sabato 28 ottobre 2023

aree protette, attività edilizia ed autorizzazione

In Italia di vincoli non ne abbiamo pochi: né in termini di estensione territoriale, né in termini di tipologie. Un approfondimento generale sui vincoli in edilizia l'ho affidato al mio (per ora) ultimo libro pubblicato da Maggioli: "Progettazione e trasformazioni in presenza di vincoli" ed. 2023. Questo post vuole essere dedicato ad uno dei tanti vincoli in cui possiamo imbatterci come tecnici del settore edilizia ma anche come proprietari: il vincolo del Parco di Area Protetta.

immagine di libero utilizzo da Pixabay

Le aree protette sono delle zone di territorio, ma anche di mare, che hanno delle caratteristiche peculiari in tema di biodiversità, particolarità della flora e/o della fauna, situazioni naturalistiche particolarmente singolari, presenza di emergenze archeologiche strutturate e diffuse per le quali si ritiene non sufficiente il vincolo archeologico puntuale, oppure in generale qualunque zona per cui viene deciso un regime di tutela particolarmente rigido ed attento. Dette aree sono appunto definite come protette proprio perché in queste zone si ritiene che le trasformazioni antropiche debbano essere di livello bassissimo o comunque estremamente controllate, in quanto qualunque variazione allo stato dei luoghi potrebbe arrecare un danno irreparabile al particolare assetto del luogo.

La finalità dell'area protetta è proprio quella del mantenimento dello status quo: si pensi ad esempio alle aree protette marine o alle zone che vengono protette perché è presente un ecosistema particolarissimo e molto delicato, in cui anche solamente far entrare le persone per turismo potrebbe compromettere la conservazione (ad esempio, le grotte che contengono dipinti rupestri che si sono conservati grazie alla presenza di un microclima particolare, dove la sola presenza di persone che respirano ed emettono nel luogo anidride carbonica può compromettere la conservazione andando a variare le percentuali di concentrazione di molecole nell'aria): l'obiettivo della tutela in questo caso è l'interesse collettivo a mantenere fruibili le zone particolari che possono essere oggetto di studio, di ricerche scientifiche o storiche, o a cui si può attingere nel caso in cui sia necessario ricostruire l'evoluzione di un particolare ecosistema; nel caso delle aree archeologiche vaste (ad esempio il Parco dell'Appia Antica a Roma che è un luogo talmente particolare e ricco di storia e di situazioni naturali che sul suo territorio convivono addirittura due parchi sovrapposti, quello "nazionale" archeologico e quello a "vocazione" più naturalistica istituito dalla Regione Lazio) o delle zone in cui sono presenti particolari situazioni naturalistiche (ad esempio le grotte di Pastena all'interno del Parco dei Monti Ausoni nel basso Lazio).

La parola "parco" non deve difatti trarre in inganno: è vero che nell'immaginario collettivo della nostra quotidianità il parco è spesso lo spazio verde vicino casa con panchine e vialetti (e che spesso è pure vincolato, ma non come area protetta) ma se si riferisce a queste particolari zone è da intendersi come area perimetrata sottoposta a tutela. Per gestire la tutela di queste importanti zone è stata istituita una apposita norma, la Legge Quadro sulle aree protette 6 dicembre 1991 n°394. il fatto che la norma sia del 1991 non deve far pensare che prima di questa data le aree protette non esistessero: semplicemente, prima di questa legge le aree venivano istituite direttamente con apposite leggi nazionali. Il primo parco nazionale ad essere istituito in Italia è stato il Parco Nazionale del Gran Paradiso, istituito con Regio Decreto 3 dicembre 1922 n°1584 (convertito con L. 473/25): dunque precedentemente alla legge quadro i parchi venivano semplicemente gestiti con leggi ad hoc per ciascuna area protetta. La legge quadro ha sostanzialmente ordinato le regole già vigenti e soprattutto dettato norme unitarie per l'istituzione e la gestione dei parchi regionali.

Data la particolarità di questi parchi, a norma del Codice dei beni Culturali e del Paesaggio, su tali aree vige anche un vincolo paesaggistico che scatta in automatico alla presenza della tutela di cui alla legge quadro. Il riferimento nel Codice di ciò è l'art. 142 comma 1 lettere f)  e, laddove applicabili, anche i) ed m).

Fin qui è tutto molto bello e idilliaco, ma il problema, per noi tecnici o per molti proprietari, è che all'interno dei parchi spesso e volentieri sono presenti anche edifici privati utilizzati come abitazioni o anche come sede di uffici o attività produttive. Su questi edifici, che generalmente esistono da prima che venisse istituito il parco (sebbene le norme del parco possano contenere anche disposizioni per la nuova edificazione, perché non necessariamente si tratta di un vincolo di inedificabilità assoluta anche se spesso lo è), vige un particolare regime di tutela di fatto stratificato in due: il Parco in sé, che impone di acquisire una autorizzazione preventiva per ogni tipo di opera edilizia da eseguire sugli immobili, ed il Codice dei Beni Culturali che, come visto nel capoverso precedente, stende anche un vincolo paesaggistico su dette aree. Ovviamente, come la legge di Murphy insegna a noi tecnici ("se qualcosa può essere peggio di come sembra, allora lo sarà"), ciò significa che occorre acquisire due distinte e separate autorizzazioni (parco e paesaggistica) per poter operare su quel fabbricato.

Il duplice regime di tutela fa si che ciascuna norma si applica per conto suo, dunque non è detto che ciò che è autorizzabile per una lo sia anche per l'altra: naturalmente, difatti (vedi sempre legge di Murphy), in presenza di due norme sullo stesso oggetto, entrambe si applicano in senso restrittivo, dunque si può fare solo ciò che consentono entrambe. Ad esempio le norme dell'art. 142 del Codice tendenzialmente non vietano in assoluto la nuova edificazione o la trasformazione dell'esistente, mentre invece le norme di Piano generalmente sì.

Mentre le norme sulla tutela del Paesaggio sono tutto sommato univoche per l'intero territorio nazionale (con l'ovvia specificità dei singoli piani territoriali paesistici regionali), le norme del Parco sostanzialmente sono uniche e valgono solo in quell'ambito di tutela. La legge quadro difatti obbliga a che ciascun Parco abbia un suo specifico Piano del Parco, che detta le norme specifiche di tutela ed indica sostanzialmente ciò che si può e ciò che non si può fare (ad esempio, qui le norme di attuazione del Piano del Parco del Gran Sasso). Il Piano del parco è spesso accompagnato anche da una serie di tavole grafiche in cui è indicata non solo la perimetrazione generale del parco ma anche l'eventuale zonizzazione interna (ad esempio, qui la zonazione del Parco del Gran Sasso: attenzione è un file pesante): il territorio tutelato può difatti essere suddiviso in diversi livelli di attenzione: nel caso, ci sarà la zona a tutela integrale dove praticamente non si può fare nulla e, magari, zone ritenute meno delicate come le zone di promozione economica e sociale in cui il livello di tutela può essere più permissivo e consentire anche trasformazioni edilizie o nuove edificazioni. I parchi possono avere estensioni territoriali davvero vaste (il Parco Nazionale del Gran Sasso si estende per poco meno di 150.000 Ha e quello del Pollino, il più esteso d'Italia, si ferma poco prima di 200.000 Ha, dunque entrambi messi insieme si estendono circa per lo stesso territorio dell'intera Valle D'Aosta) dunque non è immaginabile che siano completamente inedificabili e non è concepibile che possano esistere parchi privi di attività edilizia. 

Ciascun Parco poi ha un suo Ente: di fatto è una pubblica amministrazione a tutti gli effetti che gestisce un bilancio e si occupa del rilascio delle autorizzazioni attraverso un ufficio tecnico interno. E' interessante rilevare che una delle attività non secondarie del parco è quella di valutare ed erogare delle somme in denaro a chi è stato danneggiato dalla fauna presente nel parco: trattandosi di aree protette ed essendo la fauna spesso uno degli ambiti più importanti della tutela, gli animali non possono essere cacciati e, quindi, possono spesso creare danni. Il rilascio degli indennizzi è un modo con cui si cerca di bilanciare il necessario equilibrio tra tutela della fauna ed attività antropiche.

Dunque tornando all'ambito edilizio è tanto semplice quanto lapidario: ogni trasformazione edilizia, anche minima ed anche se riguarda opere interne, è sempre soggetta al rilascio preventivo dell'autorizzazione dell'Ente Parco. Astrattamente il piano del parco potrebbe dettare norme specifiche e di dettaglio, fino anche ad escludere alcune tipologie di opere dal rilascio dell'autorizzazione: di fatto però nei vari parchi di cui mi è capitato di analizzare le norme, non mi è mai capitato di imbattermi in una specifica di questo tipo. Dunque nei fatti se non è specificato altrimenti, qualunque opera edilizia deve essere preventivamente soggetta ad autorizzazione, fosse anche una semplice ristrutturazione interna.

Dicevamo che parallelamente vige sempre anche il vincolo paesaggistico: in questo caso, invece, esistono per legge nazionale tutta una ampia fattispecie di opere che sono escluse dall'obbligo di acquisire la preventiva autorizzazione: tali opere sono quelle di cui all'allegato A al DPR 31/2017 relativamente al quale vi rimando al mio post specifico. Dunque è materialmente possibile che un intervento sia escluso dall'autorizzazione paesaggistica ma ciò non significa che lo sia anche da quella dell'Ente Parco, in quanto questa fa riferimento a norme diverse (il Piano del Parco e la Legge Quadro).

Dopo aver descritto come funzionano i parchi, possiamo calarci nella dura realtà: cosa fare se ci si trova ad operare su un immobile che ha subito delle trasformazioni non autorizzate? ecco, in questo caso la risposta semplice potrebbe essere che si va a chiedere una autorizzazione "ora per allora" o "autorizzazione tardiva" all'Ente Parco; tuttavia, la risposta a questa domanda non è così ovvia come si potrebbe pensare. Da un lato, esistono norme vincolistiche che prevedono espressamente delle procedure di sanatoria, come ad esempio l'art. 167 comma 4 del Codice dei Beni Culturali, per i vincoli paesaggistici; tuttavia, dall'altro lato vi sono anche norme che non espressamente le prevedono, come ad esempio lo stesso Codice dei Beni Culturali per i vincoli della parte II (vincoli monumentali e architettonici). Sul punto vi è giurisprudenza non univoca, anche se ultimamente sembra stia prevalendo la visione secondo cui se la legge non prevede espressamente la possibilità di ottenere autorizzazioni in sanatoria, significa che non la prevede del tutto. Ciò appare non molto logico, soprattutto, a mio modesto modo di vedere, alla luce della chiara disposizione dell'art. 37 comma 2 del DPR 380/01 il quale prevede che in caso di edificio vincolato, facendo riferimento ad una dizione estremamente ampia ("immobili comunque vincolati in base a leggi statali o regionali") tra cui appare potersi ricomprendere anche la Legge Quadro, la sanatoria può essere rilasciata dal Comune dopo che questi abbia interpellato l'ente preposto alla tutela del vincolo. Tale disposizione appare chiara ed applicabile a prescindere dal tipo di vincolo, dunque la norma che consentirebbe la sanatoria di opere in zona vincolata è questa, senza la necessità che la singola legge debba espressamente prevedere la possibilità di accertamento di conformità, almeno finché si ha a che fare con difformità che ricadono in art. 37. La norma sul paesaggio di cui all'art. 167 poc'anzi citato, difatti, è presente perché lì il legislatore ha ritenuto di voler restringere il campo attorno alle sanatorie, vietando di fatto tutte quelle che hanno comportato aumento di volume.

Ad ogni modo, occorre naturalmente tenere presente dell'orientamento della giurisprudenza sulla effettiva impossibilità di ottenere autorizzazioni di Ente Parco "in sanatoria" a cui per esempio la Regione Lazio ha deciso di allinearsi con questo parere rilasciato ad agosto 2023 in cui sono presenti i riferimenti alla principale giurisprudenza che guida verso questa prospettiva.

Attenzione dunque ad eseguire opere in assenza della prescritta autorizzazione perché attualmente l'unico modo per risolvere la situazione potrebbe essere quella del ripristino del precedente stato dei luoghi ma, anche qui, attenzione anche all'aspetto relativo al fatto che tecnicamente non sarebbe possibile ottenere autorizzazioni edilizie su preesistenze illegittime, dunque potrebbe anche ritenersi che non sia ammissibile nemmeno il ripristino: di fatto si finisce in un limbo da cui non si esce. Suggerisco quindi immensa attenzione anche ad acquistare (o vendere, naturalmente) immobili che si trovano in aree tutelate e procedere solo dopo essersi affidati ad un tecnico a cui far fare una attenta Due Diligence.


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