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domenica 2 febbraio 2025

ampliamento o errore progettuale - una sentenza TAR Lazio entra nel merito

 Il TAR Lazio ed in particolare la sezione II bis generalmente deputata a dirimere questioni di carattere urbanistico-edilizio si è di recente espressa nell'ambito di un tema articolato, che può aver subito una diversa visione interpretativa alla luce della pubblicazione del salva-casa, anche se la vicenda si sviluppa quando questo decreto non era ancora in vigore: si parla di accertamenti di conformità in presenza di presunti errori presenti nell'originario progetto.

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su prompt dell'autore


Contesto: nel 2020 viene depositata una richiesta di rilascio di Permesso di Costruire in accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 DPR 380/01 direttamente presso il Dipartimento P.A.U. di Roma Capitale (che all'epoca ancora era competente per tutti i PdC, mentre più di recente le competenze per i permessi su interventi fino a 3.000 mc sono state trasferite ai municipi territorialmente competenti) per un ampliamento eseguito sicuramente durante la costruzione del fabbricato e dunque ad opera del costruttore, in un tessuto classificato come sistema insediativo, città consolidata T1 (ciò non viene esplicitato ma si deduce dal fatto che vengono evocate le norme dell'art. 46 delle NTA del PRG che fanno riferimento a questo tessuto). Il Dipartimento rigetta l'art. 36 con una specifica determinazione dirigenziale, la quale viene impugnata dinanzi al TAR con una serie di motivazioni che vengono, però, integralmente respinte.

l'art. 36 presuppone la dimostrazione della doppia conformità

Da come si comprende leggendo il testo della sentenza, il professionista incaricato - o gli avvocati che hanno sostenuto la causa contro Roma Capitale - ha ritenuto l'intervento passibile di accertamento in quanto avrebbe rispettato la doppia conformità poiché anche se si tratta di ampliamento di superficie e di volume, le norme dei tessuti dell'art. 46 ne avrebbero ammesso la fattibilità. In effetti, l'art. 46 comma 3 lettera c) ammette una possibilità di ampliamento di SUL e di VfT fino ad un massimo del 10%, ma solo a determinate condizioni, e cioè che si attuino interventi di AMP1 nell'ambito di RE2 o DR specificamente finalizzate ad una migliore configurazione del fabbricato nel contesto edilizio, circostanza che nel caso di specie non sarebbe stata dimostrata. Difatti, va sempre considerato che città storica e città consolidata di base non hanno una cubatura edificabile, ma in taluni specifici interventi, nel rispetto delle condizioni di dettaglio, sono possibili incrementi di superficie e/o di volume una tantum.

Il professionista in verità, da come sembra potersi capire leggendo solo il testo della sentenza, puntava sul fatto che, a suo dire, il progetto avrebbe contenuto una incongruità tra la rappresentazione in prospetto e quella in pianta: in sostanza, da come sembra capirsi, l'edificio secondo il progetto originario avrebbe previsto una risega a rientrare, per uno sviluppo planimetrico di circa 5 mq, che invece al momento della costruzione sarebbe stata "riempita" da una cubatura, avanzando il fronte dell'edificio e inglobando di fatto detta risega. L'incongruità della rappresentazione grafica nel progetto avrebbe consentito il rilascio del permesso in sanatoria, anche se l'art. 36 in effetti prevede delle rigide disposizioni per la sua applicazione tali per cui occorre dimostrare che l'intervento fosse in effetti fattibile all'epoca della realizzazione ed anche ad oggi, mentre l'eventuale evidenziazione dell'incongruità progettuale potrebbe essere fatta valere su un piano amministrativo differente.

il dettaglio dell'art. 46 NTA PRG - città consolidata T1 e ampliamenti

Della fattibilità all'epoca della realizzazione non viene detto molto, se non che ci si deve riferire ad un piano particolareggiato emanato nell'ambito di validità del PRG del 1931 nel quale il tessuto urbano era destinato a villini. Mentre della fattibilità ad oggi, il TAR ha escluso categoricamente la eventualità che possa essere evocata in sanatoria la possibilità concessa dall'art. 46 in quanto anzitutto esso dovrebbe essere azionato dall'intero condominio in quanto si tratta di una cubatura che, virtualmente, afferisce all'intero fabbricato, ed in secondo perché non sono state poste in concreto opere di "RE2 o DR" tali per cui si sarebbe potuto fare riferimento al caso specifico, trattandosi piuttosto di difformità eseguite in corso di realizzazione del fabbricato e dunque non frutto di interventi successivi e distinti. Dato che secondo i giudici non era verificata la conformità al momento del deposito dell'istanza, si è ritenuto inutile vagliare la fattibilità all'epoca della realizzazione: peccato, perché poteva essere una occasione per vedere come venivano interpretate, ora per allora, le vecchie regole dell'edificazione a villini che, secondo il PRG del 1931, doveva avvenire secondo precise disposizioni geometriche (impronta a terra dell'edificio proporzionata alla dimensione del lotto; precise distanze dai confini; numero massimo di piani fuori terra, etc) ma che non contemplavano il concetto di cubatura edificabile, di fatto per l'epoca assente nella normativa nazionale.

l'incongruenza progettuale

Il TAR smonta anche la tesi secondo cui tra pianta e prospetti ci sarebbe stata incongruenza, in quanto viene evidenziato che il prospetto, trattandosi di una rappresentazione bidimensionale, non deve avere evidenze di eventuali porzioni di facciata poste su piani diversi. In verità, questa differenza di piani può (e dovrebbe sempre) essere evidenziata con la rappresentazione delle ombre in proiezione, che è appunto lo strumento geometrico funzionale - e non solo estetico - utile a far comprendere la tridimensionalità del disegno bidimensionale. Tuttavia, nel caso di specie, potrebbe essere che la risega si presentava in un punto in cui effettivamente non avrebbero potuto esserci ombre e questo potrebbe aver lasciato il dubbio sull'effettiva planarità della facciata, anche se tra porzioni non complanari benché in assenza di ombre deve essere presente almeno una linea verticale che indica il salto di proiezione. Il fatto da sottolineare in questo contesto è però quello relativo al cosa deve intendersi per errore materiale di rappresentazione: esso, alla luce di questa sentenza, deve essere evidente e contemplare una inconfutabile incoerenza tra quanto rappresentato in pianta e quanto in prospetto, mentre nel caso di specie prospetti e planimetria non avrebbero avuto tale palese incongruenza a detta dei giudici in quanto il prospetto appariva coerente.

Di errori ed incongruenze nei progetti chi scrive ne ha incontrate molte e disparate, ed in alcuni casi si tratta di palesi errori: ad esempio un tipico caso è un prospetto laterale di una palazzina dove in pianta sono indicate tre finestre ma in prospetto solo due. Gli errori grafici esistono e sono diffusi, soprattutto perché in passato l'elaborato grafico "finale" che veniva allegato alle richieste di rilascio delle licenze erano spesso dei disegni più piccoli eseguiti su lucido e "giuntati" fra loro all'ultimo momento, oppure erano vere e proprie singole tavole: era dunque abbastanza facile sbagliarsi ed allegare tavole che facevano riferimento a versioni diverse del progetto (i progetti non escono mai "di getto", vengono sempre concordati, modificati, affinati, corretti e ridisegnati).

le tolleranze non devono essere tradotte in un titolo edilizio

In ogni caso non è del tutto chiaro, stando a quel poco che si può capire leggendo solo il testo della sentenza, perché viene presentato un art. 36 se si voleva dimostrare una incongruenza progettuale e ciò probabilmente dipende dalla parzialità di veduta che si ha leggendo solo il dispositivo, ma è anche vero che prima del decreto salva-casa non esisteva la specifica fattispecie dell'errore materiale di progetto, che invece oggi è presente nell'art. 34-bis comma 2-bis DPR 380/01. Per pronto riferimento si riporta il testo del comma 2-bis vigente al momento della stesura del presente post:

2-bis. Per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, costituiscono inoltre tolleranze esecutive ai sensi e nel rispetto delle condizioni di cui al comma 2 il minore dimensionamento dell'edificio, la mancata realizzazione di elementi architettonici non strutturali, le irregolarità esecutive di muri esterni ed interni e la difforme ubicazione delle aperture interne, la difforme esecuzione di opere rientranti nella nozione di manutenzione ordinaria, gli errori progettuali corretti in cantiere e gli errori materiali di rappresentazione progettuale delle opere.

L'enfasi è aggiunta dall'autore del post per indicare il passaggio normativo a cui ci si riferisce.

Dovendosi dare per scontato che il professionista incaricato abbia valutato al meglio il da farsi, è evidente che, avendo optato per il deposito di un accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 si puntava soprattutto alla dimostrazione della doppia conformità piuttosto che all'errore materiale di rappresentazione, che poteva indicare semmai un rafforzativo della dimostrazione della risalenza delle opere alla originaria costruzione del fabbricato. Sul punto non si può dire altro perché la sentenza giustamente non fornisce gli elementi per poter scendere nel dettaglio della vicenda, anche se naturalmente la curiosità è molta.

Magari è una mia personale interpretazione troppo spinta ma mi sembra che, sul punto, la sentenza di che trattasi, che è la n°1969 del 29 gennaio 2025 TAR Lazio sez. II bis forse vuole evocare l'ipotesi che il concetto di "errore progettuale" potesse ascriversi all'alveo delle tolleranze anche prima del salva-casa o che quantomeno nel caso di specie poteva essere una ipotesi dai esplorare con maggiore attenzione: così sembra potersi desumere dal seguente passaggio estratto dal dispositivo:

Del resto, non può non rilevarsi come, se davvero l’ampliamento in questione fosse rientrato tra le tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis del d.P.R. n. 380/2001 (nel testo antecedente alle modifiche introdotte per effetto del decreto-legge n. 69/2004*), contraddittoria ed illogica sarebbe stata la presentazione, a cura della ricorrente, di un’istanza ex art. 36 d.P.R. cit. per legittimare opere che, per qualificazione stessa del legislatore, non avrebbero costituito violazione edilizia.

*nella sentenza probabilmente c'è un errore di battitura e si voleva scrivere decreto-legge n. 69/2024

E' chiaro difatti, e lo è ancor di più dopo il salva-casa, che le tolleranze costruttive escludono l'applicabilità di un titolo per poterle dimostrare: laddove il professionista ritiene che le difformità rilevate su un immobile si riferiscono a tolleranze costruttive di cui all'art. 34-bis (ad oggi) egli non deve presentare nessun titolo edilizio ma deve semplicemente dichiararne la sussistenza. Può, però, presentarsi un titolo laddove il tecnico rilevi sia differenze ascrivibili alle tolleranze, sia altre che devono invece essere condotte in accertamento di conformità, e queste due fattispecie possono (e a mio parere devono) essere graficizzate in modo specifico nell'elaborato progettuale: questa possibilità peraltro è espressamente evocata nelle recentissime linee-guida del Ministero sull'applicazione del salva-casa.

la richiesta di danni rigettata


Ultima nota su questa sentenza è il fatto che l'interessato all'intervento pretende da Roma Capitale i danni patiti per il fatto che sarebbe trascorso del tempo finché il titolo non è stato definitivamente annullato, in quanto era stato stipulato un contratto di promessa di vendita dell'immobile con una penale, applicata per il trascorrere del tempo senza la definizione della sanatoria. Il TAR rigetta la richiesta di risarcimento per motivazioni che qui non interessa riportare, ma quel che preme evidenziare è l'importanza di eseguire una Due Diligence immobiliare

P - R - I - M - A

anche solo di pensare di mettere in vendita l'immobile, perché se poi per qualunque motivo ci si trova in delle empasse come quelle patite dalle parti interessate in questa sentenza perché ci si impegna per la vendita pur in presenza di difformità, il tutto si traduce molto spesso in lacrime e sangue.


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