.
Corte Costituzionale: condonati non conformi perché non rispettano la "doppia conformità"
Dopo questo lungo ma necessario preambolo, entriamo nel dettaglio delle sentenze che hanno ispirato questo post e cominciamo da quella emessa dalla Corte Costituzionale.
La sentenza che qui si commenterà è quella della corte costituzionale n°119/2024 emessa per valutare la compatibilità costituzionale della L.R. Piemonte n°7/2022. Il link vi da accesso al pdf della sentenza generato dal sito ufficiale della Corte, all'interno del quale trovate dei passaggi da me evidenziati con brevi commenti di appunto; per il testo ufficiale fate riferimento al sito istituzionale della Consulta.
La questione si svolge attorno alle condizioni generali imposte dal dl 70/2011 (norma alla base dei piani casa regionali) il quale pone come base di applicabilità del piano casa gli edifici "legittimi" o per rilascio di una regolare licenza, ovvero con rilascio di istanza in sanatoria. Il legislatore piemontese nella stesura della sua norma regionale attuativa del piano casa ha ritenuto che il concetto di "sanatoria" potesse estendersi anche agli edifici regolarizzati mediante condono edilizio, ma proprio questo è il nodo della questione: il legislatore nazionale, difatti, ritiene che per "titolo in sanatoria" debba intendersi quello emesso secondo le procedure ordinarie (attuali articoli 36 e 36-bis DPR 380/01) e non, invece, la concessione in sanatoria ottenuta a seguito di procedura di condono edilizio.
La Corte valorizza la ricostruzione del Governo, confermando che per edifici legittimi dotati di sanatoria, le cui cubature sono utilizzabili ai fini dell'attuazione del piano casa, debbano intendersi solo quelle ottenute per procedure ordinarie, con esclusione degli immobili condonati: ciò in quanto il condono non prevede il concetto di "doppia conformità" invece proprio delle procedure ordinarie.
Per i motivi espressi nelle premesse, si ritiene, tuttavia, che se il condono è stato rilasciato per abusi che invece rispettavano il principio della doppia conformità (tipologia 3) potrebbero ritenersi titoli edilizi analoghi a quelli "ordinari". In senso più ampio, operando su un immobile già dotato di una concessione in sanatoria ottenuta a seguito di condono edilizio, indipendentemente dalla tipologia dichiarata, si potrebbe ricostruire a posteriori l'eventuale rispetto della cosiddetta "doppia conformità" in presenza della quale potrebbe essere legittimo utilizzare le volumetrie di condono per demolizione e ricostruzione (questa è solo una ipotesi di chi scrive), anche eventualmente provando a chiedere al comune il rilascio di un art. 36 (ricorrendone i presupposti) anche a fronte della presenza di una concessione in sanatoria già rilasciata. Questa ipotesi sembra trovare un suo implicito fondamento nella Sentenza C. C. n°50/2017 (massima n°39737) che non dichiara incostituzionale un passaggio del piano casa Liguria nella parte in cui concede un "credito edilizio" ai volumi condonati se essi possono essere ricondotti nell'alveo della legittimità ai sensi dell'art. 36 DPR 380/01.
Altra fattispecie riguarda l'art. 36-bis del DPR 380/01, introdotto nel testo unico grazie al decreto salva-casa. Questo articolo come è ormai noto introduce un concetto differente di conformità, la quale non è più "doppia" ma "asimmetrica" in quanto le norme urbanistiche devono verificarsi al momento del deposito dell'istanza di sanatoria e non più anche a quelle in vigore al momento della realizzazione dell'abuso; tuttavia, l'art. 36-bis si può applicare solo ad una ristretta fattispecie di difformità. Ad ogni modo, ricorrendone i presupposti, anche l'art. 36-bis garantisce la legittimità urbanistica dell'immobile utile ai fini della applicabilità delle norme speciali tra cui il piano casa.
E' a questo punto possibile ritenere che nella rivisitazione dell'art. 9-bis comma 1-bis operata dal decreto salva-casa, il legislatore nazionale abbia volutamente evitato di annoverare le licenze rilasciate in base ai condoni edilizi tra i titoli di legittimità, anche se ciò stride con il fatto che, invece, vi siano stati ricomprese le "fiscalizzazioni" almeno come titoli "concorrenti". A rigore di logica, i condoni avrebbero dovuto almeno essere annoverati come titoli concorrenti alla stregua delle fiscalizzazioni, il che lascia aperta l'interpretazione effettiva sulla collocazione giuridica degli immobili condonati.
Ad ogni modo, l'interpretazione in tal senso della Corte Costituzionale non è una novità: si veda anche S. n°90/2023.
La sentenza qui commentata è specificamente riferita al piano casa, sicché si potrebbe tendere a ritenere che il concetto si applichi solo a questa specifica fattispecie o, anche, che il divieto di utilizzo degli immobili condonati si riferisca solo al calcolo della premialità ma non al volume di base che potrebbe ritenersi comunque "salvo". Tuttavia, per rispondere (negativamente) a questa ipotesi, proseguiamo la disamina con l'analisi delle sentenze dell'organo dei ricorsi della Giustizia Amministrativa ovvero il Consiglio di Stato.
Consiglio di Stato: il condono serve solo ad evitare la demolizione ma non fornisce legittimità
La sentenza Consiglio di Stato n° 482/2025, esprimendosi nell'ambito di una vicenda di interventi edilizi in assenza di titolo realizzati su un immobile oggetto di condono, così si esprime:
Ebbene, occorre rilevare che le opere abusive che siano state regolarizzate con condono edilizio - e non con accertamento di conformità - non possono costituire il presupposto per ulteriori interventi edilizi. La sanatoria straordinaria disciplinata al Capo IV della L. n. 47/85, richiamata dalle leggi n. 724/94 e n. 326/2003 (c.d. “condono edilizio”) ha natura del tutto eccezionale, consentendo il mantenimento di opere edilizie, non altrimenti regolarizzabili, dietro pagamento di una sanzione, oltre che degli oneri concessori: tale straordinaria sanatoria opera solo nel senso che viene evitata la demolizione dei manufatti abusivi e ne viene consentita anche la circolazione giuridica, ma nulla di più, trattandosi di manufatti realizzati in difformità dalla normativa edilizia ed urbanistica. In altre parole: il condono edilizio non rende l’opera condonata legittima, ne evita solo la demolizione e ne consente il trasferimento, che sarebbe altrimenti vietato; conseguentemente le opere condonate non possono costituire il presupposto per la realizzazione di ulteriori interventi edilizi, che ne mutuano inevitabilmente la natura illegittima: opinando diversamente si finirebbe per attribuire al titolo edilizio rilasciato in sede di condono una sorta di “ultrattività indeterminata”, cioè una estensione oggettiva e temporale che va ben al di là dei limiti indicati nella L. 47/85
ed ancora
Debbono quindi ritenersi ammissibili, sui beni oggetto di condono edilizio, solo gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e risanamento conservativo, per mera coerenza con il consenso che il legislatore ha dato al mantenimento delle opere medesime.
Peraltro, questa ultima affermazione del Consiglio di Stato è perfettamente in linea con quanto già argomentato in quest'altro post, coerente al caso di specie in quanto si tratta sempre di un immobile con condono pendente.
Sempre lo stesso Consiglio di Stato, ancora sul tema dei volumi condonati da ritenersi o meno completamente legittimi, si esprime nel merito di una questione leggermente differente ma comunque interessante il tema della conformità di edifici oggetto di condono edilizio attraverso la sentenza n°1158/2025. Il caso in esame è quello dell'approvazione di un piano urbanistico comunale il quale, nel centro storico, in caso di interventi di sostituzione edilizia ed in caso di intervento su immobili che sono stati oggetto di condono, non ammette che la ricostruzione possa superare l'indice edificatorio limite sfruttando i volumi concessionati in modo straordinario, sottraendo di fatto una piena legittimità agli immobili condonati.
Tale censura non è fondata, poiché ciò che emerge da una attenta lettura della nuova disciplina urbanistica costituisce, in verità, non una lesione dei diritti quesiti dell’originario ricorrente, bensì, come anticipato, la ragionevole conseguenza delle premesse già illustrate circa il pregio riconosciuto alla zona in esame e la necessità di preservarne e recuperane il valore attraverso la auspicata eliminazione degli elementi di degrado o di superfetazione edilizia allo stato esistenti. Così il PUG, come precisato anche dalla difesa del Comune, non impone all’odierno appellante la demolizione delle volumetrie esistenti, corrispondenti ad un immobile condonato, ma si limita a prevedere che, in caso di effettuazione da parte sua di un intervento demolizione e ricostruzione su di esso, egli possa usufruire semplicemente dell’indice assegnato alla zona, senza alcun “vantaggio” derivantegli dalla pregressa sanatoria che ha legittimato in via eccezionale l’immobile esistente in un dato momento storico, non consentendo, però, la “prenotazione” per il futuro di volumetrie maggiori rispetto alla disciplina urbanistico-edilizia vigente in via ordinaria. Del resto, il condono è un istituto eccezionale, che giustifica l’esercizio del potere discrezionale pianificatore in esame. Da qui, l’assenza di qualsiasi ingiusta lesione dei “diritti quesiti” del ricorrente, il cui caso non rientra, del resto, tra quelli per i quali la giurisprudenza ritiene necessario un surplus di motivazione quali “I) superamento degli standard minimi, II) presenza di una convenzione di lottizzazione o di un accordo equivalente, valido ed efficace, III) giudicato di annullamento di diniego di permesso di costruire o di silenzio inadempimento sulla relativa istanza, IV, destinazione di un fondo totalmente intercluso a zona agricola” (cfr. Cons. Stato, n. 490/2024)
Peraltro nella sentenza TAR Bari n°175/2022 che è oggetto di ricorso nella sentenza che precede è anche chiaramente indicato che
In ogni caso i manufatti del ricorrente sono legittimati da un condono edilizio, e dunque al sig. [omissis], per le ragioni di seguito esposte, non può essere attribuito alcun indice edificatorio corrispondente alla volumetria condonata.
In applicazione di pacifici principi (più diffusamente illustrati di seguito) l’art. 7/S, punto 7.02 delle NTA prevede fra i criteri generali della perequazione “l’esclusione dai diritti edificatori delle proprietà interessate da costruzioni non legittime”
successivamente prosegue con la seguente
La prospettazione di parte ricorrente non è condivisibile, poiché il condono edilizio legittima in via straordinaria l’immobile così come esistente in un dato momento storico, ma non consente di ritenere acquisita la volumetria. Pertanto, le opere condonate non possono essere demolite e ricostruite: se si procede a demolizione e ricostruzione la volumetria condonata va persa, e ciò è una conseguenza della legge statale e non una scelta di piano.
Sul punto Cons. Stato, Sez. II, 22.3.2021, n. 2464 ha sottolineato:
«… La Sezione, con orientamento da cui il Collegio non ritiene di discostarsi, ha già più volte affermato che la volumetria oggetto di domande di condono non può fare acquisire qualche titolo alla conservazione in futuro della medesima volumetria, essendo la domanda di condono specificamente riferita non ad un volume o ad una superficie ma ad uno specifico immobile già realizzato. Il condono riguarda opere effettivamente esistenti e non solo un volume esistente alla data indicata dal legislatore, come risulta dalle stesse prescrizioni delle leggi sul condono che hanno richiesto la descrizione delle opere e la presentazione di fotografie (cfr. art. 35, comma 3, lettera b), legge n. 47 del 1985; art. 39, comma 4, legge n. 724 del 1994; art. 32, comma 35, della legge n. 269 del 2003) al fine di verificare la concreta conformazione dell’opera abusiva al momento della sua originaria realizzazione già avvenuta alla data della domanda di condono (cfr. Consiglio di Stato sezione II, 12 febbraio 2020, n. 1081; id. 18 marzo 2020, n. 1929) …».
Pertanto, in applicazione di detti pacifici principi, la giurisprudenza ritiene che per gli immobili condonati non sia consentito neppure procedere a ristrutturazioni con ampliamenti e modifiche della destinazione d’uso.
In conclusione, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, nel caso di specie non sussiste alcun “diritto quesito”, poiché la normativa statale sul condono non consente di procedere alla conservazione della volumetria condonata ove si proceda alla demolizione e ricostruzione dell’immobile a suo tempo abusivamente realizzato.
condono edilizio e fiscalizzazione sono la stessa cosa?
Arrivati a questo punto ci si potrebbe legittimamente porre la domanda che genera il titolo di questo paragrafo: è possibile che siamo di fronte ad una sostanziale equiparazione tra condono edilizio e procedure di fiscalizzazione dell'abuso previste dagli articoli 33 e 34 del DPR 380/01? la risposta non può che rimanere sospesa ma si posso produrre le seguenti ipotesi (che sono solamente ipotesi interpretative e per tali vanno prese):
- sia il condono che la fiscalizzazione consente di "tollerare" la presenza di opere eseguite in assenza o in difformità da un titolo edilizio;
- la sanzione pagata a fronte della procedura di fiscalizzazione produce un titolo che "concorre" alla definizione dello stato legittimo: questa concorrenza può sostanziarsi nel fatto che la fiscalizzazione non è un vero e proprio titolo edilizio ma anche nel fatto che non può legittimare l'abuso da sola, in quanto ha bisogno comunque di un titolo edilizio "vero" su cui appoggiarsi per produrre un "completo" stato legittimo (ciò è stato stabilito anche nelle linee-guida);
- "tollerare" l'abuso significa che il manufatto legittimato non può essere demolito ed anzi può essere utilizzato;
- tale "tolleranza" non può però generare la legittimità dei volumi edilizi, il che significa che in caso di demolizione spontanea, ad esempio nell'ambito di un intervento di demolizione e ricostruzione complessiva del fabbricato, i volumi oggetto di condono o fiscalizzazione non possano essere utilizzati nel computo dei volumi ricostruibili né tantomeno nel computo delle premialità.
si ma non divulgherei troppo la notizia....agli uffici tecnici godono a vederci in difficoltà.....e i clienti so' rimasti all'edilizia "libera Tutti". alla "semplice" cila e al decreto Salvini che "condona" le verande....
RispondiEliminaBuonasera Architetto, ringrazio per l'articolo molto interessante. In una conferenza sul DL Salvini a Montecitorio ove Lei era uno dei relatori avevamo iniziato una discussione proprio su questo argomento con mia perplessità nella possibilità di cambio d'uso o demolizione/ricostruzione di immobile condonato con sua eventuale trasformazione. Le avevo posto un quesito che sebbene sembrasse semplice in virtù della legittimità acquisita con condono, diciamo non totale, sorgevano diversi dubbi sulla variazione proprio della destinazione. Riprovo a riformulare se riesce a darmi un parere: un ufficio di attuali mq 37, ex locale cantina/accessorio condominiale variato con condono, con altezza di m 2,55, può attualmente avere legittimità per essere variato ad abitativo? Ringraziando anticipatamente sia per la risposta che per gli spunti interessanti Le invio un cordiale saluto
RispondiEliminaPrendendo la riflessione da una prospettiva differente rispetto a quella del tema del post, potremmo dire che dato che la trasformazione che si intende fare non è di demolizione e ricostruzione né di trasformazione totale dell'immobile, un mutamento d'uso - ricorrendone tutti gli altri presupposti tecnici, igienico-sanitari ed urbanistici - potrebbe essere teoricamente autorizzabile. Naturalmente va visto nel caso specifico e non posso assumermi responsabilità in questa sede.
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