domenica 21 luglio 2024

stato legittimo: parti comuni separate dalle singole unità immobiliari

 Tutti noi tecnici, o almeno quelli che di noi si occupano principalmente o incidentalmente di istanze edilizie ed accertamenti di conformità abbiamo seguito con interesse (o preoccupazione?) le novità apportate dal decreto salva-casa, il quale prestissimo verrà convertito in legge con diverse modifiche. Una di queste, che vuole essere l'oggetto dell'approfondimento di oggi, è l'inserimento nell'art. 9 bis DPR 380/01 di un nuovo comma che stabilisce una netta scissione, nella verifica dello stato legittimo, tra parti comuni e singole unità immobiliari.

attenzione: il presente post si basa sui testi votati alle camere riguardanti la discussione sulla conversione in legge del decreto 69/2024. Quanto qui riportato potrebbe non corrispondere a verità, potrebbe basarsi su testi che non saranno così esattamente riportati nella pubblicazione definitiva in gazzetta ufficiale e, comunque, al momento di scrivere la presente non sono norme in vigore. Cercherò di mantenere aggiornate le informazioni di questo post alla luce dell'effettiva pubblicazione.

immagine generata con Ideogram AI con prompt scritto da me


il nuovo comma che sarà introdotto è l'1-ter, che così dovrebbe recitare:

1-ter. ai fini della dimostrazione dello stato legittimo delle singole unità immobiliari non rilevano le difformità insistenti sulle parti comuni dell'edificio, di cui all'articolo 1117 del codice civile. Ai fini della dimostrazione dello stato legittimo dell'edificio non rilevano le difformità insistenti sulle singole unità immobiliari dello stesso.

Il tema evidentemente è quello di fornire una indicazione operativa chiara quando si interviene o solo sulle parti comuni di un fabbricato (ad esempio nei casi di intervento sulle facciate di un condominio) oppure solo all'interno della singola unità immobiliare. La questione non è secondaria e la prescrizione di legge spazza via quella che fino a prima della sua introduzione era obiettivamente un ambito ambiguo: chi scrive ad esempio è sempre stato convinto che non si potesse scindere nettamente la legittimità delle singole unità da quella delle porzioni comuni dell'edificio, perché al di là delle definizioni del codice civile che si commenteranno tra poco, se l'oggetto del permesso di costruire è una unica entità architettonica e spaziale, come si può scindere nettamente le verifiche di legittimità tra gli spazi comuni e le superfici interne? Ben venga comunque una presa di posizione netta su questo aspetto ma, come vedremo, a parere di chi scrive la questione non viene del tutto risolta con questa norma.

Partiamo da un esempio, abbastanza ricorrente nelle sanatorie delle palazzine romane: le finestre spostate, assenti o di dimensioni diverse tra quanto effettivamente costruito e quanto disegnato nel progetto approvato originario. La facciata è espressamente richiamata come elemento delle parti comuni nell'art. 1117 c.c., dunque ai sensi della norma sopra riportata, se si effettua l'accertamento della conformità del singolo appartamento, non si dovrebbe andare a verificare se le finestre si trovino esattamente nella giusta posizione. tuttavia, le finestre dell'appartamento sono uno degli elementi principali della conformità alle norme igienico-sanitarie, in quanto è proprio attraverso le finestre che l'alloggio riceve l'aria e la luce che consentono di rendere gli ambienti abitabili ed agibili. Non solo: le finestre hanno una parte esterna ma anche una parte interna, e si compongono di un imbotte e di un infisso che invece appartengono senz'altro all'unità immobiliare: dunque come si può sanare solo la metà interna della finestra, senza gestire anche quella esterna?

Se si facesse una lettura radicale della norma, dalle verifiche effettuate sulle singole unità immobiliari si dovrebbe escludere tutto ciò che non riguarda le parti comuni, tra cui ricomprendendovi necessariamente anche le strutture portanti del fabbricato: in sostanza, occorrerebbe verificare esclusivamente la diversa distribuzione degli spazi interni, il che appare limitativo nei riguardi dell'approccio che fino ad ora si è posto alle sanatorie. Inoltre, se la difformità invece che di semplice spostamento di finestre consistesse in volume spostato o aggiunto oltre quanto autorizzato, non vi sarebbe differenza alcuna nel livello di gravità della difformità tra spazio comune e spazio privato, dunque avrebbe maggior senso gestire la sanatoria in contemporanea delle due, cosa che non appare preclusa dalla norma.

Ad ogni modo, se si sta pensando al fatto che ciò semplificherà le compravendite immobiliari, farei notare che quando si vende un appartamento si vendono assieme ad esso anche la proprietà indivisa delle parti comuni dell'edificio e la dichiarazione di conformità resa dal venditore si intende (tacitamente?) estesa anche a queste porzioni.

Mettendosi dalla posizione delle parti comuni, invece, in alcuni casi la nuova norma può apparire semplificativa, in quanto se si deve operare ad esempio per il restauro delle facciate o per il rifacimento del lastrico o del manto di copertura condominiali, ad oggi con la nuova norma si potranno espressamente ignorare le condizioni interne dei singoli alloggi, cosa che rimane di responsabilità esclusiva del proprietario. In verità appare più logico poter operare solo sull'edificio, ignorando la conformità delle singole unità immobiliari, che non il contrario: come visto sopra, l'unità immobiliare è indissolubilmente legata a ciò che avviene nelle parti comuni, ma non necessariamente è vero il contrario. Sanare la finestra spostata sulla facciata alla luce della novità normativa è ad oggi possibile: sarà poi responsabilità del singolo proprietario a cui quella finestra inerisce a "completare" la conformità all'interno del suo appartamento, sfruttando il fatto che esternamente la situazione apparirà già regolarizzata dalla sanatoria condominiale.

Fin qui abbiamo fatto qualche esempio: vediamo cosa dice l'articolo 1117 del codice civile espressamente citato dalla normativa:


art. 1117 c.c.

Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:
1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.

Il testo dell'articolo citato è abbastanza chiaro e non ci sono molti margini di interpretazione: gli elementi elencati sono da intendersi tutti come proprietà comune, dunque in questi casi, quando si deve intervenire su uno solo di questi elementi o su parte di essi, occorrerà prima di ogni cosa eseguire una verifica di conformità delle parti comuni. Qui può porsi un primo quesito, senz'altro non secondario: occorre che le parti comuni siano verificate tutte, o solo quelle che sono oggetto di intervento? la norma su questo aspetto non è chiara anche se altri emendamenti che erano stati presentati per la conversione in legge del decreto salva-casa prevedevano di circoscrivere la verifica della legittimità proprio ai singoli elementi oggetto di intervento. Ad avviso di chi scrive, non ha molto senso parcellizzare le verifiche (e l'eventuale sanatoria) soprattutto considerando che si parla di parti comuni dove anche l'amministratore di condominio è responsabile della messa a norma, dunque è preferibile operare per la verifica e l'eventuale sanatoria di tutto ciò che è parte comune, anche se ciò può comportare comunque una analisi ed un rilievo praticamente globali del fabbricato, ivi comprese le strutture (le quali peraltro non possono sfuggire ad oggi alle verifiche imposte dall'art. 34 bis comma 3 bis richiamato espressamente nell'art. 36 bis) e le parti che possono sembrare secondarie (i cavedi tecnici, i corridoi cantine, gli stenditoi comuni). Non appare comunque palesemente in contrasto con la prassi limitarsi alla verifica di soli alcuni elementi, soprattutto se si parla di edifici complessi, ampi e strutturati, ma tale aspetto deve essere valutato con attenzione dal tecnico incaricato il quale deve operare di concerto con la committenza, dopo averla opportunamente informata.

Dato che l'articolo del codice è citato in modo espresso, a mio parere è opportuno interpretarlo in senso letterale: dunque se il fabbricato si compone di un appartamento del portiere, esso va annoverato nelle parti comuni e quindi eventuali opere che dovessero riguardare parte o tutte le parti comuni del fabbricato, se si è scelto di operare verificando la legittimità complessiva dell'edificio, andrà ricompreso nelle verifiche anche l'alloggio del portiere, in quanto espressamente citato nella norma. In ogni caso, suggerisco di porre attenzione alla sistemazione degli eventuali spazi esterni comuni, perché soprattutto nei progetti tra gli anni quaranta e gli anni sessanta venivano spesso deliberatamente ignorati, anche se poi erano chiaramente oggetto di una specifica sistemazione che poteva comportare anche movimenti terra.
Ma il vero controsenso della norma, o paradosso, si ha quando ci si mette a riflettere sulle tolleranze costruttive: in questo caso, la norma parla chiaramente del fatto che le percentuali stabilite dalla norma (anche quelle ampliate dallo stesso decreto salva-casa) si applicano sempre alla singola unità immobiliare: dunque come si può eseguire una verifica delle tolleranze su un "edificio" se espressamente si deve ignorare la legittimità delle singole unità immobiliari private che invece rappresentano la base di calcolo per il fattore di tolleranza? qui sconfiniamo nella fantascienza e possiamo provare a dire che finché si lavora sulle facciate, è facile riferirsi all'unità immobiliare che ne è retrostante (da qui, ancora, il controsenso di "scindere" interno ed esterno, anche se comprendo l'obiettivo del legislatore), ma più difficile è quando si lavora su parti comuni obiettivamente non correlate a nulla, come l'androne condominiale, il vano scale, il lastrico di copertura, i locali stenditoio. Una possibile soluzione può essere quella di operare con il 2% di tolleranza che è il valore minimo oggi previsto dalla norma, ma sempre manca una unità immobiliare di "base" a cui riferire i valori. Anche qui il tecnico deve operare in base a coscienza e diligenza, ad esempio considerando, per i lastrici, l'intera superficie della copertura del fabbricato o, per i vani scale, tarare la percentuale in funzione della superficie totale del vano scale stesso, sommato piano per piano. Purtroppo occorre adattarsi.

Condivido qui appresso quello che ritengo essere un modo corretto di operare alla luce della importante novità normativa, ma sempre considerando che ogni tecnico deve operare secondo la propria diligenza e coscienza.

In caso di intervento su singola unità immobiliare privata, è preferibile sanare tutto ciò che afferisce l'unità immobiliare, ivi comprese le parti comuni che sono direttamente connesse all'appartamento, come ad esempio la facciata (le finestre, i balconi) gli elementi strutturali, l'eventuale diversa confinazione rispetto al pianerottolo condominiale. Se il condominio avesse già provveduto ad eseguire la regolarizzazione delle parti comuni, allora si deve valutare come sono state gestite le difformità che hanno eventualmente riguardato elementi di pertinenza dell'unità immobiliare, e valutare se la sanatoria deve essere integrata per le sole porzioni interne di questi elementi. Certamente ad oggi si può, per legge, ignorare eventuale difformità delle parti comuni (ad esempio, la forma del vano scale), ma attenzione sempre all'agibilità: il requisito rimane quello della sussistenza dello stato legittimo sia nelle unità private, sia nelle parti comuni.

In caso di intervento su parti comuni su incarico del condominio, suggerisco di effettuare la verifica completa di tutte le parti comuni come da definizione dell'art. 1117 cc, ignorando, come specifica la legge, le parti private a meno che, naturalmente, non vi venga dato incarico per gestire anche quelle (sarebbe la cosa migliore, ma utopistica soprattutto nei grandi condomini). Se l'edificio è particolarmente grande, complesso o stratificato in più elementi (ad esempio si compone di più scale ed un piano garage, ma a voi viene chiesto di eseguire interventi solo all'interno di un vano scale), allora si può valutare di limitare le verifiche alla sola parte di interesse, ma in tal caso suggerisco di specificare bene la cosa nella proposta di parcella e/o nell'incarico, e di discuterne in assemblea. E' giusto il caso di rammentare che per giurisprudenza praticamente unanime, anche gli interventi di manutenzione ordinaria devono essere eseguiti su oggetti legittimi dal punto di vista urbanistico, a pena della "ripresa dell'attività criminosa" o anche semplicemente rischiando di "replicare le illegittimità pregresse".

Interessanti - e da valutare - sono i risvolti di questa separazione degli stati di legittimità nei confronti dell'agibilità. Fino a ieri eravamo abituati, nel rilascio delle agibilità ad effettuare la verifica della conformità tanto delle parti comuni quanto di quelle private, e nell'eseguire le agibilità parziali, era comunque necessario accertare la legittimità delle porzioni comuni, almeno quelle di diretto utilizzo da parte delle porzioni oggetto di agibilità. Diciamo che non è mai stata una cosa del tutto chiara, ma aveva una sua logica: se è legittimo l'appartamento che stai dichiarando agibile, deve esserlo anche la porzione comune di fabbricato che viene utilizzata da quell'immobile. Tecnicamente, questa "separazione" non va ad incidere su questo assunto, ma va considerato che la divisione "letterale" tra legittimità delle parti comuni e legittimità delle singole unità immobiliari può invece avere un riflesso anche su questo aspetto, anche perché questa differenziazione non ha senso che incida solo sulle procedure edilizie e non anche sull'agibilità, stante la interconnesione fra le due. Tuttavia, l'agibilità è sempre un qualcosa che attiene a delle tutele diverse rispetto a quelle edilizie, dunque può invece aver senso ritenere che questa innovazione in verità non cambi nulla, se non semplificare la sanatoria delle parti comuni quando se ne rilevano delle difformità. Ritorneremo su questo aspetto quando ci saranno novità interpretative o giurisprudenziali.

Qualche caso particolare:
  • nel verificare le tolleranze costruttive degli elementi comuni, occorre a mio parere fare comunque riferimento alle "dimensioni della singola unità immobiliare" (e qui è uno dei paradossi della norma, per quanto visto), dunque per ciascuna porzione di edificio, il tecnico si deve regolare come meglio ritiene per far riferimento al corretto valore di tolleranza;
  • il regolamento di condominio generalmente indica quali sono le parti comuni dell'edificio: consiglio di fare sempre riferimento a questo documento;
  • se l'edificio è un classico condominio diviso in appartamenti ma è di proprietà di un unico proprietario (ad esempio una società), le parti comuni non esistono perché il codice civile non contempla la comunione per edifici che non hanno più proprietari. In questo caso il tecnico deve operare con attenzione ma si ritiene si debba considerare l'edificio come unico elemento senza poter distinguere le parti comuni da quelle private;
  • le parti comuni esistono anche negli edifici che non sono strutturati in condominio: in questo caso, a mio parere si deve operare facendo riferimento sempre all'art. 1117 in quanto applicabile ai sensi dell'art. 1117 bis;
  • nei complessi di edifici (comprensori o simili) possono esistere delle parti comuni a tutti i fabbricati del comprensorio che potrebbero ritenersi comuni: attenzione ad escluderle, se del caso, dal vostro incarico.

Come sempre, chi scrive ha messo la massima diligenza nella redazione del presente post e garantisce la massima affidabilità; tuttavia, non si assume alcuna responsabilità di quanto scritto né diretta né indiretta, e se qualcuno deciderà di affidarsi a quanto qui riportato nel proprio operato, lo farà a propria esclusiva responsabilità. Si ribadisce che si è commentato un comma di legge non ancora in vigore al momento di scrivere il presente post ovvero domenica 21 luglio 2024.

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