tag:blogger.com,1999:blog-56048716364241498082024-03-18T04:00:01.644+01:00diari di un architettoblog di aggiornamento e riflessione sulla professione tecnica di architetto e non solo, rivolto sia ai colleghi tecnici che agli avventori alle prese con il progetto di ristrutturazione della casa piuttosto che con i problemi urbanistici del proprio immobile.arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.comBlogger302125tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-87949623979352968512023-12-31T18:17:00.001+01:002023-12-31T18:17:24.281+01:00differenza tra APE e AQE<p style="text-align: justify;">Gli acronimi ormai sono ovunque in qualunque ambito: nel settore edilizio anche siamo sopraffatti dagli acronomi ed è facile confondersi tra procedure che, pur avendo un nome simile, hanno finalità completamente diverse. E' il caso dell'APE (attestato di Prestazione Energetica) da non confondersi con l'AQE (Attestato di Qualificazione Energetica), due procedure che, sebbene concettualmente molto simili se non uguali per certi versi, hanno scopi e ruoli del tutto differenti. In questo post, vedremo come distinguerli.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYWrNmEryUldZobjujUXAVGBoYEWLkv7MkTgPiW8GOg6hE4Nfv1OMUl0wLaKL5tEUvFY9vMxT5QOHZoLRPGHZ0WQFx43FxpXqYZG8-xGFUUrFPTEIeZMdLgBvo6oRLHfboNHqxF-FlDglligICYabfIqZMeWtWgI57jFjw-NApC5GQtcVl3xj9_3CyfqY/s640/documents-3816835_640.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="426" data-original-width="640" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYWrNmEryUldZobjujUXAVGBoYEWLkv7MkTgPiW8GOg6hE4Nfv1OMUl0wLaKL5tEUvFY9vMxT5QOHZoLRPGHZ0WQFx43FxpXqYZG8-xGFUUrFPTEIeZMdLgBvo6oRLHfboNHqxF-FlDglligICYabfIqZMeWtWgI57jFjw-NApC5GQtcVl3xj9_3CyfqY/s320/documents-3816835_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/it/photos/documenti-file-irato-fascicolo-3816835/" target="_blank">Immagine di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><p style="text-align: justify;">Vediamo anzitutto cosa hanno in comune APE ed AQE: sono entrambi documenti che <b>afferiscono alla prestazione energetica dell'edificio</b> e/o della singola unità immobiliare e vengono compilati da dei tecnici abilitati attraverso l'utilizzo della stessa categoria di software, ovvero quelli concepiti per il calcolo delle dispersioni termiche dell'edificio e dell'efficienza degli impianti in esso contenuti: uno di questi software, il cui ambito di applicabilità è però ristretto ad una specifica categoria di immobili, è il DOCET sviluppato da ENEA. In entrambi i documenti confluiscono le informazioni relative agli impianti installati, alla loro efficienza e tipologia, nonché le caratteristiche dell'involucro: tali dati, correttamente inseriti dal tecnico, consentono al software di classificare l'immobile in funzione della efficienza nell'utilizzo dell'energia fornita dalla rete, e/o di quella autoprodotta.</p><p style="text-align: justify;">APE ed AQE sono entrambi dei documenti di <b>analisi su una situazione esistente:</b> non sono dunque strumenti progettuali, come invece è la relazione ai sensi dell'art. 8 comma 1 d.lgs 192/05 da depositare in comune <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2017/06/ristrutturazioni-e-adempimenti.html" target="_blank">ogni qualvolta sia necessario eseguire opere che incidono sulla prestazione energetica dell'immobile</a> (ed attenzione, questo adempimento è necessario <u>molto più spesso di quanto si possa immaginare</u>). Queste opere possono essere di varia natura: a parte rarissimi casi, ad esempio tutte le nuove costruzioni sono soggette all'obbligo di eseguire un progetto tale per cui l'edificio abbia consumi energetici ridotti entro certi limiti. Tuttavia, non è raro che questi adempimenti possano attivarsi anche nelle semplici ristrutturazioni degli appartamenti: ad esempio è necessario depositare la relazione "ex legge 10" quando si sostituisce l'impianto termico autonomo oppure quando si va ad isolare anche una sola parete aggiungendo degli strati isolanti, oppure ancora laddove fosse necessario rifare un pavimento controterra, per non parlare del fatto che tale adempimento non è espressamente escluso nel caso in cui si esegua la mera sostituzione degli infissi: in sostanza, la legge si applica ogni volta in cui si effettuano opere, come già detto, che vanno ad incidere sulla prestazione energetica dell'immobile, ed è obbligatorio anche se l'incidenza dei lavori è marginale (salvo esclusioni espressamente indicate dalla legge, come l'installazione di pompe di calore fino ad una certa potenza).</p><p style="text-align: justify;">APE e AQE sono entrambi definiti all'interno del d.lgs. 192/05 e, anche se, come detto, sono documenti tecnicamente simili, hanno delle differenze importanti:</p><p style="text-align: justify;"></p><ul><li style="text-align: justify;">l'APE deve essere <b>redatto da un tecnico indipendente</b> sia dalla proprietà (anche inteso nel senso che non è ammessa la parentela fino ad un certo grado) sia dalla ditta e dagli altri tecnici che hanno operato sull'immobile: deve dunque essere eseguito da una persona terza, e lo scopo di tale terzietà è che il lavoro deve essere svolto in modo imparziale ed obiettivo. In sostanza, opera come se fosse il collaudatore di interventi strutturali: anche per tale ruolo la Legge prevede una figura del tutto indipendente da chi ha progettato e diretto l'opera. La finalità è quella di garantire che chi analizza il lavoro svolto da altri possa farlo con la necessaria indipendenza critica, così da indurre chi progetta e chi dirige le opere a seguire con scrupolo le regole ed i progetti perché potrebbero essere verificati da un soggetto a loro sconosciuto (anche se il redattore dell'APE viene sempre scelto dalla committenza, dunque alla fine vi è comunque una convergenza di interessi);</li><li style="text-align: justify;">l'AQE <b>è di base un documento facoltativo</b>, anche se, come si vedrà, in alcuni contesti è obbligatorio. In quanto facoltativo, può essere redatto da tecnici anche non imparziali quindi può essere compilato anche dal progettista o dal direttore lavori. contiene gli stessi valori dell'APE anche se è impaginato in modo diverso in alcuni punti;</li><li style="text-align: justify;">l'APE deve contenere obbligatoriamente le indicazioni per <b>opere di miglioramento della condizione energetica rilevata</b>, perché è anche un documento conoscitivo rivolto alla proprietà la cui finalità è anche quella di prendere coscienza di cosa si possa fare per migliorare l'efficienza dell'immobile posseduto. Le indicazioni sulle opere migliorative devono essere presenti sempre, anche quando si sta attestando la prestazione su un immobile in classe A4 (<a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2016/09/faq-ministero-sviluppo-economico-su.html" target="_blank">fonte: FAQ MiSe</a>), mentre invece l'AQE non deve contenere le indicazioni sulle migliorie;</li><li style="text-align: justify;">l'APE deve essere accompagnato dal libretto d'impianto, in quanto <b>non può essere redatto in assenza di un impianto non funzionante</b> o non correttamente o legittimamente installato. l'AQE invece può essere redatto anche in assenza di tali documenti ma nel caso è opportuno che venga evidenziata la circostanza; in tal caso comunque non avrebbe molto senso la certificazione, perché la presenza dell'impianto è fondamentale per determinare l'efficienza: sarebbe come tentare di stimare il consumo di un'automobile priva di motore;</li><li style="text-align: justify;">per essere efficace quale documento attestante la prestazione, l'APE deve essere depositato presso la Regione: ogni regione deve essersi dotata di un sistema per la ricezione, l'archiviazione ed il controllo a campione degli attestati inviati (art. 6 comma 12 d.lgs. 192/05). l'AQE invece non deve essere depositato presso la Regione ma, quando obbligatorio, deve corredare i documenti relativi alla dichiarazione di fine lavori di opere edilizie.</li></ul><p></p><p style="text-align: justify;">Dunque laddove si intenda dare corso ad opere che necessitano di progettazione energetica preventiva, l'iter previsto dalla legge (in particolare, il d.lgs 192/05 ovvero la ex legge 10/91) in termini di step procedurali sarà il seguente:</p><p style="text-align: justify;"></p><ol><li style="text-align: justify;">deposito del progetto redatto ai sensi del d.lgs 192/05 che si compone almeno della relazione tecnica di cui all'art. 8 e dei relativi allegati progettuali (tanto più complessi quanto più sarà complessa la progettazione: dunque se si tratta di un nuovo edificio, sarà un progetto che riguarderà ogni aspetto, dalle trasmittanze dei singoli componenti, passando per la verifica di ogni ponte termico, fino ai progetti ed ai dettagli di ciascun impianto termico);</li><li style="text-align: justify;">esecuzione dei lavori progettati e deposito di eventuali varianti;</li><li style="text-align: justify;">deposito, a fine lavori, della comunicazione al comune di conclusione delle opere previste secondo il progetto, che deve avere come allegato l'AQE, attestato di qualificazione energetica, ai sensi dell'art. 8 comma 2 del d.lgs 192/05. per espressa previsione di legge, l'AQE deve essere redatto e firmato dal direttore lavori. Il Direttore lavori che deve redigere l'AQE è quello che ha seguito specificamente le opere relative all'efficientamento energetico, laddove fosse un tecnico diverso da chi si è occupato della direzione lavori architettonica o strutturale. Attenzione al rispetto dell'obbligo di deposito dell'AQE assieme al fine lavori: la legge stessa indica che in assenza di tale attestato, quando previsto, la dichiarazione di fine lavori è "inefficace a qualsiasi titolo" (pensiamo ad esempio ad un permesso di costruire: se il fine lavori non è efficace perché manca l'AQE, e trascorrono i tre anni dall'originario rilascio, la costruzione può essere considerata abusiva per essere stata eseguita in base ad un titolo abilitativo non correttamente chiuso entro i termini di legge - fatto salvo il soccorso istruttorio che in questi casi si dovrebbe attivare ragionevolmente, soprattutto laddove la mancanza non sia dolosa);</li><li style="text-align: justify;">nei casi previsti dalla Legge, dopo aver dichiarato la fine lavori, il proprietario deve incaricare un tecnico terzo per far redigere l'APE. Questo obbligo è previsto dall'art. 6 comma 1 d.lgs. 192/05 il quale indica che tale documento è necessario in ogni caso di nuova costruzione, oppure nei casi di "ristrutturazioni importanti" (vedi definizioni dello stesso d.lgs. 192/05 ma anche le definizioni del <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/10/il-nuovo-decreto-sullapplicazione-delle.html" target="_blank">decreto requisiti minimi</a>): sembra dunque escluso dall'obbligo di produrre l'APE quegli interventi classificati nelle semplici "riqualificazioni energetiche" ovvero le opere che incidono sulla prestazione energetica ma che non sono così impattanti da ricadere in una ristrutturazione importante di primo o di secondo livello.</li></ol><div style="text-align: justify;">Dunque APE ed AQE sono documenti che, in concreto, sono spesso entrambi necessari nelle opere che prevedono una variazione delle prestazioni energetiche dell'immobile: non a caso, l'APE è uno dei documenti espressamente richiesti nei casi in cui sia necessario segnalare l'agibilità di un immobile, sia esso esistente, sia esso realizzato ex novo; laddove si ricada in uno dei casi in cui l'APE non è richiesto, è comunque suggerito produrre una dichiarazione in tal senso ed allegarla all'agibilità. Ribadisco ancora una volta: APE ed AQE sono documenti diversi, distinti e separati e non vanno confusi tra loro: possono esserci casi perfettamente legittimi in cui va redatto solo l'APE, altri in cui è necessario solo l'AQE, altri in cui sono obbligatori tutti e due ed infine molte altre casistiche in cui non è necessario nessuno dei due.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Laddove APE ed AQE si differenziano nettamente è in quei casi in cui si deve redigere la documentazione relativa ad una unità immobiliare <b>oggetto di vendita o locazione</b>: in questo caso, l'unico documento necessario è l'APE, così come previsto dall'art. 6 d.lgs. 192/05. Anche se l'attestato può essere redatto in questi casi anche diversi anni dopo l'ultima esecuzione di opere sull'edificio, è comunque preferibile che il tecnico che lo compila non abbia avuto a che fare con il precedente cantiere. L'attestato, a pena di inefficacia, deve essere redatto da un tecnico che esegue un sopralluogo sul posto e che acquisisce la documentazione prevista per legge (il libretto d'impianto e gli eventuali ulteriori documenti in caso di caldaia condominiale)</div><p></p><p style="text-align: justify;"><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-39240993966767309202023-12-25T18:45:00.002+01:002024-02-03T14:21:47.526+01:00vincolo cimiteriale<p style="text-align: justify;">I vincoli urbanistici che possiamo incontrare in Italia sono tantissimi e variegati, ma possono essere raggruppati in due grandi famiglie: i vincoli che sono istituiti direttamente da una Legge, attraverso decreti ministeriali o piani regionali, e quelli che scaturiscono automaticamente al solo verificarsi di una condizione. Uno dei vincoli di questa seconda famiglia è il vincolo cimiteriale, di cui di seguito condivido i miei appunti, anche in considerazione del fatto che nel 2023 sono uscite ben tre sentenze del Consiglio di Stato che hanno aiutato a circoscriverne i dettagli applicativi.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBqU2b9lA-Uiw5OqkHT9DD3hoNyJsWx5so-UC2K9bQ9-t50CZMVL4ZzEF2omXK-B9spLrHLai93yxr_p_f7RAdBhyphenhyphenkfHpfzQkVLC76tvIA7ptKjnl4W3JFAVSg8TOoViuZ-H1lf9U51r2bGlGCUHmIRoZU77iBRTai3_Rl33kSzzuOb_lKUtgPBa7861c/s640/graveyard-4548917_640.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="640" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBqU2b9lA-Uiw5OqkHT9DD3hoNyJsWx5so-UC2K9bQ9-t50CZMVL4ZzEF2omXK-B9spLrHLai93yxr_p_f7RAdBhyphenhyphenkfHpfzQkVLC76tvIA7ptKjnl4W3JFAVSg8TOoViuZ-H1lf9U51r2bGlGCUHmIRoZU77iBRTai3_Rl33kSzzuOb_lKUtgPBa7861c/s320/graveyard-4548917_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/it/photos/graveyard-cross-religione-paesaggio-4548917/" target="_blank">Immagine di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><blockquote><p style="text-align: justify;">Anzitutto, sul tema dei vincoli in urbanistica ed edilizia, ed anche sul vincolo cimiteriale in trattazione, mi permetto di suggerire la lettura del mio quarto libro <a href="https://www.maggiolieditore.it/progettazione-e-trasformazioni-in-presenza-di-vincoli.html" target="_blank">"<i>Progettazione e trasformazioni in presenza di vincoli</i>" ed. Maggioli gennaio 2023</a>.</p></blockquote><p style="text-align: justify;">Come il nome lascia intendere, questo è un vincolo che si attiva automaticamente nel momento in cui viene creato, dal comune, un nuovo cimitero; naturalmente, si applica anche ai cimiteri esistenti. Il vincolo scaturisce dal chiaro dettame <a href="https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:regio.decreto:1934-07-27;1265!vig=2023-12-25" target="_blank">dell'articolo 338 del R.D. 1265/1934 Testo Unico delle Leggi Sanitarie</a>. Come gli altri vincoli che scaturiscono "automaticamente" dalla presenza di una specifica caratteristica naturale (come i vincoli "Galasso" dell'art. 142 del <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/11/i-vincoli-del-codice-dei-beni-culturali.html" target="_blank">Codice dei beni Culturali e del Paesaggio</a>) o infrastrutturale (ad esempio il vincolo di rispetto ferroviario o autostradale), operano a prescindere dalla loro effettiva e concreta graficizzazione sugli strumenti urbansitici o pianificatori. Attenzione dunque al fatto che il vincolo sussiste anche se non è disegnato: questa è una delle grandi complessità di questo tipo di vincolo. Il vincolo in linea di massima, e salvo le deroghe che si vedranno nel presente post, opera per una fascia di 200 metri a partire dai confini del cimitero; si applica ad ogni tipo di cimitero, indipendentemente dalla modalità di tumulazione.</p><p style="text-align: justify;">Ogni vincolo mira alla specifica tutela di uno o più specifici interessi pubblici: non può esistere un vincolo che non derivi da questo presupposto. L'interesse pubblico tutelato dal vincolo cimiteriale è quello duplice della salute pubblica e della possibilità dell'ampliamento infrastrutturale. Quello dell'ampliamento infrastrutturale è facilmente intuibile; per la salute pubblica, bisogna evocare, senza troppo addentrarsi in un argomento che può risultare facilmente grottesco, il fatto che una volta scappata via la vita da un corpo, questo inizia un processo di decomposizione che rilascia minerali ed altre materie nel terreno, almeno potenzialmente. Già in epoche lontane si era compreso che vivi e morti non possono convivere, proprio per ragioni igieniche: ne sono chiaro esempio le modalità di tumulazione egizie ma anche etrusche, dove le tombe sono sempre realizzate sufficientemente lontane dall'abitato per non creare problemi igienici, ma non così tanto da impedire di poter visitare i propri cari con un breve spostamento. La legge vigente ha finalità del tutto simili.</p><p style="text-align: justify;">La norma, peraltro, ha una <b>clausola di disapplicazione automatica</b> che fa comprendere che il problema igienico è proprio quello legato alla decomposizione dei corpi: nel caso in cui il cimitero sia esclusivamente di tipo militare, il vincolo decade dopo 10 anni da seppellimento dell'ultima salma. Ciò a significare che dopo 10 anni il terreno circostante il cimitero, se non vengono deposte altre salme, spontaneamente ripristina gli originali equilibri igienici per cui la fascia di rispetto perde di significato.</p><p style="text-align: justify;">All'interno della fascia di rispetto vige dunque un principio di <b>inedificabilità assoluta</b>, e tale è considerata dalla giurisprudenza: una delle più recenti (al momento di scrivere il presente post) è quella del <a href="https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=201901641&nomeFile=202308067_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">Consiglio di Stato n°8067/2023</a> (<a href="https://www.lavoripubblici.it/news/condono-edilizio-vincolo-cimiteriale-interviene-consiglio-stato-31696#:~:text=L'esistenza%20del%20vincolo%20cimiteriale,47%2F1985." target="_blank">commentata anche su Lavoripubblici.it</a>) che è intervenuta nell'ambito di un caso particolare. Un comune del napoletano rigetta l'istanza di sanatoria straordinaria (condono) ad una persona la cui costruzione si trova al limite, ma comunque all'interno o almeno in incidenza, della fascia di 200 metri dal limite del cimitero, dunque, per il comune inedificabilità assoluta si traduce nella impossibilità di ottenere la concessione in sanatoria. Il cittadino prova a difendersi peraltro basandosi anche su una variante al piano regolatore (pare approvata ma mai adottata, e quindi decaduta) che avrebbe previsto una riduzione a 100 metri della fascia di rispetto, tale per cui il fabbricato ne sarebbe risultato al di fuori. Palazzo Spada però non si fa persuadere da queste indicazioni e conferma l'operato del comune, enunciando diversi principi di ordine generale:</p><p style="text-align: justify;"></p><ol><li style="text-align: justify;">laddove il comune ritenga doversi applicare la deroga ovvero la riduzione della distanza della fascia di rispetto, deve farlo attraverso un atto amministrativo che preveda anche il parere della ASL: non è sufficiente quindi una variante approvata per rimodulare l'ampiezza della fascia;</li><li style="text-align: justify;">la pluralità degli interessi pubblici tutelati dal tipo di vincolo giustifica l'inedificabilità assoluta e l'atto di rigetto del condono è da intendersi una procedura vincolata;</li><li style="text-align: justify;">per "centro abitato" si deve intendere, secondo l'art. 338 TULS, qualunque costruzione adibita all'uso abitativo.</li></ol><p></p><p style="text-align: justify;">Che l'inedificabilità assoluta incide sui presupposti per l'ottenimento della concessione in sanatoria, in caso di istanze di condono, lo confermava già una sentenza di poco precedente a quella sopra commentata: la s<a href="https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=201702087&nomeFile=202301338_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">entenza Consiglio di Stato n°1338/2023</a> difatti aveva già confermato la correttezza dell'operato di un comune sempre del napoletano che ha rigettato due istanze di condono, una del 1985 ed una del 2003 per differenti opere di nuova costruzione sul medesimo edificio, ricadente nella fascia di rispetto di un cimitero. In questa sentenza non si discute della ricomprensione della costruzione all'interno della fascia. Nella sentenza è trattato il tema anche con riferimento al progetto di ampliamento dello stesso cimitero: in particolare, nel 1998 il comune ha aggiornato il PRG prevedendo un ampliamento del cimitero, ma senza estendere il perimetro della originaria fascia di rispetto. La possibilità di ridurre la fascia di rispetto è espressamente consentita dall'art. 338 TULS ma devono sussistere specifiche condizioni e deve esserci l'avallo della ASL territorialmente competente e, in ogni caso, la fascia non può essere ristretta al di sotto del limite invalicabile di 50 metri.</p><p style="text-align: justify;">Ad avviso di chi scrive, comunque, <b>il vincolo opera a prescindere dal fatto se il PRG individui la fascia di rispetto</b>, in quanto il vincolo è legato all'esistenza dell'infrastruttura (che può essere anche antica ma tuttora in uso - vedi il cimitero del Verano a Roma) e non viene previsto che debba essere conformato attraverso gli strumenti urbansitici; semmai, questi possono implicitamente imporre nuove fasce di rispetto laddove prevedano modifiche alla perimetrazione delle strutture esistenti, o nuove strutture.</p><p style="text-align: justify;">Tuttavia, <b>può porsi il caso che una costruzione possa legittimamente esistere all'interno della fascia di rispetto del cimitero</b>: tale legittimità può scaturire a mio parere, e salvo altre, nelle seguenti fattispecie:</p><p></p><ul><li style="text-align: justify;">edificio costruito prima della pubblicazione del TULS (1934) realizzato in modo legittimo (e fatta salva la verifica che non fosse in violazione di norme già precedentemente vigenti): dunque o è dotato di un titolo edilizio, oppure è stato realizzato in un settore urbano che, per l'epoca di realizzazione, non necessitava titolo (ma nel caso ne va dimostrata la preesistenza al 1934);</li><li style="text-align: justify;">edificio costruito prima che il comune decidesse di costruirvi vicino un cimitero: questa fattispecie potrebbe capitare anche oggi: immaginiamo un lotto di terreno situato a 300 metri da un cimitero, sul quale non vige nessun vincolo di inedificabilità assoluta. il proprietario decide di costruire ed il comune concede la licenza. se, successivamente, sorgesse la necessità di ampliare il cimitero proprio in direzione della casa costruita, la stessa potrebbe essere invasa dalla nuova fascia di rispetto. in tal caso, l'immobile continuerebbe ad essere legittimo, ma subisce le limitazioni di cui tra poco si dirà.</li></ul><div style="text-align: justify;">nel caso, dunque non impossibile, che all'interno della fascia di rispetto esistano edifici legittimi, su questi sono ammesse delle opere di trasformazione anche moderatamente impattanti: ciò è espressamente permesso dall'ultimo comma dell'art. 338 che così recita:</div><div><br /></div><blockquote><i>All'interno della zona di rispetto per gli edifici esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero interventi funzionali all'utilizzo dell'edificio stesso, tra cui l'ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento e i cambi di destinazione d'uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457.</i></blockquote><div>Dunque la norma consente interventi come accennato anche di un certo livello di invasività, tra cui l'ampliamento fino al 10% dell'esistente (la norma non specifica se si applica alla superficie od al volume ma si può facilmente ritenere che è consentito fino al parametro che viene raggiunto per primo tra i due): evidentemente la norma, forse anche per evitare interventi di esproprio, ammette una certa tolleranza riguardo alle costruzioni preesistenti.</div><p></p><p style="text-align: justify;">Laddove la costruzione sia però molto fatiscente e richieda un intervento di integrale demolizione e successiva ricostruzione, si deve porre il delicatissimo tema dell'inquadramento dell'intervento. Dato che la nuova costruzione è comunque del tutto preclusa, ci si potrebbe chiedere se effettuare un intervento di demoricostruzione ma che rientri nelle definizioni della ristrutturazione edilizia sia comunque ammissibile: a questa domanda ha risposto il <a href="https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=201900887&nomeFile=202302565_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">Consiglio di Stato con la sentenza 2565/2023</a> nella quale viene trattato proprio questo tema nello specifico. Palazzo Spada, come spesso accade, fa una ottima disamina delle evoluzioni normative sintetizzando le numerose varie modifiche alla definizione di ristrutturazione edilizia che si sono susseguite nel tempo e che hanno via via ampliato la nozione, ricomprendendovi ad oggi interventi di demolizione e contestuale ricostruzione anche con differenza di sagoma e di volumi (<a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2022/07/le-modifiche-alla-ristrutturazione.html" target="_blank">ma con specifica limitazione agli ambiti vincolati dal Codice dei Beni Culturali</a>). Anche se il ricorso in appello viene rigettato, dalla sentenza si comprende come effettivamente se ad oggi si intendesse operare con intervento di demolizione e ricostruzione su un immobile legittimo e posto all'interno della fascia di rispetto cimiteriale, <b>la trasformazione può essere possibile solo finché l'intervento riesce a rientrare strettamente nella definizione di <i>ristrutturazione edilizia</i></b>. Attenzione, dunque, ad operare ad esempio in zona territoriale omogenea di tipo A perché come sappiamo in questa le demoricostruzioni sconfinano molto facilmente nella nuova costruzione.</p><p style="text-align: justify;">Nella medesima sentenza viene affrontato anche un tema in parte già trattato: quello della sopravvenienza di una riduzione della fascia di rispetto. Nel caso esaminato, vi è stata nel 2019 una effettiva riduzione della fascia di rispetto del cimitero, approvata - si deve desumere - con l'iter che la legge prevede, tanto da far uscire l'immobile dal regime vincolistico: tuttavia, nel caso di specie ciò non rileva in quanto gli atti di annullamento del condono erano stati avviati prima della riduzione del vincolo e dunque l'azione amministrativa repressiva è stata considerata legittima se riferita al momento in cui è stata adottata.</p><p style="text-align: justify;">Altro tema non secondario trattato sempre dalla citata sentenza è quello delle motivazioni che possono essere alla base della <b>riduzione della fascia di rispetto</b>: viene evidenziato che tale operazione può essere <b>posta in essere dall'amministrazione solo per perseguire un interesse pubblico</b>, che può essere anche quello di realizzare una nuova espansione urbanistica, purché - sembra intuirsi - con procedimento indiretto. La motivazione dell'interesse pubblico deve sussistere per controbilanciare gli interessi pubblici che sono tutelati dalla fascia di rispetto: senza un interesse pubblico che sia tale da confrontarsi con quello tutelato, in sostanza, non può esserci riduzione della fascia di rispetto.</p><p style="text-align: justify;">Ultimissima novità proprio dei giorni in cui scrivo questo post, è la pubblicazione di una ulteriore sentenza che traccia la via sempre all'interno dei solchi già individuati: <a href="https://lexambiente.it/index.php/materie/urbanistica/consiglio-di-stato64/urbanistica-il-vincolo-cimiteriale-determina-una-situazione-di-inedificabilit%C3%A0-assoluta" target="_blank">Consiglio di Stato sez. VI n°10798 del 14 dicembre 2023</a> va sostanzialmente a confermare che la fascia di rispetto cimiteriale non consente la realizzazione di nuovi manufatti o la modifica di quelli esistenti se non all'interno degli stretti limiti imposti dalla legge.</p><p style="text-align: justify;">In conclusione di questa breve trattazione di questo delicato vincolo, mi sembra di poter evidenziare i seguenti aspetti a cui prestare attenzione:</p><p style="text-align: justify;"></p><ul><li>gestire correttamente eventuali immobili oggetto di <b>istanze di condono in itinere in fascia di rispetto</b>, perché saranno probabilmente destinate a rigetto, fatte salve eventuali determinazioni delle amministrazioni preposte alla tutela;</li><li>fare attenzione ad operare su immobili che hanno ottenuto la concessione in sanatoria in zona vincolata: anche se il condono è rilasciato, conviene sempre buttare un occhio al pregresso e vedere se l'istanza è stata correttamente istruita relativamente ai vincoli e soprattutto se gli stessi sono stati correttamente dichiarati;</li><li>un immobile preesistente in fascia di rispetto deve suscitare una <b>specifica attenzione all'ambito della verifica della legittimità</b>: occorrerà non solo trovare i titoli edilizi che supportano la costruzione, ma può essere opportuno anche certificare con foto aeree o altri documenti storicamente validi la risalenza dell'edificio a periodi in cui il vincolo non si applicava;</li><li>in ogni caso, attenzione alla progettazione di interventi che sconfinano nella nuova costruzione: tra questi è ammesso solo l'ampliamento fino al 10% delle consistenze preesistenti e legittime. può essere ammessa la demolizione e contestuale ricostruzione, ma solo finché è possibile definirla all'interno della ristrutturazione edilizia;</li><li>può essere opportuno confrontarsi con la ASL territorialmente competente ed acquisire un nulla osta tecnico sanitario quando si interviene, anche con opere modeste, su immobili posti in fascia di rispetto.</li></ul><div>Questi qui sopra sono i miei appunti personali su questo speciale tipo di vincolo, che condivido volentieri con tutti voi. Fatene l'uso che volete - ma se volete estrarne delle parti e pubblicarle, citatemi e linkatemi sempre, ed avvisatemi via email - ma a vostra completa ed esclusiva responsabilità.</div><p></p><p style="text-align: justify;"><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-49397388605564501652023-12-24T19:21:00.004+01:002023-12-24T19:21:37.487+01:00pavimenti permeabili e prescrizioni edilizie<p style="text-align: justify;">Il tema della permeabilità dei suoli sta diventando molto importante nell'edilizia e nell'urbanistica: il continuo consumo di suolo oltre ad erodere aree verdi e togliere spazi alla natura, alle coltivazioni ed alle attività che hanno bisogno di spazi aperti, crea anche il problema della impermeabilità delle superfici. Un pavimento impermeabile convoglia l'acqua piovana verso la fogna invece che verso il terreno: questo crea negli strati profondi degli squilibri idraulici che possono portare a diversi problemi, nel medio e nel lungo periodo. Tuttavia, anche se da come descritta appare essere una cosa molto seria, <b>attualmente in Italia non sembrano esistere norme nazionali specifiche sul tema</b>, a parte qualche regione che, con una sensibilità sul tema forse più spiccata di altre o forse perché nel proprio territorio i fenomeni legati alla permeabilità sono più gravi, ha prodotto delle proprie norme.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ2ArXEWwPbHpJLHnDDiKadHf8S8EV-tSKnJ3Jy6cra5C2ZrouUVOQScIndiyQ9xJnCNtwR5pPQe_Ifc9RV9xvATkNYMcEcNNgAF4_n4OAK1G6q7aMVHXoU3uGT8bYkQ9hWWtTb01hwr7UDJiPa0iyLCmCJjsY7fHVyezxOFd10-r9MpRWMlNAtaEo8VI/s640/rome-6173861_640.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="426" data-original-width="640" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ2ArXEWwPbHpJLHnDDiKadHf8S8EV-tSKnJ3Jy6cra5C2ZrouUVOQScIndiyQ9xJnCNtwR5pPQe_Ifc9RV9xvATkNYMcEcNNgAF4_n4OAK1G6q7aMVHXoU3uGT8bYkQ9hWWtTb01hwr7UDJiPa0iyLCmCJjsY7fHVyezxOFd10-r9MpRWMlNAtaEo8VI/s320/rome-6173861_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/it/photos/rome-italy-tourism-basilica-6173861/" target="_blank">immagine di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;">Si comprende quindi che il tema ha implicazioni vastissime e complesse, e per avere qualche inquadramento in più della questione si può fare riferimento alla <a href="https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/suolo-e-territorio/suolo/il-consumo-di-suolo" target="_blank">pagina ufficiale dedicata dell'ISPRA</a>; quello che interessa sviluppare in questo post però è meno teorico ma più tremendamente pratico, ovvero indagare sulla la connessione tra obbligo di dover garantire una certa quantità di superficie permeabile e <b>le tipologie di intervento edilizio che eventualmente possono far scaturire il relativo obbligo</b>. Il tutto con una focalizzazione particolare sulla regione Lazio e su Roma, rispettivamente la regione ed il comune dove opero prevalentemente come tecnico.</p><p style="text-align: justify;">A livello di legislazione nazionale i riferimenti più diretti alla valutazione della permeabilità dei suoli li possiamo trovare nel d.lgs. 152/2006 norme in materia ambientale, e, con qualche prescrizione specifica, nel nuovo <a href="https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/08/06/22A04307/sg" target="_blank">decreto per i Criteri Ambientali Minimi del 2022</a>. in quest'ultimo documento, al punto 2.3.2 è specificato che nei progetti di nuova edificazione deve essere mantenuto un indice di permeabilità dei suoli di almeno il 60%, escludendo dal calcolo le superfici che, pur essendo permeabili, non consentono alle acque meteoriche di raggiungere la falda se circondate completamente da superfici impermeabili edificate: si può fare l'esempio dei giardini interni ai comprensori. Il decreto CAM, è bene ricordare, si applica agli interventi soggetti al Codice dei Contratti Pubblici, dunque non riguarda il campo dell'edilizia privata, almeno non in modo diretto. Sostanzialmente, da quel che ho potuto appurare, qui si ferma la normativa nazionale in ambito di permeabilità dei suoli.</p><p style="text-align: justify;">Alcune regioni o comuni hanno legiferato in materia o comunque hanno previsto delle specifiche prescrizioni o dei riferimenti alla permeabilità dei suoli, ma non tutte. In quei territori in cui è maggiormente sentito il problema legato alla instabilità dei suoli, quello della permeabilità riveste un fattore cruciale per la sicurezza del territorio e della popolazione: in tali territori è dunque più facile che si siano sviluppate norme specifiche e maggiormente attente al tema, come ad esempio in Piemonte, in Emilia Romagna o anche in singoli comuni come Genova: in particolare, <a href="https://www.urbismap.com/piano/piano-urbanistico-comunale-di-genova#art-14" target="_blank">nel PUC del capoluogo ligure all'art. 14</a> che ho preso solo come esempio sono <b>dettagliate delle indicazioni molto specifiche ed anche complesse su come calcolare la superficie permeabile equivalente</b>. Interessante il passaggio in cui occorre classificare ciascuna superficie in base ad un coefficiente di deflusso che, molto utilmente, indica la quantità teorica di acqua che viene raccolta dal sistema fognario, in funzione del tipo di pavimentazione; è però demandato al progettista di dichiarare da quale fonte ha estratto il coefficiente utilizzato. Secondo dunque le indicazioni del comune di Genova non esiste un rapporto "secco" tra ciò che è verde e ciò che è pavimentato, ma esiste invece un calcolo complesso in cui a ciascuna superficie è attribuita una specifica percentuale di deflusso per cui sostanzialmente quasi tutte le superfici partecipano alla permeabilità, sebbene con apporti differenti. Viene anche imposta, in base a specifiche caratteristiche del progetto, la presenza di una vasca di laminazione, ovvero dei sistemi di raccolta temporanea dell'acqua piovana, per smorzare l'effetto delle "bombe d'acqua".</p><p style="text-align: justify;">Tornando al concetto generale, diventa dunque importante a questo punto <b>capire che cosa effettivamente si intende per superficie impermeabile</b>: il riferimento generale a livello nazionale si trova all'interno delle <a href="https://www.mit.gov.it/sites/default/files/media/notizia/2017-12/ALLEGATO%20A.pdf" target="_blank">definizioni uniformi associate al regolamento edilizio tipo</a>. Queste definizioni sono prescrittive in tutte le regioni che hanno recepito l'accordo stato-regioni relativo appunto alla redazione futura dei regolamenti edilizi, basati sul regolamento-tipo.</p><p style="text-align: justify;">Nell'elenco delle definizioni uniformi sono presenti le seguenti, direttamente relative alle superfici permeabili:</p><p style="text-align: justify;"></p><ul><li>n°9 - <i>superficie permeabile SP</i> - Porzione di superficie territoriale o fondiaria priva di pavimentazione o di
altri manufatti permanenti, entro o fuori terra, che impediscano alle acque
meteoriche di raggiungere naturalmente la falda acquifera.</li><li>n°10 - <i>Indice di permeabilità IPT/IPF</i> - Rapporto tra la superficie permeabile e la superficie territoriale (indice di
permeabilità territoriale) o fondiaria (indice di permeabilità fondiaria).</li></ul><p></p><p style="text-align: justify;">la definizione n°9 è abbastanza chiara ma può essere utile commentarla. Anzitutto, la definizione si riferisce sia alle superfici fondiarie che territoriali: la differenza è chiara, nel primo caso l'indice esprime quanta superficie è permeabile all'interno di un singolo lotto edificabile, mentre nel secondo, ci si riferisce alla superficie di un intera area urbana (o non urbana) magari oggetto di pianificazione urbanistica. la definizione 10 esprime il rapporto tra i due valori. Ovviamente i singoli valori che lo strumento urbanistico deciderà di impartire per superficie fondiaria e territoriale possono essere differenti: generalmente vi è una percentuale più bassa per le aree fondiarie, al fine di consentire maggiore libertà progettuale, mentre quella territoriale sarà più alta, ciò affinché nell'intero settore urbano sia garantita una quantità permeabile minima necessaria, ad esempio prevedendo ampie aree a verde. Tornando alla definizione n°9, il testo prosegue, specificando in modo molto generico cosa si intende per superficie permeabile: si tratta di una porzione di superficie <b>priva di pavimentazioni o altri manufatti, anche entro terra, che siano tali da impedire alle acque meteoriche di raggiungere la falda</b>. Da questa definizione si possono sviluppare alcuni ragionamenti: anzitutto, quello che interessa al legislatore non è tanto il tipo di mattonella usata per la pavimentazione (vedi il concetto sopra richiamato relativo al PUC di Genova ed alle modalità di calcolo delle diverse superfici), ma il fatto che l'acqua che cade su di essa finisca in qualche modo in falda oppure se venga raccolta ed incanalata nelle fognature, oppure in quale proporzione ciò avvenga contestualmente. quello che rende impermeabile la superficie, difatti, è come l'acqua piovana viene raccolta, distribuita ed eventualmente smaltita, ed anche, ovviamente, la tipologia della superficie.</p><p style="text-align: justify;">Roma Capitale si è dotata di una laconica specifica sulla permeabilità dei suoli in occasione delle implementazioni che furono fatte al <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/05/regolamento-edilizio-di-roma-testo.html" target="_blank">regolamento edilizio</a> con la <a href="https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/DCDelib._N_48_del_20.02.2006.pdf" target="_blank">delibera 48/2006</a>, con la quale fu introdotto l'art. 48 quinques che così recita:</p><p style="text-align: justify;"></p><blockquote style="text-align: justify;"><i>I materiali di finitura ed allestimento delle superfici esterne e delle aree di pertinenza
degli edifici dovranno essere idonei ad assicurare, indipendentemente dalle esigenze che
sono destinate a soddisfare, la permeabilità del terreno, anche mediante materiali e
pavimentazioni drenanti, per una superficie non inferiore al 50% della superficie libera
del lotto stesso.</i></blockquote><p></p><p style="text-align: justify;">Tale articolo <b>appare imporsi a prescindere dal tipo di intervento che si intende realizzare su un'area esterna, anche fosse opera di manutenzione ordinaria</b>. Tuttavia, è legittimo dedurre che laddove si interviene su uno spazio allestito prima dell'entrata in vigore della delibera e che non rispetta il parametro, sia possibile continuare a mantenere la percentuale permeabile seppure inferiore al valore indicato, purché non venga ridotta: questa è solo una supposizione di chi scrive e non una interpretazione certa e condivisa.</p><p style="text-align: justify;">La specifica così indicata, però, appare in contrasto con alcuni principi di tutela delle acque: si parla di permeabilità dei suoli "<i>indipendentemente dalle esigenze che sono destinate a soddisfare</i>", il che significa che vale anche per i parcheggi eventualmente ammessi: in tal caso va detto che non è una buona idea far posteggiare le auto su superfici drenanti, perché gli sgocciolamenti d'olio o le eventuali perdite di carburante finirebbero per infiltrarsi facilmente e direttamente nel sottosuolo, raggiungendo la falda, inquinandola.</p><p style="text-align: justify;">L'articolo sarebbe stato sostituito dal nuovo 48/quinques con la delibera 7/2011, <b>sulla quale tuttavia permane il dubbio se questa sia mai divenuta veramente efficace</b> nel modificare il regolamento edilizio, in quanto non è stato reso pubblico - o almeno io non ho trovato tale riferimento - se la Provincia abbia approvato tale variazione (l'approvazione della Provincia è richiesta dalla legge regionale urbanistica, e per la delibera del 2006 è presente; per la delibera del 2011 invece non è stato reso pubblico l'eventuale esito di tale approvazione). Se si conferma che tale delibera non è mai entrata in vigore, allora il testo vigente dell'art. 48 quinques è quello sopra riportato. Laddove invece la delibera del 2011 fosse valida, il nuovo articolo sarebbe il seguente:</p><blockquote style="text-align: justify;"><i><span style="color: #3d85c6;">Negli interventi di nuova costruzione, di ristrutturazione edilizia su interi edifici e di ristrutturazione urbanistica, è obbligatorio l’impiego di pavimentazioni drenanti nelle sistemazioni delle superfici esterne e aree di pertinenza, almeno per il 50% della superficie pavimentata. Qualora la superficie coperta SC sia superiore al 50% della superficie fondiaria SF le prescrizioni del precedente punto dovranno essere estese alla totalità della superficie non coperta. </span></i></blockquote><p style="text-align: justify;">Se l'articolo vigente fosse questo, è intanto importante constatare che l'obbligo è circoscritto ad uno specifico ambito di intervento edilizio, ovvero opere che hanno di partenza una importante invasività sul territorio (nuova costruzione, ristrutturazione edilizia di interi edifici, ristrutturazione urbanistica), l<b>asciando intendere che gli interventi che non rientrano in questa categoria non sono soggetti a tale disciplina</b>. Questo crea per contro un certo "vuoto" perché lascerebbe intendere che chiunque ha un'area esterna abbia la capacità di disporre della superficie permeabile come meglio ritiene, almeno finché l'immobile non è oggetto di opere per cui la disposizione si applica, a valle del quale qualunque futura ulteriore trasformazione sarebbe obbligata a mantenere il rapporto di permeabilità. Tuttavia ne deriverebbe che chiunque sia in possesso di un'area di un edificio edificato prima del 2011 sarebbe libero di modificare la permeabilità del suolo come preferisce, almeno sempre finché non si pongono in essere interventi che fanno scattare l'obbligo normativo.</p><p style="text-align: justify;">Dunque le due disposizioni, quella del 2006 e quella del 2011, appaiono essere radicalmente diverse, con, paradossalmente, quella più recente più permissiva della precedente; per contro, quella del 2006 è estremamente restrittiva e impone obblighi anche solo laddove si pongono in essere lavori anche tecnicamente molto semplici su spazi esterni.</p><p style="text-align: justify;">In entrambe le versioni dell'art. 48 quinques non vi è nessuna specifica di calcolo né nulla di quanto commentato più sopra rispetto al PUC di Genova (che è solo un esempio: vi sono altre amministrazioni in Italia che hanno una regolamentazione simile), ma può essere ammissibile che i parametri contenuti nell'articolo possano essere determinati in modo non semplicemente binario (superficie a verde o non a verde) ma anche funzionale. ad esempio, un vialetto pavimentato posto all'interno di un giardino, potrebbe assimilarsi ad una superficie permeabile, in quanto l'acqua piovana finirebbe comunque nell'area verde circostante; viceversa, delle superfici trattate in modo permeabile ma con tipologie di sistemazioni che non consentono una permeabilità totale, come ad esempio una pavimentazione in ghiaia su un letto di sabbia, potrebbero comunque incidere sulla riduzione della superficie effettiva permeabile.</p><p style="text-align: justify;">Finché non ci saranno chiarimenti o norme maggiormente specifiche emanate da Roma Capitale o dalla Regione Lazio, non posso che consigliare la massima prudenza sia in fase progettuale (verifica del rispetto dei parametri) che in fase realizzativa (verifica che effettivamente vengano messe in atto soluzioni che rispettano il progetto).</p><p style="text-align: justify;">Per informazione, segnalo anche <a href="https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/webinar_S4L_29.3.21_PAU.pdf" target="_blank">queste slide</a> pubblicate sul sito di Roma Capitale e legate ad un evento divulgativo specifico sull'argomento.</p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;">quanto qui scritto è frutto dello studio e della ricerca di informazioni da parte dell'autore, il quale pur garantendo che quanto riportato è stato prodotto con attenzione e con diligenza, non garantisce la perfetta rispondenza a norme o regolamenti locali, declinando fin d'ora qualunque responsabilità. Chi intende utilizzare le informazioni qui contenute può farlo liberamente ma a propria completa e personale responsabilità.</span></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-45494893754785314172023-11-19T18:58:00.006+01:002024-03-11T17:35:20.587+01:00fiscalizzazione dell'abuso edilizio<p style="text-align: justify;">Riguardo al superbonus 110% ho sempre detto che, tra i vari effetti prodotti che sono stati talvolta positivi ma talvolta anche negativi, ve ne è uno che mi ha impressionato per la sua rapida diffusione: mi riferisco al fatto che molti italiani sono stati messi di fronte al fatto che le <b>difformità edilizie</b>, anche detti "abusi", <b>sono molto diffusi e spesso "nascosti"</b>, nel senso che possono annidarsi all'interno di fabbricati e dei quali i proprietari sono del tutto ignari. Tra i vari modi per approcciare al problema delle difformità viene spesso evocata la cosiddetta "<i>fiscalizzazione dell'abuso</i>": dato che di questa procedura sento dire cose giuste ma anche molte cose meno esatte, ho sentito l'esigenza di scrivere questo post specifico per riflettere assieme al lettore sui limiti e le opportunità che offre.</p><span><div><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjB_-ImjVbASEAcrspRCxrG1f4Cy1kccyJMp-R7c3mIaa63eUVGDvtv7_dQ8FYm61kYcui073IXVdQYR2v_BJv_1BrzoyZqo1ECkrVJ8xGEIPNZFyK0uZzlXTJ8uWQu8VYDhAnkfj08-ufeV8SFqKp8cJgfMXxNCaBKLylxZzPygUhkPbjh2jMP7mBADdY/s640/financing-3536755_640.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="640" height="214" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjB_-ImjVbASEAcrspRCxrG1f4Cy1kccyJMp-R7c3mIaa63eUVGDvtv7_dQ8FYm61kYcui073IXVdQYR2v_BJv_1BrzoyZqo1ECkrVJ8xGEIPNZFyK0uZzlXTJ8uWQu8VYDhAnkfj08-ufeV8SFqKp8cJgfMXxNCaBKLylxZzPygUhkPbjh2jMP7mBADdY/s320/financing-3536755_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/it/photos/finanziamento-edilizia-costruire-3536755/" target="_blank">immagine di libero utilizzo da pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><span><br /></span></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;">Il tema oggetto di questo post è stato oggetto di trattazione da parte di chi scrive <a href="https://www.lavoripubblici.it/news/fiscalizzazione-abuso-rapporto-stato-legittimo-detrazioni-fiscali-27144" target="_blank">anche in un post su LavoriPubblici.it del 2021</a>.</div></span><p style="text-align: right;"><span style="font-size: large;"><b>Le difformità edilizie: i mostri spesso nascosti</b></span></p><p style="text-align: left;"><span style="text-align: justify;">Di base, la legislazione italiana di fronte ad una </span><b style="text-align: justify;">difformità edilizia prevede come strada maestra quella della demolizione</b><span style="text-align: justify;">: le regole edilizie servono a garantire non solo che tutti possano usufruire delle risorse pubbliche allo stesso modo, ma anche che tutti possano vivere in edifici sicuri, con il giusto quantitativo di aria e luce, con la giusta distanza dalle costruzioni confinanti, in zone in cui i servizi sono proporzionati agli abitanti insediabili. Dunque un costruttore o un proprietario che realizza delle cubature non previste, o aumenta l'altezza del fabbricato o riduce le distanze, anche semplicemente chiudendo a vetri un balcone o una terrazza, commette un abuso che va ad incidere con le regole comuni che sono state studiate per distribuire in modo equo i diritti e i doveri. Per questi motivi una costruzione che vìola queste regole, come approccio principale deve essere rimossa o riportata allo </span><a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2022/11/la-definizione-di-legittimita-edilizia.html" style="text-align: justify;" target="_blank">stato legittimo</a><span style="text-align: justify;">, mediante demolizione delle porzioni difformi dal progetto. </span></p><p style="text-align: justify;">Una difformità, però, <b>potrebbe non essere tale da causare danno ai principi base dell'urbanistica</b>: ad esempio una finestra spostata, posizionata su una facciata di un edificio la cui sagoma è legittima, facilmente non produce nocumento alle regole di base e quindi potrebbe avere le caratteristiche per ottenere una licenza in "accertamento di conformità", ottenendo un titolo edilizio ora per allora. Delle varie casistiche di abuso in cui si può incorrere vi rimando a <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2013/11/fabbricati-costruiti-in-modo-difforme.html" target="_blank">quest'altro mio post di qualche tempo fa</a>, ma tuttora valido. In questo modo, l'abuso smette di essere tale e lo stato legittimo dell'immobile torna ad essere verificato.</p><p style="text-align: right;"><span style="font-size: large;"><b>le procedure di sanatoria ordinaria e straordinaria</b></span></p><p style="text-align: justify;">prima di scendere nel dettaglio della procedura della fiscalizzazione dell'abuso, può avere senso ripassare brevemente le procedure, passate e presenti, che consentono di gestire le difformità edilizie, ed i relativi limiti e vantaggi:</p><p></p><ul style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;">i <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2012/10/comprare-un-immobile-con-condono-le.html" target="_blank">condoni edilizi</a>, che hanno consentito di presentare delle domande entro ristrette finestre temporali per sanare difformità anche molto gravi. I vantaggi della procedura sono che <b>consente di far diventare legittime delle opere che per le vie ordinarie sarebbero destinate alla demolizione</b>, anche in deroga agli strumenti urbanistici; lo svantaggio è che sono procedure straordinarie per cui se si è presentata la domanda in tempo bene, altrimenti non ci sono ulteriori possibilità. Finora (novembre 2023) di condoni ne sono stati aperti tre: il primo con la L. 47/85, il secondo nel 1993, il terzo nel 2003.</li><li style="text-align: justify;"><b>l'accertamento di conformità</b>, che consente in ogni tempo di sanare gli abusi edilizi o le difformità, ma con il limite della doppia conformità, la quale impone che si possa ottenere la licenza "ora per allora" solo se l'intervento era fattibile all'epoca della sua realizzazione così come sarebbe autorizzabile oggi. sostanzialmente, è una procedura che consente di ottenere una licenza postuma ma solo se l'intervento rispetta tutte le norme urbanistiche, dunque sostanzialmente il responsabile ha "solo" <i>dimenticato </i>di presentare un idoneo titolo edilizio prima di eseguire l'opera. Attualmente l'accertamento di conformità è normato dagli articoli 36 e 37 DPR 380/01 e, in via implicita, anche dall'art. 6 bis. La giurisprudenza sta via via sempre più allargando il concetto di "doppia conformità": se fino a qualche anno fa questa poteva essere circoscritta alle regole urbanistiche, ad oggi è stato stabilito che le verifiche vanno estese anche a tutte le altre norme che hanno incidenza con l'edilizia, come ad esempio le norme sulla sicurezza delle strutture e quelle igienico-sanitarie.</li></ul><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><b>...e se la difformità non è sanabile, ma non è neanche demolibile senza creare problemi alla parte legittima?</b></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Se una difformità non è stata oggetto di condono e non può essere ricondotta all'accertamento di conformità, ha di fronte a sé solo la demolizione.</div><div style="text-align: justify;">Tuttavia, può capitare che la demolizione non sia affatto facile, soprattutto quando si tratta di<b> difformità compenetrate all'interno di più ampi fabbricati </b>nati almeno parzialmente in modo legittimo. Non è raro ad esempio imbattersi in fabbricati civili che sono stati costruiti in base ad un originario titolo edilizio, ma che nella costruzione l'esecutore ha operato con troppa libertà, magari allungando leggermente un fronte o aumentando di qualche decina di centimetri il volume: se queste libertà non possono essere <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/07/dl-semplificazioni-e-nuovo-regime-delle.html" target="_blank">ricondotte alle tolleranze esecutive</a>, si tratta di difformità edilizie, e se hanno comportato ampliamenti di cubatura o di superficie rispetto al progetto, è altamente probabile che non possano essere condotti in accertamento di conformità. Dunque occorrerebbe demolire: ma come si può demolire una porzione di fabbricato compenetrata in modo quasi indivisibile in un edificio che, nel bene e nel male, ha una sua legittimità? a questa domanda risponde proprio la procedura della fiscalizzazione: sostanzialmente, <b>laddove una difformità non può essere rimossa senza creare un pregiudizio alla porzione legittima di fabbricato, la legge consente di convertire in moneta quella che avrebbe dovuto essere la sanzione demolitoria</b>. La procedura è prevista dagli articoli 33 e 34 DPR 380/01, secondo le specifiche disposizioni dei due articoli, le quali in parte finiscono per sovrapporsi in senso pratico.</div><p></p><p style="text-align: justify;">Dato che la norma si evolve in continuazione, trascrivo dal sito www.normattiva.it qui di seguito il testo vigente degli articoli 33 e 34 al momento di scrivere il presente post:</p><div style="text-align: center;">art. 33 </div><div style="text-align: center;"><span face=""Titillium Web", Lato, sans-serif" style="background-color: white; color: #19191a; text-align: center;">Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità</span></div><blockquote><div class="art-comma-div-akn" style="background-attachment: inherit; background-clip: inherit; background-color: white; background-image: inherit; background-origin: inherit; background-position: inherit; background-repeat: inherit; background-size: inherit; box-sizing: border-box; color: #19191a; font-family: "Titillium Web", Lato, sans-serif; padding: 5px; text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;"><span class="comma-num-akn" style="box-sizing: border-box; font-weight: bold;">1. </span><span class="art_text_in_comma" style="box-sizing: border-box;">Gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 10, comma 1, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso, sono rimossi ovvero demoliti e gli edifici sono resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l'ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell'abuso.<br style="box-sizing: border-box;" /></span></span></div><div class="art-comma-div-akn" style="background-attachment: inherit; background-clip: inherit; background-color: white; background-image: inherit; background-origin: inherit; background-position: inherit; background-repeat: inherit; background-size: inherit; box-sizing: border-box; color: #19191a; font-family: "Titillium Web", Lato, sans-serif; padding: 5px; text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;"><span class="comma-num-akn" style="box-sizing: border-box; font-weight: bold;">2. </span><span class="art_text_in_comma" style="box-sizing: border-box;">Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroga una sanzione pecunaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla <a href="https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1978-07-27;392" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #0066cc;" target="_blank">legge 27 luglio 1978, n. 392</a>, e con riferimento all'ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all'applicazione della legge medesima, del parametro relativo all'ubicazione e con l'equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell'articolo 16 della medesima legge. Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione è pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile, determinato a cura dell'agenzia del territorio.<br style="box-sizing: border-box;" /></span></span></div><div class="art-comma-div-akn" style="background-attachment: inherit; background-clip: inherit; background-color: white; background-image: inherit; background-origin: inherit; background-position: inherit; background-repeat: inherit; background-size: inherit; box-sizing: border-box; color: #19191a; font-family: "Titillium Web", Lato, sans-serif; padding: 5px; text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;"><span class="comma-num-akn" style="box-sizing: border-box; font-weight: bold;">3. </span><span class="art_text_in_comma" style="box-sizing: border-box;">Qualora le opere siano state eseguite su immobili vincolati ai sensi del <a href="https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:1999-10-29;490" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #0066cc;" target="_blank">decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490</a> (<i>oggi d.lgs. 42, 2004, ndr</i>), l'amministrazione competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, ordina la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile dell'abuso, indicando criteri e modalità diretti a ricostituire l'originario organismo edilizio, ed irroga una sanzione pecuniaria da 516 euro a 5164 euro.<br style="box-sizing: border-box;" /></span></span></div><div class="art-comma-div-akn" style="background-attachment: inherit; background-clip: inherit; background-color: white; background-image: inherit; background-origin: inherit; background-position: inherit; background-repeat: inherit; background-size: inherit; box-sizing: border-box; color: #19191a; font-family: "Titillium Web", Lato, sans-serif; padding: 5px; text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;"><span class="comma-num-akn" style="box-sizing: border-box; font-weight: bold;">4. </span><span class="art_text_in_comma" style="box-sizing: border-box;">Qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al <a href="https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:ministero.:decreto:1968-04-02;1444" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #0066cc;" target="_blank">decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444</a>, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente.<br style="box-sizing: border-box;" /></span></span></div><div class="art-comma-div-akn" style="background-attachment: inherit; background-clip: inherit; background-color: white; background-image: inherit; background-origin: inherit; background-position: inherit; background-repeat: inherit; background-size: inherit; box-sizing: border-box; color: #19191a; font-family: "Titillium Web", Lato, sans-serif; padding: 5px; text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;"><span class="comma-num-akn" style="box-sizing: border-box; font-weight: bold;">5. </span><span class="art_text_in_comma" style="box-sizing: border-box;">In caso di inerzia, si applica la disposizione di cui all'articolo 31, comma 8.<br style="box-sizing: border-box;" /></span></span></div><div class="art-comma-div-akn" style="background-attachment: inherit; background-clip: inherit; background-color: white; background-image: inherit; background-origin: inherit; background-position: inherit; background-repeat: inherit; background-size: inherit; box-sizing: border-box; color: #19191a; font-family: "Titillium Web", Lato, sans-serif; padding: 5px; text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;"><span class="comma-num-akn" style="box-sizing: border-box; font-weight: bold;">6. </span><span class="art_text_in_comma" style="box-sizing: border-box;">È comunque dovuto il contributo di costruzione di cui agli articoli 16 e 19.<br style="box-sizing: border-box;" /></span></span></div><div class="art-comma-div-akn" style="background-attachment: inherit; background-clip: inherit; background-color: white; background-image: inherit; background-origin: inherit; background-position: inherit; background-repeat: inherit; background-size: inherit; box-sizing: border-box; color: #19191a; font-family: "Titillium Web", Lato, sans-serif; padding: 5px; text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;"><span class="comma-num-akn" style="box-sizing: border-box; font-weight: bold;">6-bis. </span><span class="art_text_in_comma" style="box-sizing: border-box;">Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui <div class="ins-akn" eid="ins_1" style="background-color: revert; box-sizing: border-box; display: inline; font-style: oblique; font-weight: bold;">((all'articolo 23, comma 01))</div>, eseguiti in assenza di segnalazione certificata di inizio attività o in totale difformità dalla stessa.</span></span></div></blockquote><p style="text-align: center;">art 34</p><p style="text-align: center;"><span face=""Titillium Web", Lato, sans-serif" style="background-color: white; color: #19191a;">Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di</span><br style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #19191a; font-family: "Titillium Web", Lato, sans-serif;" /><span face=""Titillium Web", Lato, sans-serif" style="background-color: white; color: #19191a;">costruire</span></p><blockquote><div class="art-comma-div-akn" style="background-attachment: inherit; background-clip: inherit; background-color: white; background-image: inherit; background-origin: inherit; background-position: inherit; background-repeat: inherit; background-size: inherit; box-sizing: border-box; color: #19191a; font-family: "Titillium Web", Lato, sans-serif; padding: 5px;"><div style="background-attachment: inherit; background-clip: inherit; background-color: white; background-image: inherit; background-origin: inherit; background-position: inherit; background-repeat: inherit; background-size: inherit; box-sizing: border-box; color: #19191a; font-family: "Titillium Web", Lato, sans-serif; padding: 5px; text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;"><span class="comma-num-akn" style="box-sizing: border-box; font-weight: bold;">1. </span><span class="art_text_in_comma" style="box-sizing: border-box;">Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio.<br /></span>Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.<br /><span class="comma-num-akn" style="box-sizing: border-box; font-weight: bold;">2. </span><span class="art_text_in_comma" style="box-sizing: border-box;">Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla <a href="https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1978-07-27;392" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #0066cc;" target="_blank">legge 27 luglio 1978, n. 392</a>, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.<br style="box-sizing: border-box;" /></span><span class="comma-num-akn" style="box-sizing: border-box; font-weight: bold;">2-bis. </span><span class="art_text_in_comma" style="box-sizing: border-box;">Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività.</span></span></div></div></blockquote><p style="text-align: justify;">gli articoli 33 e 34 come visto in parte si sovrappongono, per esempio nella modalità di calcolo della fiscalizzazione, ma sono articoli che vanno letti secondo le loro profondissime differenze. Una delle differenze più spiccate è nella presenza di un titolo: mentre l'art. 33 parla espressamente di opere eseguite in difformità o in assenza di permesso, l'art. 34 è invece più preciso e prevede<b> necessariamente che le opere difformi siano state realizzate nella vigenza di un titolo abilitativo</b>: questo lascerebbe presupporre che qualunque intervento edilizio eseguito successivamente alle opere che sono oggetto di titolo edilizio sono da considerarsi come opere a sé stanti, sanzionabili nella loro specificità e non più con riguardo al titolo edilizio che sorregge il fabbricato cui ineriscono. Sono quindi abusi sanzionabili autonomamente ad esempio le verande realizzate in ampliamento su superfici che nascono come balconi o terrazze, e che per tale motivo non possono godere della fiscalizzazione.</p><p style="text-align: justify;">Un elemento che invece accomuna i due articoli è quello delle norme speciali da applicarsi quando l'immobile è oggetto di vincolo derivante dal <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/11/i-vincoli-del-codice-dei-beni-culturali.html" target="_blank">codice dei beni culturali e del paesaggio</a>. Gli articoli 33 e 34 non citano espressamente altre tipologie di vincolo, ma queste sono evocate invece nell'art. 31 comma 3 in cui sono citati tra gli altri quelli delle <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2023/10/aree-protette-attivita-edilizia-ed.html" target="_blank">aree protette</a> o delle zone di <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2018/06/pai-e-vincoli-urbanistici.html" target="_blank">rispetto idrogeologico</a>: l'art. 31 fornisce la definizione di intervento in difformità totale (variazione essenziale) dal titolo edilizio, e quindi finisce per incidere indirettamente anche nella lettura delle disposizioni degli articoli 33 e 34: <u>anche se la norma non è perfettamente chiara perché sembra definire una fattispecie non ulteriore</u>, si è data interpretazione che <b>in caso di vincolo di fatto non possono esistere le "difformità parziali" perché tutte le difformità saranno considerate in totale difformità dal titolo</b>, con la conseguenza che non potranno mai beneficiare del principio della fiscalizzazione. Per gli immobili soggetti a vincoli, dunque, si restringono le possibilità di gestione delle difformità edilizie e si limitano alla demolizione/ripristino oppure alle fattispecie di "sanatoria" degli articoli 36 e 37, con le ulteriori limitazioni imposte dalle norme sul vincolo. Su questa interpretazione si veda ad esempio <a href="https://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20230622/snpen@s30@a2023@n27149@tS.clean.pdf" target="_blank">sentenza Cass. pen. 27149/2023</a> che cita altre sentenze precedenti sulla stessa linea.</p><p style="text-align: justify;">Altro elemento che accomuna le due procedure è la modalità di calcolo dell'obolo da versare, ma questa la vedremo per ultima.</p><p style="text-align: justify;"><b>La differenza tra art. 33 e art. 34 è invece il <i>quando </i>si applica</b>. l'art. 33 è dedicato alle opere di ristrutturazione edilizia, in assenza o difformità del PdC o della SCIA ad esso alternativa: sembra quindi che la norma sia applicabile solo alle casistiche dell'art. 10 comma 1 lett. c), ovvero le opere appunto di ristrutturazione edilizia che possono essere eseguite, a scelta dell'interessato, anche con SCIA alternativa ai sensi dell'art. 23 DPR 380/01. I più acuti potranno quindi lamentarsi del fatto che non esiste una procedura di fiscalizzazione per le opere minori, ovvero quelle autorizzabili in CILA o SCIA ordinaria: questo è vero ma è altrettanto vero che le opere che sono autorizzabili con questi titoli sono tipicamente fattispecie "minori" che più facilmente possono rientrare nelle procedure di accertamento di conformità e che sono quindi anche non soggette alla sanzione della demolizione, che è poi il presupposto primo dell'applicazione della fiscalizzazione. Non sempre in SCIA ricadono opere poco incidenti sull'edilizia, se è vero, come è vero, che in questo titolo oggi è possibile autorizzare anche opere di demolizione e ricostruzione entro specifici presupposti.</p><p style="text-align: justify;">L'art. 34 invece si applica alle opere eseguite in parziale difformità dal titolo edilizio. sono quindi esclusi i casi in cui le opere sono state eseguite in totale assenza o in totale difformità dal permesso di costruire: in ciò l'art. 34 è radicalmente diverso dall'art. 33. nel 33 si è visto che è possibile fiscalizzare anche opere eseguite in totale assenza di titolo, mentre <b>con il 34 deve per forza essere esistito un titolo originario, rispetto al quale l'opera è stata realizzata parzialmente difforme</b>.</p><p style="text-align: justify;">La Legge demanda alle regioni di definire quali siano le opere in totale difformità dal permesso, dalle quali implicitamente derivano quelle in parziale difformità a cui può applicarsi il principio della fiscalizzazione.</p><p style="text-align: right;"><span style="font-size: large;"><b>Chi può attivare la procedura</b></span></p><p style="text-align: justify;">La legge non è del tutto chiara riguardo a chi materialmente da corso alla procedura di fiscalizzazione, ma sembra potersi dire con sufficiente sicurezza che debba essere una iniziativa della pubblica amministrazione, la quale nell'iter sanzionatorio di una difformità, effettua le valutazioni circa l'opportunità di convertire in una sanzione quella che dovrebbe essere una demolizione/ripristino. Tuttavia, alcuni comuni e municipi accolgono richieste di fiscalizzazione che provengono dalla parte privata, cioè direttamente dall'interessato: può non essere sbagliato anche questo approccio anche se in questi casi bisogna avere chiaro in mente che si tratta di una autodenuncia di un abuso a tutti gli effetti, e che se l'ufficio valuta come non applicabile il principio della fiscalizzazione, a quel punto la demolizione diventa un atto vincolato, cioè l'amministrazione non può non procedere.</p><p style="text-align: justify;">Circa il fatto che l'art. 34 sia una procedura attivabile esclusivamente dall'ufficio sembra militare la <a href="https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=201905345&nomeFile=202107857_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">sentenza Consiglio di Stato n°7857/2021</a>. Secondo questa sentenza, anzi, la valutazione circa la fiscalizzazione dell'abuso può essere effettuata solo dopo aver emesso l'ordine di demolizione.</p><p style="text-align: justify;">La fiscalizzazione difatti potrebbe non essere accolta o non ritenuta attuabile da parte dell'ufficio, e ciò può avvenire per diversi motivi dei quali se ne evidenziano alcuni:</p><p style="text-align: justify;"></p><ul><li><b>l'intervento non rientra tra quelli di "parziale difformità"</b> ma sconfina in quelli in difformità totale: si faccia attento riferimento alle definizioni emanate dalla propria regione (il Lazio ha fornito la sua definizione <a href="https://www.consiglio.regione.lazio.it/consiglio-regionale/?vw=leggiregionalidettaglio&id=9078&sv=vigente" target="_blank">all'interno della L. 15/2008 art. 17</a>);</li><li>l'intervento risulta demolibile senza recare pregiudizio alla porzione legittima. Il presupposto di tutto, difatti, è che la difformità sia talmente compenetrata all'interno della struttura dell'edificio che la sua demolizione risulti praticamente impossibile o eccessivamente complessa, tanto da incidere sulla staticità della porzione legittima del fabbricato. Un elemento "aggiunto" posizionato ad esempio semplicemente "poggiato" su una terrazza, tipo una tettoia o un volume in ampliamento chiuso, <b>potrebbe ritenersi di facile rimozione senza pregiudizio alla restante parte del fabbricato</b>: in tal caso si dovrà procedere con la demolizione.</li></ul><p></p><p style="text-align: right;"><span style="font-size: large;"><b>La fiscalizzazione non è una sanatoria</b></span></p><p style="text-align: justify;">è importante sottolineare che negli articoli 33 e 34 non si parla mai di legittimità edilizia derivata dalla procedura di fiscalizzazione. Questo concetto deve essere molto chiaro a chi decide di imbarcarsi in questa strada: non trattandosi di una sanatoria, anche versando le somme dovute, l'immobile non acquista lo stato legittimo. Si ricordi difatti che <b>la procedura è "solo" una conversione in moneta di quella che dovrebbe essere una sanzione demolitoria</b>: sostanzialmente si tratta di compensare lo Stato, ovvero la collettività, della necessità di mantenere in essere una difformità che non può essere rimossa per motivi oggettivi.</p><p style="text-align: justify;">L'immobile, una volta fiscalizzato l'abuso, entra in una sorta di "limbo": non è legittimo, ma non può essere oggetto di sanzioni amministrative perché la procedura sarebbe già stata esaurita con la fiscalizzazione. Nei fatti non sarebbe possibile quindi presentare altre pratiche edilizie sull'immobile vista l'assenza di uno stato legittimo ai sensi dell'art. 9 biso comma 1 bis DPR 380/01, ma alcuni comuni potrebbero ritenere comunque eseguibili degli interventi edilizi purché non riguardanti la parte fiscalizzata. Potrebbero essere ammissibili opere sulla parte fiscalizzata laddove siano finalizzate a portare la conformazione verso uno stato legittimo, ripristinando o compensando le superfici per far sì che l'immobile diventi conforme, ma si presti attenzione al fatto che <u>la norma attualmente non prevede espressamente una fattispecie di opere "conformative"</u> che non siano l'esatto ripristino di precedenti stati di progetto.</p><p style="text-align: justify;">Probabilmente si potrebbe dire che l'immobile fiscalizzato è comunque compravendibile, ma <b>attenzione all'aspetto non secondario dell'agibilità</b>: un immobile con una porzione fiscalizzata, non avendo uno stato urbanistico legittimo, potrebbe non avere i requisiti per essere agibile, in quanto per l'agibilità uno dei presupposti essenziali è, appunto, la legittimità edilizia. La già citata sentenza <a href="https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=201905345&nomeFile=202107857_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">CdS 7857/2021</a> entra nel merito anche di questa delicata questione, pur non affrontandola nei termini suestesi: ci si limita a dire che agibilità e titolo edilizio fanno riferimento a presupposti diversi e potrebbe non ritenersi errata una conformazione in cui esiste una agibilità per un fabbricato che poi si è rivelato difforme. tuttavia, da un lato l'agibilità non è in grado di proiettare alcuna legittimità su un fabbricato che è privo del requisito, in quanto questo aspetto è appannaggio esclusivo del titolo edilizio; viceversa, dato che, invece, per l'agibilità uno dei requisiti è la conformità, si potrebbe ritenere che l'agibilità andrebbe a perdere di efficacia, proprio perché manchevole di uno dei presupposti.</p><p style="text-align: right;"><span style="font-size: large;"><b>Il calcolo della fiscalizzazione</b></span></p><p style="text-align: justify;">La Legge dice abbastanza chiaramente che, in caso in cui l'abuso faccia riferimento a destinazioni non residenziali, <b>si deve fare riferimento al valore venale dell'immobile moltiplicato per due</b>. il valore venale secondo la Legge dovrebbe essere determinato dall'Agenzia delle Entrate (catasto) e non sembrano esserci alternative, ma non è raro imbattersi in calcoli eseguiti dal comune in autonomia: attenzione perché questo approccio potrebbe essere ritenuto illegittimo. Le leggi regionali possono disporre modalità di calcolo differenti: per esempio la Regione Lazio nella sua traduzione locale della norma nazionale ha tolto il riferimento all'Agenzia delle Entrate e dunque si può ritenere che in questa regione il calcolo possa effettivamente essere fatto dal comune o anche dall'istante in autonomia, e verificato dal comune.</p><p style="text-align: justify;">Per le destinazioni residenziali, il criterio di calcolo è quello della ormai non più vigente legge sull'Equo Canone n°392/1978. Questa legge prevedeva un sistema di calcolo del costo di produzione sul quale qui non ci si intende dilungare anche perché in rete si trovano diversi riferimenti di facile consultazione: dal calcolo comunque si ottiene un valore per metro quadro che deve ritenersi essere la base di calcolo. Quello che qui interessa è capire se il valore dell'equo canone, stante il fatto che gli ultimi aggiornamenti ai valori risalgono al 1998, a distanza di 25 anni debbano essere attualizzati ad oggi oppure no. L'art. 33 evoca espressamente il fatto che il valore debba essere attualizzato al momento dell'"esecuzione dell'abuso" e espressamente indica che deve essere versato anche il contributo di cui all'art. 16 (il contributo di costruzione), mentre l'art. 34 non dice nulla riguardo alla rivalutazione né prevede espressamente nulla riguardo al contributo di costruzione.</p><p style="text-align: justify;">La poca giurisprudenza specifica indica che <b>il costo vada comunque attualizzato al momento dell'elevazione della sanzione</b>, perché, altrimenti, il passare del tempo giocherebbe a favore del proprietario o esecutore dell'abuso in quanto con l'evolvere dell'inflazione, più tempo passa e più una somma "fissa" tenderebbe a ridursi di valore, con evidente illogicità in quanto se l'abuso danneggia le regole collettive, la sanzione deve essere proporzionata al danno arrecato al momento in cui viene elevata. Inoltre, essendo la fiscalizzazione una alternativa alla demolizione, ha senso che la sanzione sia proporzionata al valore che verrebbe colpito al momento della sanzione. Una delle sentenze più recenti ed anche più esaustive sull'argomento, e che sposa questa tesi, è a mio parere è <a href="https://www.lexambiente.it/materie/urbanistica/88-giurisprudenza-amministrativa-tar88/17146-urbanistica-articolo-34-tue-e-quantifdicazione-della-sanzione-sostitutiva.html" target="_blank">TAR Sicilia (CT) n°3042/2023</a>. La differenza di calcolo rispetto all'art. 33, che parla espressamente di calcolo della sanzione al momento dell'esecuzione dell'abuso, può essere giustificata dalla differente "entità" degli abusi che vengono gestiti mediante i due articoli 33 e 34.</p><p style="text-align: justify;">Ancora sulla necessità di attualizzare il valore al momento dell'irrogazione della sanzione abbiamo la sentenza <a href="https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=202207232&nomeFile=202303671_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">Consiglio di Stato n°3671/2023</a> da cui è forse più semplice estrarre un passaggio significativo:</p><blockquote><div style="text-align: justify;"><i>Il Collegio, in definitiva, in ossequio al rinvio materiale di cui è fatto oggetto la normativa sull’equo canone ad opera dell’art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, ritiene debbano applicarsi i criteri di attualizzazione contemplati dalla normativa.</i></div><i><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Infatti, diversamente opinando, si perverrebbe alla paradossale e non accettabile conclusione di consentire a colui che ha commesso l’abuso di lucrare effetti vantaggiosi dall’inerzia dell’Amministrazione nel perseguire l’abuso stesso.</i></div></i></blockquote><p style="text-align: justify;">Appare dunque chiaro che in caso di <b>applicazione dell'art. 34 la sanzione calcolata ai sensi della legge sull'equo canone vada attualizzata</b>, mediante rivalutazione ISTAT, ai valori vigenti al momento in cui è elevata la sanzione.</p><p style="text-align: justify;">Sempre sull'aspetto della modalità di calcolo, è intervenuta anche <a href="https://lexambiente.it/index.php/materie/urbanistica/consiglio-di-stato64/urbanistica-determinazione-della-sanzione-pecuniaria-di-cui-allart-33-comma-2-del-tu-edilizia" target="_blank">l'Adunanza Plenaria n°3 del 8 marzo 2024 del Consiglio di Stato</a> che ha ribadito, anche se in diverse forme, quanto già stabilito con la sentenza del 2023. Viene però aggiunta, forse secondariamente, una questione a mio modesto parere fondamentale: l'istanza di fiscalizzazione viene data per "buona" dai giudici, anche se sembra trattarsi di una istanza di parte, cioè una richiesta presentata spontaneamente dal privato interessato. Ciò andrebbe ad avallare la prassi già seguita in alcuni uffici secondo cui la fiscalizzazione viene accolta anche se non scaturente all'interno di un procedimento di disciplina.</p><p style="text-align: justify;">L'Adunanza Plenaria comunque è andata a chiarire, laddove ve ne fosse bisogno, che <b>l'"epoca di realizzazione dell'abuso" è quella in cui l'abuso viene effettivamente eseguito e completato</b>. La nozione può essere stata oggetto di sviamenti interpretativi, in quanto secondo la giurisprudenza civile che rimane ferma, un abuso non smette mai di esserlo finché non viene sanato, anche se è stato "completato" materialmente in un determinato momento. Tuttavia, nel caso di specie, deve prevalere il dato letterale della norma che fa riferimento in effetti al momento in cui l'abuso viene generato.</p><p style="text-align: right;"><span style="font-size: large;"><b>una nota di chi scrive riguardo l'indicizzazione ISTAT</b></span></p><p style="text-align: justify;">Leggendo il testo della sentenza dell'Adnunanza Plenaria sopra citato, quello che ha generato dubbi interpretativi è probabilmente la presenza della espressa necessità di una indicizzazione ISTAT del costo di produzione (locuzione presente in verità solo nell'art. 33 e non anche nel 34): questa indicazione a parere di chi scrive è stata inserita semplicemente perché l'adeguamento ISTAT è già previsto nella procedura di adeguamento del costo di produzione. in vigenza della legge sull'equo canone, ogni anno il Ministero emanava l'aggiornamento del prezzo di produzione, il quale veniva aggiornato semplicemente sulla base del valore ISTAT: quanto contenuto nell'art. 33, dunque, a parere di chi scrive, è semplicemente un richiamo a quel meccanismo di adeguamento. Tale principio è da tenere però disgiunto da quello secondo cui una volta determinato il valore del costo di produzione, questo debba essere attualizzato ad oggi: la fiscalizzazione deve essere una somma attualizzata perché sostanzialmente il non attualizzarla genererebbe un indebito vantaggio a favore di chi possiede l'abuso: se si facesse riferimento al valore "fisso" in una determinata epoca (quella di effettiva realizzazione dell'abuso) il passare del tempo continuerebbe a ridurre in termini relativi il valore. in verità, come anche chiarito da queste ultime sentenze citate, una volta stabilito il "prezzo di produzione", che è funzione dell'epoca di realizzazione dell'abuso, questo prezzo va attualizzato ad oggi. è possibile che anche per determinare il prezzo di produzione occorra applicare l'indice ISTAT: ad esempio per un abuso commesso in ipotesi nel 2004, dato che le tabelle ministeriali dell'equo canone si fermano al 1998, andrà dapprima indicizzato il valore base del 1998 al 2004, e poi ancora attualizzato dal 2004 ad oggi: sono procedimenti di calcolo diversi, il cui totale peraltro finisce sempre per coincidere (attualizzare un prezzo del 1998 ad oggi produce lo stesso valore che fare una indicizzazione dal 1998 al 2004 e poi dal 2004 ad oggi), ma la cosa può aver ingenerato dubbi interpretativi.</p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;">l'argomento è complesso e le casistiche molteplici: chi scrive, che è un tecnico che opera in ambito edilizio ed urbanistico, ha cercato di sintetizzare e chiarificare le molte visioni ed approcci che riguardano questo ambito. Rimane fermo che quanto scritto è frutto dell'esperienza e della valutazione di chi scrive e, pur garantendone la massima affidabilità, non ci si assume alcuna responsabilità riguardo alla veridicità e correttezza di quanto qui sopra affermato.</span></p><p><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-23032227180725812662023-10-28T13:05:00.004+02:002023-10-28T13:06:28.747+02:00aree protette, attività edilizia ed autorizzazione<p style="text-align: justify;">In Italia di vincoli non ne abbiamo pochi: né in termini di estensione territoriale, né in termini di tipologie. Un approfondimento generale sui vincoli in edilizia l'ho affidato al mio (per ora) ultimo libro pubblicato da Maggioli: "<a href="https://www.maggiolieditore.it/progettazione-e-trasformazioni-in-presenza-di-vincoli.html" target="_blank">Progettazione e trasformazioni in presenza di vincoli</a>" ed. 2023. Questo post vuole essere dedicato ad uno dei tanti vincoli in cui possiamo imbatterci come tecnici del settore edilizia ma anche come proprietari: il <b>vincolo del Parco di Area Protetta</b>.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9zsko_1xCuO2cT0QLdqaPmdd1z4AJYje5A000aVk-6eCrWQHS9mX75-dVrVkjW5ZIE5J91sSQBMH1l71yej-lm7932rZkhOsdPjZL-XfRWP4HBMVouvVqPgd19PNxgfotC7YE9vyd1nVl6ByqZEMKJdIWs1AghJRzTO5LfdK0MTGdjBTiqWA3SQUSpk8/s640/mountains-139012_640.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="640" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9zsko_1xCuO2cT0QLdqaPmdd1z4AJYje5A000aVk-6eCrWQHS9mX75-dVrVkjW5ZIE5J91sSQBMH1l71yej-lm7932rZkhOsdPjZL-XfRWP4HBMVouvVqPgd19PNxgfotC7YE9vyd1nVl6ByqZEMKJdIWs1AghJRzTO5LfdK0MTGdjBTiqWA3SQUSpk8/s320/mountains-139012_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/it/photos/montagne-valle-paesaggio-139012/" target="_blank">immagine di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;">Le aree protette sono delle zone di territorio, ma anche di mare, che hanno delle caratteristiche peculiari in tema di biodiversità, particolarità della flora e/o della fauna, situazioni naturalistiche particolarmente singolari, presenza di emergenze archeologiche strutturate e diffuse per le quali si ritiene non sufficiente il vincolo archeologico puntuale, oppure in generale qualunque zona per cui viene deciso un regime di tutela particolarmente rigido ed attento. Dette aree sono appunto definite come protette proprio perché in queste zone si ritiene che <b>le trasformazioni antropiche debbano essere di livello bassissimo</b> o comunque estremamente controllate, in quanto qualunque variazione allo stato dei luoghi potrebbe arrecare un danno irreparabile al particolare assetto del luogo.</p><p style="text-align: justify;">La finalità dell'area protetta è proprio quella del <b>mantenimento dello status quo</b>: si pensi ad esempio alle aree protette marine o alle zone che vengono protette perché è presente un ecosistema particolarissimo e molto delicato, in cui anche solamente far entrare le persone per turismo potrebbe compromettere la conservazione (ad esempio, le grotte che contengono dipinti rupestri che si sono conservati grazie alla presenza di un microclima particolare, dove la sola presenza di persone che respirano ed emettono nel luogo anidride carbonica può compromettere la conservazione andando a variare le percentuali di concentrazione di molecole nell'aria): l'obiettivo della tutela in questo caso è l'interesse collettivo a mantenere fruibili le zone particolari che possono essere oggetto di studio, di ricerche scientifiche o storiche, o a cui si può attingere nel caso in cui sia necessario ricostruire l'evoluzione di un particolare ecosistema; nel caso delle aree archeologiche vaste (ad esempio il Parco dell'Appia Antica a Roma che è un luogo talmente particolare e ricco di storia e di situazioni naturali che sul suo territorio convivono addirittura due parchi sovrapposti, quello <a href="https://www.parcoarcheologicoappiaantica.it/" target="_blank">"nazionale" archeologico</a> e quello a <a href="https://www.parcoappiaantica.it/" target="_blank">"vocazione" più naturalistica istituito dalla Regione Lazio</a>) o delle zone in cui sono presenti particolari situazioni naturalistiche (ad esempio le <a href="https://www.grottepastenacollepardo.it/grotte-di-pastena/" target="_blank">grotte di Pastena</a> all'interno del Parco dei Monti Ausoni nel basso Lazio).</p><p style="text-align: justify;">La parola "parco" non deve difatti trarre in inganno: è vero che nell'immaginario collettivo della nostra quotidianità il parco è spesso lo spazio verde vicino casa con panchine e vialetti (e che spesso è pure vincolato, ma non come area protetta) ma se si riferisce a queste particolari zone è da intendersi come area perimetrata sottoposta a tutela. Per gestire la tutela di queste importanti zone è stata istituita una apposita norma, la <a href="https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1991-12-06;394" target="_blank">Legge Quadro sulle aree protette 6 dicembre 1991 n°394</a>. il fatto che la norma sia del 1991 non deve far pensare che prima di questa data le aree protette non esistessero: semplicemente, prima di questa legge le aree venivano istituite direttamente con apposite leggi nazionali. Il primo parco nazionale ad essere istituito in Italia è stato il <a href="https://www.pngp.it/" target="_blank">Parco Nazionale del Gran Paradiso</a>, istituito con <a href="https://www.mase.gov.it/sites/default/files/archivio/normativa/rdl_03_12_1922_1584_pn_granparadiso.pdf" target="_blank">Regio Decreto 3 dicembre 1922 n°1584</a> (convertito con L. 473/25): dunque precedentemente alla legge quadro i parchi venivano semplicemente gestiti con leggi ad hoc per ciascuna area protetta. La legge quadro ha sostanzialmente ordinato le regole già vigenti e soprattutto dettato norme unitarie per l'istituzione e la gestione dei parchi regionali.</p><p style="text-align: justify;">Data la particolarità di questi parchi, a norma del <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/11/i-vincoli-del-codice-dei-beni-culturali.html" target="_blank">Codice dei beni Culturali e del Paesaggio</a>, su tali aree <b>vige anche un vincolo paesaggistico</b> che scatta in automatico alla presenza della tutela di cui alla legge quadro. Il riferimento nel Codice di ciò è l'art. 142 comma 1 lettere f) e, laddove applicabili, anche i) ed m).</p><p style="text-align: justify;">Fin qui è tutto molto bello e idilliaco, ma il problema, per noi tecnici o per molti proprietari, è che all'interno dei parchi spesso e volentieri sono presenti anche edifici privati utilizzati come abitazioni o anche come sede di uffici o attività produttive. Su questi edifici, che generalmente esistono da prima che venisse istituito il parco (sebbene le norme del parco possano contenere anche disposizioni per la nuova edificazione, perché non necessariamente si tratta di un vincolo di inedificabilità assoluta anche se spesso lo è), vige un particolare regime di tutela di fatto stratificato in due: il Parco in sé, che impone di acquisire una autorizzazione preventiva per ogni tipo di opera edilizia da eseguire sugli immobili, ed il Codice dei Beni Culturali che, come visto nel capoverso precedente, stende anche un vincolo paesaggistico su dette aree. Ovviamente, come la legge di Murphy insegna a noi tecnici ("se qualcosa può essere peggio di come sembra, allora lo sarà"), ciò significa che occorre acquisire due distinte e separate autorizzazioni (parco e paesaggistica) per poter operare su quel fabbricato.</p><p style="text-align: justify;">Il duplice regime di tutela fa si che ciascuna norma si applica per conto suo, dunque non è detto che ciò che è autorizzabile per una lo sia anche per l'altra: naturalmente, difatti (vedi sempre legge di Murphy), in presenza di due norme sullo stesso oggetto, entrambe si applicano in senso restrittivo, dunque si può fare solo ciò che consentono entrambe. Ad esempio le norme dell'art. 142 del Codice tendenzialmente non vietano in assoluto la nuova edificazione o la trasformazione dell'esistente, mentre invece le norme di Piano generalmente sì.</p><p style="text-align: justify;">Mentre le norme sulla tutela del Paesaggio sono tutto sommato univoche per l'intero territorio nazionale (con l'ovvia specificità dei singoli piani territoriali paesistici regionali), <b>le norme del Parco sostanzialmente sono uniche</b> e valgono solo in quell'ambito di tutela. La legge quadro difatti obbliga a che ciascun Parco abbia un suo specifico Piano del Parco, che detta le norme specifiche di tutela ed indica sostanzialmente ciò che si può e ciò che non si può fare (ad esempio, qui le <a href="https://www.gransassolagapark.it/pdf/Piano-Parco/Normativa-Attuazione.pdf" target="_blank">norme di attuazione del Piano del Parco del Gran Sasso</a>). Il Piano del parco è spesso accompagnato anche da una serie di tavole grafiche in cui è indicata non solo la perimetrazione generale del parco ma anche l'eventuale zonizzazione interna (ad esempio, <a href="https://www.gransassolagapark.it/pdf/Piano-Parco/ZONAZIONE.pdf" target="_blank">qui la zonazione del Parco del Gran Sasso</a>: attenzione è un file pesante): il territorio tutelato può difatti essere suddiviso in diversi livelli di attenzione: nel caso, ci sarà la zona a tutela integrale dove praticamente non si può fare nulla e, magari, zone ritenute meno delicate come le zone di promozione economica e sociale in cui il livello di tutela può essere più permissivo e consentire anche trasformazioni edilizie o nuove edificazioni. I parchi possono avere estensioni territoriali davvero vaste (il Parco Nazionale del Gran Sasso si estende per poco meno di 150.000 Ha e quello del Pollino, il più esteso d'Italia, si ferma poco prima di 200.000 Ha, dunque entrambi messi insieme si estendono circa per lo stesso territorio dell'intera Valle D'Aosta) dunque non è immaginabile che siano completamente inedificabili e non è concepibile che possano esistere parchi privi di attività edilizia. </p><p style="text-align: justify;">Ciascun Parco poi ha un suo Ente: di fatto è una pubblica amministrazione a tutti gli effetti che gestisce un bilancio e si occupa del rilascio delle autorizzazioni attraverso un ufficio tecnico interno. E' interessante rilevare che una delle attività non secondarie del parco è quella di valutare ed erogare delle somme in denaro a chi è stato danneggiato dalla fauna presente nel parco: trattandosi di aree protette ed essendo la fauna spesso uno degli ambiti più importanti della tutela, gli animali non possono essere cacciati e, quindi, possono spesso creare danni. Il rilascio degli indennizzi è un modo con cui si cerca di bilanciare il necessario equilibrio tra tutela della fauna ed attività antropiche.</p><p style="text-align: justify;">Dunque tornando all'ambito edilizio è tanto semplice quanto lapidario: ogni trasformazione edilizia, anche minima ed anche se riguarda opere interne, <b>è sempre soggetta al rilascio preventivo dell'autorizzazione dell'Ente Parco</b>. Astrattamente il piano del parco potrebbe dettare norme specifiche e di dettaglio, fino anche ad escludere alcune tipologie di opere dal rilascio dell'autorizzazione: di fatto però nei vari parchi di cui mi è capitato di analizzare le norme, non mi è mai capitato di imbattermi in una specifica di questo tipo. Dunque nei fatti se non è specificato altrimenti, qualunque opera edilizia deve essere preventivamente soggetta ad autorizzazione, fosse anche una semplice ristrutturazione interna.</p><p style="text-align: justify;">Dicevamo che parallelamente vige sempre anche il vincolo paesaggistico: in questo caso, invece, esistono per legge nazionale tutta una ampia fattispecie di opere che sono escluse dall'obbligo di acquisire la preventiva autorizzazione: tali opere sono quelle di cui all'allegato A al <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2017/03/dpr-3117-ed-esenzione.html" target="_blank">DPR 31/2017 relativamente al quale vi rimando al mio post specifico</a>. Dunque <b>è materialmente possibile che un intervento sia escluso dall'autorizzazione paesaggistica ma ciò non significa che lo sia anche da quella dell'Ente Parco, in quanto questa fa riferimento a norme diverse</b> (il Piano del Parco e la Legge Quadro).</p><p style="text-align: justify;">Dopo aver descritto come funzionano i parchi, possiamo calarci nella dura realtà: <b>cosa fare se ci si trova ad operare su un immobile che ha subito delle trasformazioni non autorizzate</b>? ecco, in questo caso la risposta semplice potrebbe essere che si va a chiedere una autorizzazione "ora per allora" o "autorizzazione tardiva" all'Ente Parco; tuttavia, la risposta a questa domanda non è così ovvia come si potrebbe pensare. Da un lato, esistono norme vincolistiche che prevedono espressamente delle procedure di sanatoria, come ad esempio l'art. 167 comma 4 del Codice dei Beni Culturali, per i vincoli paesaggistici; tuttavia, dall'altro lato vi sono anche norme che non espressamente le prevedono, come ad esempio lo stesso Codice dei Beni Culturali per i vincoli della parte II (vincoli monumentali e architettonici). Sul punto vi è giurisprudenza non univoca, anche se ultimamente sembra stia prevalendo la visione secondo cui se la legge non prevede espressamente la possibilità di ottenere autorizzazioni in sanatoria, significa che non la prevede del tutto. Ciò appare non molto logico, soprattutto, a mio modesto modo di vedere, alla luce della chiara disposizione dell'art. 37 comma 2 del DPR 380/01 il quale prevede che in caso di edificio vincolato, facendo riferimento ad una dizione estremamente ampia ("immobili comunque vincolati in base a leggi statali o regionali") tra cui appare potersi ricomprendere anche la Legge Quadro, la sanatoria può essere rilasciata dal Comune dopo che questi abbia interpellato l'ente preposto alla tutela del vincolo. Tale disposizione appare chiara ed applicabile a prescindere dal tipo di vincolo, dunque la norma che consentirebbe la sanatoria di opere in zona vincolata è questa, senza la necessità che la singola legge debba espressamente prevedere la possibilità di accertamento di conformità, almeno finché si ha a che fare con difformità che ricadono in art. 37. La norma sul paesaggio di cui all'art. 167 poc'anzi citato, difatti, è presente perché lì il legislatore ha ritenuto di voler restringere il campo attorno alle sanatorie, vietando di fatto tutte quelle che hanno comportato aumento di volume.</p><p style="text-align: justify;">Ad ogni modo, occorre naturalmente tenere presente dell'orientamento della giurisprudenza sulla effettiva impossibilità di ottenere autorizzazioni di Ente Parco "in sanatoria" a cui per esempio la Regione Lazio ha deciso di allinearsi con <a href="https://www.regione.lazio.it/enti/urbanistica/pareri/618" target="_blank">questo parere rilasciato ad agosto 2023</a> in cui sono presenti i riferimenti alla principale giurisprudenza che guida verso questa prospettiva.</p><p style="text-align: justify;">Attenzione dunque ad eseguire opere in assenza della prescritta autorizzazione perché attualmente l'unico modo per risolvere la situazione potrebbe essere quella del ripristino del precedente stato dei luoghi ma, anche qui, attenzione anche all'aspetto relativo al fatto che tecnicamente non sarebbe possibile ottenere autorizzazioni edilizie su preesistenze illegittime, dunque potrebbe anche ritenersi che non sia ammissibile nemmeno il ripristino: <b>di fatto si finisce in un limbo da cui non si esce</b>. Suggerisco quindi immensa attenzione anche ad acquistare (o vendere, naturalmente) immobili che si trovano in aree tutelate e procedere solo dopo essersi affidati ad un tecnico a cui far fare una attenta Due Diligence.</p><p style="text-align: justify;"><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-20564585981985242242023-08-30T19:08:00.003+02:002023-08-30T19:08:53.251+02:00barriere architettoniche e vincoli in silenzio-assenso<p style="text-align: justify;"> In questo blog si è spesso parlato di vincoli, tema a me caro ed anche oggetto specifico della <a href="https://www.maggiolieditore.it/progettazione-e-trasformazioni-in-presenza-di-vincoli.html" target="_blank">mia quarta fatica letteraria</a>. Ogni volta che si è parlato di vincoli derivanti dal Codice dei Beni Culturali ho sempre avuto premura di specificare un'importante aspetto delle procedure di autorizzazione sia paesaggistica che monumentale, che è l'aspetto relativo al fatto che <b>le domande di autorizzazione non maturano mai il silenzio-assenso.</b> In sostanza, finché l'ente preposto alla tutela non si esprime per iscritto, l'autorizzazione non può mai intendersi rilasciata, nemmeno una volta trascorsi i termini perentori che pure la legge prevede. Ma, come spesso accade, c'è sempre l'eccezione.</p><span><a name='more'></a></span><p style="text-align: justify;">L'eccezione nel caso dei vincoli del Codice dei Beni Culturali si trova nella legge che regolamenta le procedure per <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/07/ristrutturazioni-e-barriere.html" target="_blank">l'abbattimento delle barriere architettoniche</a>: nella L. 9 gennaio 1989 n°13 agli articoli 4 e 5 sono contenute delle s<b>peciali disposizioni nel caso in cui gli immobili oggetto di interventi di abbattimento barriere ricadano in edifici oggetto di provvedimenti di tutela</b>.</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfdCg9AWZ55910nzwuiZ4EwGFoF6-wS-Ocn0wurjMGTxxiYJSj7H_Uc1iwE77tHpLlBKrq7yacHmEQDzlZeHyU0hG8GWp_Hq4At27ggdWmDFxKSmVqSp3CRq1IBmUWxT5KcvijMz4aqB6OTFzc0uBfV7XINdNLwLwwyUEhuxsDIyQDH603JYqvlPubLas/s640/colosseum-2030639_640.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="640" height="214" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfdCg9AWZ55910nzwuiZ4EwGFoF6-wS-Ocn0wurjMGTxxiYJSj7H_Uc1iwE77tHpLlBKrq7yacHmEQDzlZeHyU0hG8GWp_Hq4At27ggdWmDFxKSmVqSp3CRq1IBmUWxT5KcvijMz4aqB6OTFzc0uBfV7XINdNLwLwwyUEhuxsDIyQDH603JYqvlPubLas/s320/colosseum-2030639_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/it/photos/colosseo-roma-italia-antica-roma-2030639/" target="_blank">Immagine di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;">Gli articoli sono distinti perché all'epoca in cui fu promulgata la legge, le norme che tutelavano i vincoli paesaggistici e quelli storico-monumentali erano distinte e separate: la L. 29 giugno 1939 n°1497 gestiva i vincoli paesaggistici, mentre la L. 1 giugno 1939 n°1089 gestiva i vincoli diretti o storico-monumentali. Oggi queste due disposizioni si trovano nell'unico riferimento normativo del <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/11/i-vincoli-del-codice-dei-beni-culturali.html" target="_blank">Codice dei Beni Culturali d.lgs. 22 gennaio 2004 n°42</a> ma anche all'interno di questo provvedimento le discipline relative alle due tipologie di vincoli rimangono distinte: la parte II del Codice si occupa dei beni monumentali, mentre la parte III si occupa dei vincoli paesaggistici. Si presti attenzione al fatto che le discipline rimangono distinte e con procedure nettamente separate, anche se sotto lo stesso tetto normativo.</p><p style="text-align: justify;">In sostanza, secondo il Codice dei Beni culturali (d.lgs. 42/04) così come le precedenti (leggi del 1939), prima di dare corso ad opere di trasformazione su immobili interessati da vincoli paesaggistici e/o architettonico-monumentali è <b>necessario acquisire una specifica autorizzazione</b>, rilasciata dagli enti preposti alla tutela dello specifico vincolo (tipicamente, ma non necessariamente, detti enti sono le Soprintendenze per i vincoli diretti monumentali - parte II del Codice - e le regioni per i vincoli paesaggistici - parte III del Codice).</p><p style="text-align: justify;">Come accennato, ciò che contraddistingue entrambe le procedure di rilascio autorizzazioni sia paesaggistiche che monumentali è il fatto che <b>sono procedure che non hanno il meccanismo del silenzio-assenso</b>: il cittadino deve sempre attendere il rilascio dell'atto da parte dell'ente tutore, anche se le leggi prevedono dei termini perentori entro cui si dovrebbe provvedere all'istruttoria amministrativa. Sul punto vi è cospicua giurisprudenza.</p><p style="text-align: justify;">La specialità delle disposizioni della L. 13/89 risiede nel fatto che in effetti introduce un regime speciale derogatorio secondo cui se sugli immobili vincolati sono in progetto <b>opere finalizzate specificamente all'abbattimento delle barriere architettoniche, su dette richieste si applica, in deroga, il principio del silenzio-assenso</b>. Ciò non è illogico: la ratio del Codice dei Beni Culturali circa il non consentire la maturazione del silenzio-assenso su progetti che prevedono trasformazioni su immobili vincolati risiede nel fatto che lo Stato ritiene che l'interesse pubblico alla conservazione del bene sia al di sopra del diritto del privato cittadino di utilizzare e trasformare lo stesso bene a proprio piacere; tuttavia, nel caso di opere finalizzate all'abbattimento delle barriere architettoniche non si tratta di attività voluttuarie ma di opere necessarie ad eliminare quelle che <b>possono rappresentare delle vere e proprie barriere sociali</b> per chi è affetto da specifiche limitazioni alle possibilità di movimento o di percezione. Il legislatore che ha prodotto la L. 13 dunque ha ritenuto che l'interesse pubblico alla equiparazione dei cittadini in termini di diritti e di possibilità sia quantomeno pari a quello che tutela la bellezza dei beni vincolati: dato che, comunque, si tratta di due interessi pubblici parimenti importanti, la legge non "annulla" la necessità del rilascio dell'autorizzazione, ma la confina all'interno di una specifica tempistica trascorsa la quale l'ente tutore del vincolo perde il potere di esprimersi. Si tratta dunque di un abile meccanismo finalizzato al livellamento del peso di distinti interessi pubblici.</p><p style="text-align: justify;">In dettaglio, l'art. 4 della L. 13/89 specifica che vanno in silenzio-assenso le istanze di autorizzazione paesaggistica dopo 90 giorni dal deposito, e che l'eventuale diniego disposto entro i termini deve essere ben motivato e con chiara indicazione degli elementi che contrastano con i principi di tutela. essendo la norma del 1989 non tiene conto del fatto che attualmente esistono due procedure di autorizzazione paesaggistica: una semplificata, in cui l'ente avrebbe 60 giorni di tempo per esprimere l'atto, ed una ordinaria, in cui il tempo è espanso a 120 giorni. Si ritiene che in entrambi i casi, nell'ipotesi in cui si presenti un progetto per abbattimento barriere, valgano i 90 giorni per la maturazione del silenzio-assenso.</p><p style="text-align: justify;">l'art. 5 ha il medesimo tenore dell'art. 4 ma è dedicato agli edifici oggetto di vincolo monumentale: l'unica concreta differenza con l'art. 4 è che in questo caso il termine del silenzio-assenso matura dopo 120 giorni.</p><p style="text-align: justify;">Mi sento di dover specificare che <b>il principio del silenzio-assenso, per logica, può essere applicato a progetti che hanno esclusivo oggetto opere di abbattimento barriere architettoniche</b> ed eventuali opere che hanno strettissima rilevanza: un più ampio progetto che prevede vari interventi tra cui solo alcuni sono effettivamente finalizzati all'abbattimento barriere può non essere ritenuto soggetto allo speciale regime di "favore". nel caso di una ristrutturazione complessa in cui sia necessario procedere in via prioritaria alla realizzazione delle opere di abbattimento delle barriere architettoniche può essere opportuno presentare progetti separati, di cui uno limitato alle sole opere di cui alla L. 13/89. Suggerisco nel caso anche di dare ampia descrizione della fattispecie in una specifica relazione tecnica.</p><p style="text-align: justify;">Nel merito, è interessante analizzare la <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_rm&nrg=202305600&nomeFile=202312445_01.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">sentenza TAR Lazio n°12445 del 24 luglio 2023</a> (di cui se ne è parlato anche su <a href="https://www.lavoripubblici.it/news/ascensori-parere-soprintendenza-tar-silenzio-assenso-31637" target="_blank">LavoriPubblici.it</a> dove ho appreso di questa sentenza) dove viene trattato un caso di un diniego tardivo rilasciato per un progetto che prevede la realizzazione di un ascensore interno ad un cortile di un edificio oggetto di vincolo diretto. Peraltro, il fatto si svolge proprio nella città di Roma. La sentenza è favorevole al cittadino, nel senso che il TAR riconosce che trascorsi i 120 giorni la Soprintendenza perde il diritto di denegare il progetto, il quale deve ritenersi autorizzato una volta trascorso il termine.</p><p style="text-align: justify;">Un altro aspetto interessante di questa sentenza è anche quello relativo alle tempistiche da prendere in considerazione per la maturazione dei termini: la domanda viene presentata il 6 settembre 2022 (con ogni probabilità via PEC, come da disposizioni specifiche della Soprintendenza di Roma) ma viene protocollata il 12 settembre successivo: il TAR indica che la data a cui fare riferimento è quella dell'invio da parte del richiedente, e non quella di protocollo. il fatto dunque che l'ufficio abbia un protocollo differito rispetto all'invio effettivo dell'atto non sortisce effetto, anche perché in effetti è un qualcosa su cui il cittadino non ha nessuna possibilità di intervento. Nel caso in esame questo è un aspetto dirimente perché l'ufficio emetterà il suo atto di diniego esattamente allo scadere del 120° giorno dal 6 settembre 2022, dunque se il termine si fosse computato dal 12 settembre sarebbe stato nei termini. Dunque è essenziale poter dimostrare a posteriori la data di effettivo invio della PEC.</p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-27853376645258390162023-02-12T22:55:00.000+01:002023-02-12T22:55:05.537+01:00murales e titoli abilitativi<p style="text-align: justify;">La cosiddetta <i>street art</i> è un fenomeno di lungo corso, forse nato assieme a quei primi aggregati che l'umanità chiamerà poi città: si tratta di segni grafici eseguiti sulle pareti degli edifici e che possono essere dei loghi, dei testi o dei veri e propri dipinti, finalizzati a manifestare le esigenze più disparate, dalla protesta civile o alla comunicazione di base, passando per la vera e propria arte, senza tralasciare, anche, il vandalismo fine a sé stesso. Ultimamente, complice anche un <b>panorama urbano</b> che - va detto - <b>sta andando a grandi passi verso stati di degrado preoccupanti</b>, si vede sempre più spesso il fiorire di dipinti murali atti ad impreziosire facciate anonime se non proprio interi edifici abbandonati o pesantemente degradati. In questo post non mi metterò a disquisire dell'effettiva capacità di questi disegni di incidere sulla qualità urbana ma, come spesso in questo blog, quel che mi interessa è l'aspetto tristemente burocratico della faccenda: realizzare un dipinto murale, o murales che dir si voglia, comporta l'acquisizione di un titolo abilitativo?</p><span><a name='more'></a></span><p style="text-align: justify;">A me piace arrivare subito al dunque e, quindi, la risposta - a mio parere - è sì: <b>serve acquisire un idoneo titolo abilitativo per eseguire un dipinto murale</b>. Questo perché, seguendo un principio che io ritengo condivisibile, un opera d'arte che può essere anche di grandi dimensioni va a modificare l'estetica di un fabbricato (è questo il suo scopo, alla fine) e, dunque, non vi sono molte possibilità di far passare tale opera nelle definizioni di attività edilizia libera: queste, ad oggi abbastanza ben definite dal <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2018/02/glossario-unico-edilizia-libera.html" target="_blank">Glossario Unico dell'Edilizia Liber</a>a, indicano che le opere di tinteggiatura delle facciate possono essere classificate libere da titoli abilitativi finché vanno a "rinnovare" gli elementi esistenti, senza apportare innovazioni radicali.</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_MPv3BjEUhlbcALZSULD_af1rEIQUiPb_UnGrhTjQMXE1AvOE6m9FcGaI5qmzdtDRJny9htiwUSEX_UDdjJSIHRxgunf0q8lj-m6DWmddx-sHnZF0gVcn8m0gZqA3MFAWyiklbgYWA0HivY8yxqbwmykF3gRl4NdZ7xeEU6F8Fc5P5lehHeWiaHHG/s640/murals-g990bbaf56_640.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="640" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_MPv3BjEUhlbcALZSULD_af1rEIQUiPb_UnGrhTjQMXE1AvOE6m9FcGaI5qmzdtDRJny9htiwUSEX_UDdjJSIHRxgunf0q8lj-m6DWmddx-sHnZF0gVcn8m0gZqA3MFAWyiklbgYWA0HivY8yxqbwmykF3gRl4NdZ7xeEU6F8Fc5P5lehHeWiaHHG/s320/murals-g990bbaf56_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/it/photos/murales-art-muro-colore-colori-3623199/" target="_blank">immagine di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;">Questa è l'interpretazione che si può dare della faccenda, anche alla luce della <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=202109768&nomeFile=202301289_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">sentenza Consiglio di Stato, sez. VI n°1289/2023</a>. In questa pronuncia, dopo ampia disamina, viene non solo indicato che un <b>dipinto murale non può appunto essere classificato di edilizia libera</b> (e, quindi, è soggetto ad idoneo titolo abilitativo), ma vengono anche affrontati altri temi che, per i lettori di questo blog, dovrebbero suscitare interesse.</p><p style="text-align: justify;">La vicenda in cui viene emessa la sentenza sopra citata ha luogo nel <b>centro storico di Napoli</b>, e, cercando di capire la questione barcamenandosi tra le informazioni contenute nel dispositivo, ci si dovrebbe trovare nelle "unità edilizie di base preottocentesche" definite all'art. 69 delle NTA del PRG vigente, secondo la variante del 2004. Dovremmo essere nei quartieri Spagnoli o un tessuto storicamente similare. La questione nasce attorno ad un murales effettuato in assenza di titoli, su una parete esterna di un fabbricato condominiale la quale sembra essere immediatamente prospiciente il suolo pubblico: <b>l'amministrazione comunale contesta appunto l'abusività dell'oggetto ed emette una ordinanza di ripristino</b>. Il condominio sul cui muro è stato eseguito il disegno presenta due CILA "in sanatoria", le quali vengono respinte entrambe dal Comune con motivazioni leggermente diverse tra le due. Il Condominio, quindi, ricorre al TAR per annullare i procedimenti comunali di inibizione, ma il giudice locale da ragione al Comune, e così farà, anche se con motivazioni leggermente differenti, anche il giudice di secondo grado di cui alla sentenza citata.</p><p style="text-align: justify;">Negli atti di causa vengono citati dei documenti emessi, in quanto tirata in causa, dalla locale Soprintendenza, attraverso i quali viene specificato che l'ambito in cui è stato eseguito l'intervento non è interessato da vincoli, <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/11/i-vincoli-del-codice-dei-beni-culturali.html" target="_blank">né della parte seconda, né della</a> <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/11/i-vincoli-del-codice-dei-beni-culturali.html" target="_blank">parte terza del Codice</a>: vengono fatte salve le specifiche procedure che il <a href="https://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1044" target="_blank">PRG di Napoli</a> prevede all'art. 58 delle norme tecniche di attuazione, ovvero un sistema di autorizzazioni in caso di specifici interventi che possono riguardare edifici di interesse archeologico anche se non puntualmente vincolati, un po' come avviene anche nel PRG di Roma anche se con modalità diverse (mi riferisco al <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2013/07/il-protocollo-dintesa-sbap-comune-di.html" target="_blank">protocollo d'intesa tra SSABAP e Roma Capitale del 2009</a> ed al <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2019/03/scavi-prg-roma-e-soprintendenza.html" target="_blank">generico obbligo di comunicare alla Soprintendenza archeologica ogni lavoro che preveda escavazioni sull'intero territorio comunale</a>).</p><p style="text-align: justify;">Entrambi i livelli di giudizio confermano la correttezza dell'operato comunale, il quale annulla le due CILA in parte per assenza di atti prodromici (che, forse, nel caso di specie effettivamente potevano non essere richiesti, come dirà la stessa Soprintendenza), in parte per diretta violazione dell'art. 69 delle norme tecniche di attuazione del PRG: in questo articolo del piano regolatore partenopeo in effetti è specificato che gli interventi ammessi sono <b>esclusivamente quelli di conservazione degli assetti originari o opere volte al ripristino di precedenti edilizi ed estetici</b>. Dunque il comune evoca una incompatibilità tra l'intervento del dipinto murale in generale, e la specifica disciplina di tessuto che si applica al caso di specie. Per questi motivi le CILA vengono bocciate entrambe, ed il giudice amministrativo in entrambi i gradi conferma questa visione, condivisibile o meno che sia (la Soprintendenza, sempre nei suoi atti citati, ad un certo punto sembra affermare che per lei l'opera sarebbe pure assentibile, ma sostanzialmente non si pronuncia perché non ha competenza per farlo). I ricorrenti hanno provato ad argomentare riguardo alla assentibilità di un dipinto murale come opera non in contrasto con l'art. 69, ma i giudici non si sono fatti persuadere dalle argomentazioni. Dalla vicenda rimane la sensazione dell'esistenza di un campo vuoto all'interno del quale vi sarebbe da argomentare riguardo a dove finisce il ripristino e la valorizzazione e dove comincia l'intervento innovativo che non sarebbe ammesso dal piano regolatore (perché non è comunque sensato che siano vietate a prescindere le innovazioni): qui si percepisce più che altro la mancanza di una figura (pubblica) atta a valutare la qualità e, quindi, la compatibilità dell'intervento con il contesto (che potrebbe essere la stessa Soprintendenza se il PRG lo volesse, o altro ente all'uopo istituito).</p><p style="text-align: justify;">La disamina potrebbe finire qui, concludendo semplicemente che la CILA poteva essere lo strumento idoneo per autorizzare questo murales ma che nel caso di specie l'intervento era comunque in contrasto con il PRG locale, o almeno così è stato ritenuto. Ma tra le righe della sentenza emerge un tema di non secondaria importanza, evocato dal primo giudice ma tralasciato (o, tacitamente negato) dal secondo: il tema è quello del <b>se le strade o piazze pubbliche</b>, e le relative facciate che vi si affacciano o che vi prospettano, <b>debbano essere considerate vincolate</b> ai sensi della <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/11/i-vincoli-del-codice-dei-beni-culturali.html" target="_blank">parte II del Codice</a> per il sol fatto di essere <b>beni pubblici con più di settanta anni di età</b> (ed anche perché sarebbero espressamente elencate all'art. 10 comma 4 lett. g) del Codice). Il TAR evoca che ai sensi di tale norma, il contesto sarebbe comunque vincolato e, dunque, vi è comunque mancanza dell'autorizzazione; il Consiglio di Stato, invece, valorizza le espressioni della Soprintendenza nel senso di indicare la non assoggettabilità a vincolo (in effetti, la indicazione del TAR sarebbe stata contrapposta alle affermazioni della Soprintendenza) e quindi tralascia di scendere nel dettaglio. Peccato, perché poteva essere l'occasione per dire una parola definitiva su questa questione che, sebbene di striscio, <b>aleggia di fatto su tutti gli interventi eseguiti sulle facciate degli edifici che prospettano su strade</b>, piazze e vie realizzate più di settanta anni prima.</p><p style="text-align: justify;">Dato che chi mi legge è spesso anche lui di Roma, proviamo a traslare questa vicenda nel PRG romano e vediamo se si potrebbe incappare nello stesso problema. Da noi le regole di tessuto declinano le tipologie di intervento intese come definizioni generali, senza (quasi) mai entrare troppo nel dettaglio di cosa è assentito e cosa no. in generale, gli interventi di <i>manutenzione ordinaria, straordinaria e risanamento conservativo</i> sono sempre ammessi e potendosi attribuire il dipinto murale in una delle due ultime definizioni citate, potrebbe sembrare che detto intervento sia sempre ammesso. Tuttavia, così non è, in quanto <b>Roma si è dotata di due sistemi di valutazione dei progetti di intervento di rilevanza esterna</b> in talune zone: uno è il già citato protocollo d'intesa del 2009, il quale stabilisce che la Soprintendenza locale (SSABAP Roma) debba pronunciarsi su ogni opera che ha una qualche incidenza sull'estetica esterna degli edifici, ed una modifica cromatica certamente lo è. Il protocollo ha validità all'interno della cerchia aureliana, dunque tutto il centro storico inteso storicamente come tale. Al di fuori di tale ambito, si può ricadere nelle aree individuate nella <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2016/05/carta-per-la-qualita-istruzioni-per-luso.html" target="_blank">Carta per la Qualità</a>, dove pure vi è un sistema di controllo preventivo della qualità dei progetti, da sottoporre ad un ufficio apposito, la Sovrintendenza Capitolina: in questo strumento non si parla di tessuti ma proprio di zone o edifici "attenzionati" e la perimetrazione può ricadere indistintamente su qualunque tessuto urbano ritenuto meritevole di una preventiva validazione. In questi ambiti a parere del sottoscritto, ed alla luce delle considerazioni ispirate dalla sentenza di cui sopra, il <i>murales </i>dovrebbe essere preventivamente oggetto di valutazione da parte di questi organi, e poi autorizzato con CILA. Si ritiene non vi siano i presupposti per dire che con un dipinto murale si possa sconfinare in ristrutturazione edilizia, ma chissà?</p><p style="text-align: justify;">quanto qui riportato è il frutto di valutazioni personali dell'autore: pur garantendo la massima affidabilità, non si risponde di danni derivanti dall'utilizzo dei dati e delle nozioni riportate.</p><p><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-3887550033539253862022-11-05T12:38:00.003+01:002023-10-26T11:59:57.451+02:00la definizione di legittimità edilizia<p style="text-align: justify;">La <b>legittimità edilizia</b> è un concetto astratto riferito al rapporto tra il progetto di un edificio ed il suo effettivo stato al costruito. Ogni edificio viene realizzato sulla base di un progetto, che viene depositato in Comune e per il quale viene rilasciata l'autorizzazione a costruire (oggi chiamato Permesso di Costruire, in passato si è chiamata anche Concessione Edilizia o Licenza edilizia): si ha conformità edilizia, o stato legittimo verificato, quando la costruzione è perfettamente coerente con il progetto depositato.</p><span><a name='more'></a></span><p style="text-align: justify;">Purtroppo, nella realtà, questa corrispondenza non è sempre presente, per i motivi più disparati tra cui: una <b>effettiva complessità del processo costruttivo edilizio</b>, che può portare ad apportare delle modifiche in corso d'opera anche per adeguamento a materiali specifici o soluzioni tecniche complesse; errori in corso d'opera, non rimediabili, o incomprensione tra progettista ed esecutore di cui non ci si rende subito conto; deliberata volontà del costruttore di realizzare cose diverse da quanto progettato, senza provvedere ad autorizzare le differenze "in corso d'opera". La Legge riconosce in qualche modo il primo motivo di difformità tra quelli qui sopra elencati, tanto è che prevede espressamente una certa <b>tolleranza costruttiva</b> (il famoso 2% delle misure progettuali: <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/07/dl-semplificazioni-e-nuovo-regime-delle.html" target="_blank">ne ho parlato più compiutamente in altro post</a>), all'interno della quale non si ha mai difformità edilizia. Se un edificio è difforme dal progetto e non si possono invocare le tolleranze esecutive, si parla di non conformità edilizia o mancata verifica della legittimità edilizia o, più volgarmente, di abuso edilizio.</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjC2k7nxpbnZHrAmCXkVPg6swyak5R2AXHljcW18hg8GM6tlCGxc2pH5ELhY1mBjmrWX8tIaglZO2zsXgi6ZLvzVoeoUhtyU6sUzGTCYQknQusIEbu1njMmrDlf4Qdlj4CTA2XWcMSbJBLEo8C_QWyu7UciwE3CZ8stImPNObsTVyeQ2h295t9FDHOe/s1304/esempio%20difformita.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1304" data-original-width="1032" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjC2k7nxpbnZHrAmCXkVPg6swyak5R2AXHljcW18hg8GM6tlCGxc2pH5ELhY1mBjmrWX8tIaglZO2zsXgi6ZLvzVoeoUhtyU6sUzGTCYQknQusIEbu1njMmrDlf4Qdlj4CTA2XWcMSbJBLEo8C_QWyu7UciwE3CZ8stImPNObsTVyeQ2h295t9FDHOe/s320/esempio%20difformita.jpg" width="253" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">disegno a mano dell'autore con rappresentazione di fantasia di un possibile caso tipico di difformità tra stato di progetto autorizzato (in colore scuro) e stato rilevato (in rosso): il punto A individua una difformità consistente in ampliamento di volume (il muro reale è spostato più all'esterno di quello di progetto) e di spostamento di finestra; il punto B individua una diversa profilatura del balcone.</span></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;">una difformità edilizia, quindi una mancata legittimità edilizia, crea una serie di potenziali problemi tra cui: </p><p style="text-align: justify;"></p><ol><li>impossibilità o forte difficoltà a vendere l'immobile, <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2013/11/fabbricati-costruiti-in-modo-difforme.html" target="_blank">a seconda della "gravità" della difformit</a>à;</li><li><a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2018/05/cila-e-verifica-della-legittimita-della.html" target="_blank">mancata possibilità di presentare nuovi titoli abilitativi</a>, necessari ad esempio per fare nuovi lavori sull'immobile;</li><li>impossibilità ad ottenere l'agibilità dei locali. L'agibilità è necessaria per poter utilizzare l'immobile, <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2018/12/attivita-commerciali-ed-agibilita.html" target="_blank">come ad esempio i locali commerciali</a> ma anche le abitazioni.</li></ol>Il concetto di legittimità edilizia <b>per molti anni è stato assente dalla legislazione italiana</b>, ma è stato circoscritto nel corso del tempo dalla giurisprudenza e quindi anche dalla prassi. In taluni casi, il concetto era specificato negli atti regolamentari dei comuni (ad esempio i regolamenti edilizi) ma in effetti mancava una specifica definizione normativa. Questo vuoto è stato colmato con il decreto semplificazioni 2020, mediante il quale è stato introdotto nel DPR 380/01, testo unico dell'edilizia, l'art. 9 bis comma 1 bis, <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/07/dl-semplificazioni-2020-valutazioni.html" target="_blank">contenente appunto la definizione ufficiale ed univoca di legittimità edilizia</a>.<p></p><p style="text-align: justify;">L'introduzione della definizione a livello legislativo è stata importante e, una volta tanto, è stata fatta una operazione coerente con la giurisprudenza ed attenta all'inserimento in un contesto, quale quello edilizio, estremamente delicato. Di fatto, la norma non introduce nulla di radicalmente nuovo, in quanto si tratta di trasportare a livello di rango primario (la Legge) quello che in precedenza era già consolidato dalla giurisprudenza e dalla prassi*. E' stato comunque importante farlo, in quanto giurisprudenza e prassi possono talvolta essere anche superati o "interpretati" in modo diverso e quindi la trasposizione a livello di rango primario serve proprio ad obbligare tutti, comuni e privati, a rispettare una unica modalità operativa.</p><blockquote><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: x-small;">*nelle preleggi, ovvero le norme introduttive al codice civile, è stabilita la gerarchia delle fonti del diritto: al vertice della fonte c'è la legge, al secondo posto i regolamenti, al terzo gli usi (o la prassi). Gli usi non possono contrastare con la Legge e con i regolamenti; i regolamenti non possono violare la Legge: dunque la Legge è ciò che impone le regole ai regolamenti ed agli usi.</span></p></blockquote><p style="text-align: justify;">Il testo vigente dell'art. 9 bis comma 1 bis che contiene la definizione di legittimità edilizia, al momento di scrivere il presente post è il seguente:</p><blockquote><p class="western">
<i>Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è
quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la
costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha
disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato
l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali
titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli
immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio
acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è
quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto
ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche,
gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto,
pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal
titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio
che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare,
integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato
interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si
applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del
titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia. </i>
</p></blockquote><p style="text-align: justify;">Dalla lettura del testo normativo si colgono alcuni aspetti fondamentali, che in passato sono stati spesso oggetto di diverse interpretazioni:</p><ol><li><p class="western">lo stato
legittimo deve fare riferimento all’originario titolo abilitativo
rilasciato per la costruzione dell’immobile, dunque il "punto zero" è sempre l'originario progetto di costruzione;</p>
</li><li><p class="western">se l’immobile è stato oggetto di lavori o trasformazioni successive che necessitavano di
un titolo abilitativo, lo stato legittimo deve fare riferimento
anche a questi stati autorizzativi ulteriori ed intermedi. per conseguenza, vi è necessità che i titoli abilitativi siano correttamente "concatenati" fra loro;</p>
</li><li><p class="western">la planimetria catastale di primo impianto può essere usata "al posto" del progetto solo laddove l'edificio è stato realizzato, o trasformato, in un epoca in cui la Legge o i regolamenti non imponevano già l'obbligo di dotarsi di una licenza edilizia (molti pensano che il "punto zero" dell'edilizia sia il 1 settembre del 1967, ma in <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/05/evoluzione-dei-regolamenti-edilizi-di.html" target="_blank">questo post ho dimostrato come in taluni casi</a>, come quello di Roma, la data di inizio dell'obbligo di licenza sia da retrodatare almeno al 1912; il tema è sviluppato <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/06/la-legittimita-dei-fabbricati-prima-del.html" target="_blank">anche in quest'altro post</a> nonché nel <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/12/il-manuale-del-progettista-scritto-da.html" target="_blank">mio primo libro "il manuale del progettista"</a>);</p></li><li><p class="western">la possibilità di
cui al punto precedente è evocabile anche laddove l’immobile sia
stato realizzato o trasformato sulla base di titoli abilitativi di
cui si ha la certezza del fatto che siano stati acquisiti o
rilasciati, ma non se ne trovi più copia.</p>
</li></ol><div><br /></div><div>Si ritiene utile citare la recente <a href="https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=202205687&nomeFile=202303006_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">sentenza Consiglio di Stato n°3006/2023</a> mediante la quale, in estrema sintesi, è stato indicato che l'art. 9 bis comma 1 bis DPR 380/01 non cita, tra i documenti a cui deve riferirsi la legittimità, anche l'autorizzazione paesaggistica (e, per conseguenza, anche quella monumentale?), stabilendo in conseguenza che l'autorizzazione paesaggistica può essere rilasciata anche se non vi sono nella domanda chiari riferimenti allo stato legittimo edilizio. Ciò a significare che gli ambiti edilizio e paesaggistico rimangono nettamente distinti fra loro e che nell'ambito della valutazione del rilascio dell'autorizzazione l'amministrazione competente deve valutare esclusivamente gli ambiti di inserimento paesaggistico ed impatto con il vincolo. Naturalmente, in caso di difformità edilizie, vi sarà impatto sulle procedure autorizzative di cui al DPR 380/01.</div><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">l'autore del post, pur garantendo la massima affidabilità di quanto scritto, non risponde di danni derivanti dall'uso dei dati e delle notizie sopra riportate.</span></p><p style="text-align: justify;"><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com36tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-88719804465242355792022-09-21T19:21:00.005+02:002023-10-23T12:48:21.270+02:00deregulation delle vetrate scorrevoli?<p style="text-align: justify;">Chi segue questo blog sa che io non amo commentare le ipotesi legislative prima che vengano effettivamente pubblicate in Gazzetta: faccio delle eccezioni solo quando i temi sono particolarmente invasivi o quando possono impattare su una specifica visione di un determinato argomento. Quando lo faccio, non è per sfruttare il tempismo, ma per fornire una eventuale nuova chiave di lettura che possa stimolare un dibattito.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiALS6Qcw2_hwgRQ4SKQRMrr11RKbju0NFfJv8f7q2QwtzBh6kUDoQsRD4mmqzuqWfH-BqZgzTUoAqSnfY7QTbjF1ec8gcuM-kOWtfyh5Ffc2e91oO-LM1X3iMsvznoHl7_SK2u0h5DO1r8Ogq79a6LuHe0yGSwGj8DeYcQEsPtPORSqcMvqR-BM8S8/s640/daisies-2485064_640.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="640" height="214" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiALS6Qcw2_hwgRQ4SKQRMrr11RKbju0NFfJv8f7q2QwtzBh6kUDoQsRD4mmqzuqWfH-BqZgzTUoAqSnfY7QTbjF1ec8gcuM-kOWtfyh5Ffc2e91oO-LM1X3iMsvznoHl7_SK2u0h5DO1r8Ogq79a6LuHe0yGSwGj8DeYcQEsPtPORSqcMvqR-BM8S8/s320/daisies-2485064_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/daisies-vase-window-floral-bouquet-2485064/" target="_blank">immagine di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><blockquote><p style="text-align: justify;"><i>la sera dello stesso giorno in cui scrivevo questo post è stata pubblicata in Gazzetta la <a href="https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/09/21/22A05442/sg" target="_blank">Legge 21 settembre 2022 n°142</a> di conversione, con modifiche, del DL 9 agosto 2022 n°115. Nel testo pubblicato in gazzetta, l'art. 33 quater è esattamente quello riportato nel post, dunque la norma è divenuta efficace.</i></p></blockquote><p style="text-align: justify;">Il tema che commento oggi sono le famose <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2019/02/vetrate-scorrevoli-ed-autorizzazioni.html" target="_blank"> vetrate panoramiche scorrevoli o vetrate impacchettabili</a>. Queste, fino ad oggi (data di pubblicazione del post) sono dei <b>sistemi che consentono lo scorrimento di lastre di vetro su dei binari posti alla base ed alla sommità della lastra</b>, e consentono quindi di "aprire" o "chiudere" un balcone, una terrazza o uno spazio esterno che sia strutturalmente predisposto, in quanto le singole lastre di vetro possono essere impacchettate da un lato, all'occorrenza, lasciando il possessore libero di scegliere tra una apertura totale quasi uguale allo stato originario del balcone, ed una chiusura invece <i>quasi</i> ermetica. </p><p style="text-align: justify;">Queste vetrate scorrevoli, o vetrate impacchettabili o ancora vetrate panoramiche, complice anche un battage pubblicitario talvolta anche aggressivo, sono arrivate a conquistare i cuori di molte persone, ingolosite dalla possibilità di poter <b>utilizzare in modo più funzionale gli spazi esterni</b>, altrimenti spesso invivibili in inverno o nelle giornate piovose. Se fosse solo questo, probabilmente non ci sarebbe nulla di male a desiderarle ma, come spesso accade in Italia, il desiderio di approdare a soluzioni apparentemente facili e che comportano grandi vantaggi si scontra con delle regole ormai impostate, poste a tutela di interessi pubblici importanti come <b>l'ordinato sviluppo del territorio o la tutela della pubblica salute</b>, che invece classificano gli interventi come <i>ampliamento di superficie</i> e, quindi, se eseguiti in assenza del prescritto titolo abilitativo (permesso di costruire), ne risultano dei potenziali <i>abusi edilizi</i>. I comuni hanno quindi iniziato a colpire queste vetrate scorrevoli, ritenendole dei modi neanche troppo velati di creare dei veri e propri ampliamenti: la Giurisprudenza ha tendenzialmente confermato questa visione (vedi link alla pagina sopra), condannando quindi le vetrate scorrevoli al ruolo di veranda che, se non correttamente autorizzata, produce un abuso edilizio anche di una certa gravità.</p><p style="text-align: justify;">Veniamo al tema di oggi: il Governo, nel predisporre la legge di conversione del DL "aiuti bis" n°115/2022, <b>pare abbia l'intenzione di inserire una norma che consenta di "forzare" l'interpretazione normativa delle vetrate scorrevoli panoramiche facendole ricadere nell'edilizia libera</b>, cioè quelle opere che non necessitano di alcun titolo abilitativo per essere approvate. Non sarebbe la prima volta che il legislatore "forza" delle interpretazioni normative per facilitare degli interventi edilizi (ad esempio, nel 2014 fu forzatamente semplificato il frazionamento urbanistico, portandolo dalla <i>ristrutturazione edilizia</i> alla <i>manutenzione straordinaria</i>).</p><p style="text-align: justify;">Di seguito, la proposta che è iniziata a circolare qualche giorno fa: con l'art. 33 quater della proposta di legge di conversione del decreto aiuti bis <b>si vorrebbe forzare l'interpretazione normativa delle vetrate scorrevoli "panoramiche" facendole ricadere nella manutenzione ordinaria</b>. il testo della norma appare essere il seguente (attenzione: non è il testo definitivo e potrebbe non arrivare mai in Gazzetta in questa veste, oppure potrebbe non essere mai approvato):</p><p></p><blockquote style="text-align: justify;"><i>1. All’articolo 6, comma 1, del
testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380, dopo la lettera b) è inserita la seguente: “b-bis) gli interventi di realizzazione e installazione di vetrate panoramiche amovibili e totalmente trasparenti, cosiddette VEPA, dirette ad
assolvere a funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici,
miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle
dispersioni termiche, parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche dei <u>balconi aggettanti dal corpo dell’edificio o di logge rientranti all’interno dell’edificio</u>, purché tali elementi non configurino spazi stabilmente chiusi con conseguente variazione di volumi e di superfici, come
definiti dal regolamento edilizio-tipo, che possano generare nuova volumetria o comportare il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile
anche da superficie accessoria a superficie utile. Tali strutture devono favorire una naturale microaerazione che consenta la circolazione di un costante flusso di arieggiamento a garanzia della salubrità dei vani interni
domestici ed avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali
da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non
modificare le preesistenti linee architettoniche” ».</i></blockquote><p></p><p style="text-align: justify;">A mio parere, al di là dei discorsi più o meno opportunistici, da tecnico mi azzardo a dire che l'iniziativa rischia di produrre delle distorte interpretazioni o dei pericolosi precedenti, anche se l'intento potrebbe essere considerato da un certo punto di vista positivo.</p><p style="text-align: justify;">Le criticità di una norma scritta in questo modo, a mio modesto parere sono molteplici:</p><p></p><ol style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;">non specificando o non circoscrivendo la semplificazione ad una specifica destinazione d'uso (ad esempio, residenziale), apre ufficialmente al loro utilizzo massiccio in ambito direzionale, commerciale o anche industriale, e ciò potrebbe portare ad utilizzi incongrui di questo sistema e/o a nuovi contenziosi dinanzi alla Giustizia Amministrativa, poiché il tema verrebbe solo spostato dal concetto di cubatura imponibile a quello di corretto utilizzo dello spazio;</li><li style="text-align: justify;">non viene specificata una superficie limite entro cui contenere l'intervento, né in termini assoluti, né in percentuale rispetto all'immobile cui diventa pertinenza. Ciò può essere una specifica scelta del legislatore di cui si può prendere atto, ma ci sono situazioni, magari particolari, in cui con una vetrata scorrevole sarà possibile creare superfici "chiuse" di decine di metri quadri, magari a servizio di alloggi che sono invece molto piccoli. Questo potrebbe portare, nelle nuove costruzioni, ad adottare soluzioni architettoniche estreme in cui i balconi hanno dimensioni spropositate rispetto alla superficie residenziale effettiva (soprattutto nei comuni in cui non vi è ancora un limite alla dimensione degli spazi esterni rispetto a quelli chiusi), proprio predisponendoli alla futura ed immediata chiusura con le vetrate panoramiche. In ciò potrebbe non esserci nulla di male, ma si presti attenzione a dare il giusto valore commerciale agli spazi <i>esterni</i>.</li><li style="text-align: justify;">il tema della microaerazione è ambiguo per non dire altro: dopo più di un secolo di normativa tecnica atta a prescrive un rapporto aeroilluminante minimo per garantire che gli ambienti abitabili abbiano una finestra di una data superficie per garantire un corretto ricambio d'aria, il tutto al fine di tutelare la salute pubblica, nella definizione normativa sopra riportata si parla di "spifferi" che dovrebbero essere sufficienti di per sé, senza alcun obbligo di verifica tecnica, a garantire questo baluardo normativo.</li><li style="text-align: justify;">una vetrata non può quasi mai essere di basso impatto visivo; almeno, non può essere stabilito se non c'è una figura imparziale a decidere che lo sia. ciò può generare facili contenziosi con il condominio, ad esempio;</li><li style="text-align: justify;">il generico riferimento al fatto che la vetrata non debba produrre nuova superficie utile collide con sé stesso: le richiamate definizioni del regolamento edilizio tipo (le 42 definizioni uniformi, ed in particolare la definizione n°42 di "veranda") indicano che uno spazio chiuso è un volume anche quando chiuso con vetri "<i>parzialmente o totalmente apribili</i>", cioè la stessa definizione di vetrata panoramica. Qualcosa evidentemente non torna;</li><li style="text-align: justify;">anche il riferimento al miglioramento acustico e energetico è ambiguo: se non ci sono norme citate a supporto delle tesi, come si può dimostrare che una vetrata aumenta l'efficienza energetica? anzi, in un immobile in cui la vetrata viene realizzata a sud, d'estate, se lasciata chiusa, produrrà aumento di calore mediante effetto serra tale da incrementare il consumo energetico per il raffrescamento estivo, oltre a diventare un ambiente invivibile (a meno di non essere schermato, il che produce ulteriori sistemi ombreggianti da posizionarsi all'esterno del vetro che potrebbero non essere implicitamente ricompresi nella definizione di attività libera). In inverno invece effettivamente si avrebbe un guadagno termico e non sarebbe neanche trascurabile: potrebbe funzionare come una <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2014/06/serre-captanti-roma.html" target="_blank">serra bioclimatica</a> ma senza i complessi risvolti tecnici ed amministrativi di queste ultime. Una vetrata su un balcone posto a Nord invece potrebbe essere quasi sempre positiva dal punto di vista termico, ma giusto perché la facciata del fabbricato non sarebbe direttamente a contatto con l'esterno ma con un volume non riscaldato: non cambia moltissimo ai fini dei calcoli energetici.</li><li style="text-align: justify;">la norma dovrebbe prevedere, a questo punto, anche l'aggiornamento del <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2018/02/glossario-unico-edilizia-libera.html" target="_blank">glossario unico dell'edilizia libera</a>.</li></ol><div style="text-align: justify;">Al di là delle considerazioni qui sopra, che sono assolutamente personali e che ho scritto solo per stimolare un dibattito ed una riflessione sulla questione, suggerisco di fare attenzione ai seguenti aspetti:</div><div><ul style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;">la semplificazione a livello di titolo abilitativo non produce automaticamente una semplificazione anche su eventuali, ulteriori adempimenti normativi, o almeno non espressamente. Dunque se si opera in ambiti vincolati, ad esempio <b>un vincolo paesaggistico, la relativa normativa rimarrà applicabile esattamente come prima e dunque se l'intervento richiede l'autorizzazione paesaggistica, questa va comunque acquisita prima di realizzare l'intervento</b>. Attenzione anche a quei comuni che hanno istituito dei sistemi di valutazione dei progetti, come ad esempio la <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2016/05/carta-per-la-qualita-istruzioni-per-luso.html" target="_blank">Carta per la Qualità</a> a Roma, perché, anche qui, il fatto che l'intervento venga classificato come attività libera non significa affatto che possa direttamente incidere sulle procedure autorizzative di altri ambiti. Presterei attenzione anche alle zone con vincolo idrogeologico, dove gli ampliamenti di volume genericamente definiti sono rilevanti ai fini della valutazione del rischio;</li><li style="text-align: justify;">rimane chiaro che la vetrata non deve produrre nuova superficie utile: al di là del fatto che di base ogni volume chiuso è una superficie utile (vedi definizione n°42 delle definizioni uniformi con cui la norma collide), la norma sembra dire che comunque l'elemento non deve mutare la modalità con cui viene utilizzato lo spazio, che, quindi, deve rimanere uno spazio esterno ad ogni effetto. Dunque ad esempio non possono essere presenti, nei balconi chiusi dalle future vetrate, degli impianti di climatizzazione, perché presupporrebbe il mutamento dell'uso effettivo.</li><li style="text-align: justify;">la definizione pone molto l'accento sul fatto che si deve trattare di installazioni effimere che, benché efficaci a proteggere dalla pioggia ed eventualmente avere anche delle prestazioni energetiche non irrilevanti: diciamo che la vetrata panoramica secondo questa definizione diventa un po' come una tenda, ovvero un qualcosa che protegge e chiude, senza farlo in via definitiva o continuativa (difatti le tende in pvc effetto "crystall" erano già quasi universalmente ritenute soluzioni di edilizia libera). In ciò, si valuti con molta attenzione il fatto che, nel rispetto degli specifici presupposti, non produce a questo punto una variazione di volumi (ma vedi le mie considerazioni sopra: da qui si genera un controsenso a mio parere) e, quindi, il prospetto esterno dell'edificio rimane la parete che divide lo spazio riscaldato dal balcone, e NON diventa la nuova vetrata. Si presti attenzione a questo aspetto, perché il trasformare la originaria parete di tamponamento esterno, rimarrà sempre un opera di ristrutturazione edilizia, e NON potrà essere rimossa la tamponatura per unificare lo spazio (né potrà essere rimosso l'infisso che divide l'ambiente riscaldato dal balcone-veranda), perché in questo caso sarebbe del tutto evidente l'ampliamento di superficie ed il cambio della natura dello spazio esterno. La vetrata, in sostanza, dovrà solamente essere applicata sul balcone per delimitarne uno o più lati, ma le eventuali opere sulla muratura di tamponamento, anche solo di diversa tinteggiatura, andranno valutate come se la vetrata non esistesse, in termini edilizi, in quanto appunto non vi è produzione di nuovo volume;</li><li style="text-align: justify;">attenzione all'acquisto di immobili in cui le vetrate sono già state installate: si valuti bene quello che è l'effettivo originario spazio esterno e si consideri che, a livello di valore commerciale, va considerato sempre e solamente come spazio esterno.</li><li style="text-align: justify;">la norma esplicitamente parla solo di <i>balconi </i>o <i>logge</i>: per l'installazione delle vetrate panoramiche dunque non sembrano espressamente contemplati spazi aperti di altre tipologie quali ad esempio giardini, lastrici o terrazze.</li><li style="text-align: justify;">non mi sembra possibile ipotizzare una liberalizzazione parallela delle pergotende con chiusure laterali in vetro. Mi spiego meglio: in passato abbiamo avuto diversa giurisprudenza inerente la realizzazione di <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/05/tettoie-pensiline-pergotende-post-breve.html" target="_blank">pergotende su terrazzi che erano anche lateralmente chiuse da vetr</a>i. Questo elemento è generalmente stato considerato come appartenente alle opere soggette a titolo abilitativo, perché la pergotenda è attività libera solo finché è composta da una struttura esclusivamente finalizzata al sostegno della tenda, senza, quindi, avere ruolo di sostegno per altri elementi, ivi compresi i vetri. Si ritiene ammissibile una chiusura laterale sempre di elementi in tessuto o al massimo in pvc, ma non in vetro. Temo però che ci sarà chi affermerà che, grazie a questa modifica normativa, le vetrate laterali a chiusura delle pergotende sarebbero liberalizzate, ma a mio parere non è così perché non sarebbe una vetrata a chiusura di un "balcone" o "loggia".</li></ul><div style="text-align: justify;">Segnalo che sull'argomento si è espresso, <a href="http://www.urbanistica.comune.roma.it/images/dipartimento/atti/pareri/2022/Parere-179325-2022.pdf" target="_blank">in un parere (prot. 179325/2022)</a>, anche il Dipartimento Programmazione ed Attuazione Urbanistica di Roma Capitale. In questo parere viene indicato che la novella legislativa pare ispirarsi molto alla <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_ba&nrg=201900560&nomeFile=202000847_01.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">sentenza TAR Puglia, Bari, sez. III n°847/2020</a>, che avevo già <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2019/02/vetrate-scorrevoli-ed-autorizzazioni.html" target="_blank">brevemente commentato in quest'altro post</a>: va detto che la sentenza citata ha effettivamente "salvato" un cittadino dalle azioni disciplinari del comune, in quanto ha ritenuto che un intervento di installazione di vetrate scorrevoli "facilmente smontabili", che non snaturi la funzione dello spazio esterno, poteva già rientrare nella definizione di edilizia libera, anche se non ha affrontato tutti i temi che invece erano già dominanti nella giurisprudenza amministrativa, poi confluiti nella "definitiva" sentenza <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=201803087&nomeFile=202200469_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">CdS 469/2022</a> che ad avviso di chi scrive aveva rappresentato la fine delle interpretazioni fantasiose attorno alle VEPA.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Segnalo intanto una prima sentenza TAR Lazio (<a href="https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_rm&nrg=201512305&nomeFile=202315129_01.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">n°15129/2023</a>, di cui si è discusso anche su <a href="https://www.lavoripubblici.it/news/vepa-edilizia-libera-no-tar-32011?fbclid=IwAR1o4cUIGy-PitiW7iOuSD8OyvdQXDZYOv8gcRYKFhTinW-fM7xGT-hbM0s">lavoripubblici.it</a>) che entra nel merito di una questione delicata: la norma, come sottolineato nel testo di legge sopra riportato, da come è composta si applicherebbe esclusivamente ai "balconi aggettanti" ed alle "logge rientranti", con apparente esclusione di ogni altra fattispecie di spazio aperto pertinenziale. Nel caso in esame, si trattava di una "loggia aggettante" ed il tribunale amministrativo ha ritenuto che non possa essere considerata una fattispecie in cui si possa applicare la VEPA. Ciò a significare che le caratteristiche che deve avere la vetrata per essere considerata attività libera non riguardano esclusivamente gli elementi della vetrata in sé, ma anche la geometria dello spazio esterno in cui viene installata. Dopo questa sentenza suggerisco di fare grande attenzione alla definizione architettonica dello spazio esterno in cui si intende operare.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Aggiungo il riferimento ad una ulteriore sentenza che non riguarda espressamente una VEPA ma un elemento che ne ha molte delle caratteristiche: si tratta della sentenza <a href="https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_pr&nrg=202200351&nomeFile=202300256_01.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, n°256/2023</a>, in cui è stata definita sempre attività libera la realizzazione di vetrate impacchettabili realizzate a delimitare lo spazio al di sotto di una pergotenda: <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2016/05/sentenza-cds-su-pergotende-e-chiusure.html" target="_blank">ne ho parlato più ampiamente qui</a>.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questo post l'ho scritto, come già detto, fondamentalmente per stimolare un dibattito, e vi sono trasfuse le opinioni personali dell'autore, da non confondere con considerazioni tecniche o con istruzioni operative. Non si assumono perciò responsabilità di alcun tipo in funzione di quanto sopra scritto. Se qualcuno ritiene che nel testo vi siano errori o considerazioni non consone, può inserire un commento pubblico qui sotto oppure scrivermi un email in privato all'indirizzo che si trova alla pagina "chi sono - contatti".</div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-6551588855896669852022-08-23T16:31:00.003+02:002023-10-26T11:51:24.586+02:00autorizzazione paesaggistica e titolo abilitativo<p style="text-align: justify;">Quando si deve realizzare un intervento edilizio su un area vincolata, che sia un opera invasiva come una nuova costruzione o un intervento più modesto come modifica di finestre o finiture, occorre prestare attenzione, oltre all'aspetto prettamente edilizio, anche a quello specifico previsto dal vincolo. Il rapporto tra procedura autorizzativa edilizia e vincolistica rimane sempre distinto e separato: in questo post parlerò del rapporto tra i due tipi di procedura e di autorizzazione.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjasbksuqdTP7rQM4S9C9z0laZV6tkDO2tcV1WrRFlCE4kSkhbWHoetnC57HQnfTHUtDezmKv_QDOUJ0USCI9eoW-ewHfGJz7SrZt-35ivIa8xakNm0L3JQ_PkrxMuigN6-L7vYcVyVxs0zXTDWEiHNOrnDyU93uaNI5lvNIJ2K5VRmBoijcq05Qoin/s640/trees-1587301_640.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="640" height="214" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjasbksuqdTP7rQM4S9C9z0laZV6tkDO2tcV1WrRFlCE4kSkhbWHoetnC57HQnfTHUtDezmKv_QDOUJ0USCI9eoW-ewHfGJz7SrZt-35ivIa8xakNm0L3JQ_PkrxMuigN6-L7vYcVyVxs0zXTDWEiHNOrnDyU93uaNI5lvNIJ2K5VRmBoijcq05Qoin/s320/trees-1587301_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/trees-fog-street-road-lane-lush-1587301/" target="_blank">Foto di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;">il DPR 380/01 già di per sé è abbastanza chiaro e sintetico nel merito di interventi edilizi su aree vincolate (ad esempio nell'art. 22 comma 6), in quanto laconicamente indica che <b>l'eventuale presenza di un vincolo è affare esclusivo del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio</b>: già questo assunto deve far comprendere che ogni ambito è gestito dalla normativa in modo autonomo ed indipendente, in quanto la parte autorizzativa edilizia è appannaggio del testo unico dell'edilizia, mentre la parte vincolistica segue le regole del Codice (d.lgs. 42/2004).</p><p style="text-align: justify;">Tuttavia, al di là di questa chiarezza, nel tempo vi sono state interpretazioni che hanno portato a ritenere che questi mondi si toccassero in qualche modo, soprattutto quando, nello svolgimento dei processi amministrativi o penali, si doveva cercare di capire di chi fosse la colpa dell'eventuale assenza della prescritta autorizzazione del Codice. in effetti, quando si autorizza un opera che richiede il permesso di costruire, è comunque il comune che sviluppa una istruttoria, nella quale devono essere esaminati anche gli aspetti procedurali relativi alle varie norme che sottendono al mondo dell'edilizia:<b> da qui in molti hanno iniziato a ritenere che in caso di permesso di costruire dovesse essere il comune l'ente preposto alla verifica che la pratica fosse completa anche delle autorizzazioni</b> derivanti dalla presenza di un vincolo. Senz'altro era così ai tempi in cui si rilasciavano le licenze edilizie, quindi prima del 1967: in quel periodo effettivamente il comune svolgeva una istruttoria piena e si occupava di valutare i vari aspetti autorizzativi. Poi è avvenuto il lento processo evolutivo che ha portato allo stato attuale delle cose, dove molte delle responsabilità istruttorie sono spostate a carico del soggetto richiedente e del tecnico che assevera la relazione tecnica (non a caso, nelle licenze edilizie ante 1967 non esisteva una relazione tecnica a corollario della domanda): allo stato attuale, quindi, essendosi ribaltata la posizione, <b>è nei fatti invece in carico al richiedente il dover comunicare al comune quali eventuali autorizzazioni vanno espressamente chieste.</b></p><p style="text-align: justify;">L'affermazione contenuta nell'ultimo periodo del paragrafo precedente è mutuata da una importante <a href="http://lexambiente.it/materie/urbanistica/160-cassazione-penale160/14896-urbanistica-permesso-di-costruire-e-vincolo-paesaggistico.html" target="_blank">sentenza della corte di Cassazione, sez. III Penale, n°9402 del 10 marzo 2020</a>, che ha avuto ad oggetto una vicenda abbastanza complessa. In estrema sintesi, stando a quanto si capisce solamente dalla lettura del dispositivo, un imprenditore presenta una istanza di permesso di costruire, per realizzare dei capannoni industriali in una zona parzialmente coperta da un bosco: il comune svolge l'istruttoria senza preoccuparsi di eventuali vincoli ma, successivamente al rilascio del permesso, viene fuori che il bosco è tutelato <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/03/vincoli-delle-aree-boscate.html" target="_blank">ai sensi della normativa che è specificamente dedicata alla tutela di queste importanti aree</a>, anche se il relativo vincolo non è riportato nei piani paesistici locali e né negli strumenti urbanistici. In sostanza, esisteva un vincolo paesaggistico che, però, non appariva in nessun documento ufficiale. Ciò, naturalmente, non significa che non valga ugualmente come vincolo. Quel che qui rileva di questa sentenza (già commentata per quanto riguarda il vincolo paesaggistico nella pagina di questo blog dedicata al v<a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/03/vincoli-delle-aree-boscate.html" target="_blank">incolo delle aree boscate</a>) è l'affermazione circa il fatto che titolo edilizio ed autorizzazione paesaggistica seguono ciascuno la propria strada, con l'unica precisazione che l'autorizzazione paesaggistica deve essere presupposta al titolo abilitativo, come chiaramente afferma il Codice dei Beni Culturali (art. 146 comma 4 "<i>l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento </i>[...]").</p><p style="text-align: justify;">Di questa sentenza è forse più utile riportare un estratto:</p><blockquote><i>Quand'anche all'epoca del commesso reato competesse al Comune, e non già alla Regione, il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica secondo la legge regionale toscana n.1 del 2005, ciò non toglie che trattasi di un titolo che mantiene la sua autonomia ad ogni effetto, ivi compreso quello sanzionatorio, rispetto al permesso di costruire: <b>trattasi invero di due procedimenti distinti in ragione della diversità degli interessi presidiati dalle rispettive norme penali</b>, finalizzati l'uno alla compatibilità dell'intervento edilizio volto ad incidere sul patrimonio paesaggistico e l'altro alla tutela dell'assetto urbanistico in conformità agli strumenti di pianificazione del territorio. La giurisprudenza tanto ordinaria quanto amministrativa ha avuto modo di sottolineare, con consolidato orientamento, che il procedimento di rilascio del permesso di costruire ha un rapporto di autonomia e non di interdipendenza rispetto al rilascio del parere ambientale, secondo quanto risulta dalla stessa lettera della legge (articolo 159, per la disciplina transitoria e articolo 146, Dlgs 22 gennaio 2004, n. 42), che prevede, per un verso, che l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti intervento urbanistico-edilizio e, per un altro, che i lavori non possono essere iniziati in difetto di essa (cfr. in termini la pronuncia del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 5016/2017, nonché Consiglio di Stato, Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4234 del 21 agosto 2013). </i></blockquote><p style="text-align: justify;">Dunque al richiedente il permesso di costruire che ha tentato di scaricare almeno parte della responsabilità sul comune, è stato nei fatti risposto che era sua responsabilità verificare ed indicare al comune che era necessario acquisire anche l'autorizzazione paesaggistica; anzi, in verità stando così le cose avrebbe dovuto lui richiederla autonomamente o comunque allegare alla richiesta di permesso di costruire i documenti necessari all'ottenimento dell'autorizzazione, al cui invio avrebbe poi provveduto lo sportello unico.</p><p style="text-align: justify;">Vi sono poi altre sentenze, tutte interessanti, che toccano altri temi legati al rapporto tra titolo abilitativo e procedura di autorizzazione relativa ai vincoli del Codice.</p><p style="text-align: justify;">Una ormai vecchia - ma concettualmente tuttora valida - <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=201305782&nomeFile=201305513_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">sentenza del Consiglio di Stato, n°5513/2013</a>, specifica un concetto abbastanza chiaro: i titoli abilitativi che si acquisiscono per silenzio (all'epoca della sentenza c'era ancora la DIA, oggi si deve far riferimento alla SCIA) si basano sulla veridicità delle dichiarazioni rese (del richiedente e del tecnico) ma ci sono degli ambiti che non possono essere autocertificati, come appunto la tutela dei beni culturali e paesaggistici. Ciò viene espressamente riportato nello stesso DPR 380/01 all'art. 22 comma 6, secondo il quale in caso di presenza di vincoli la SCIA (all'epoca della sentenza, la DIA) non acquista efficacia se non sono stati acquisiti gli atti di assenso dovuti ai sensi delle norme vincolistiche. In questa sentenza pertanto viene evidenziato un concetto specifico, cioè che in presenza di vincoli dei beni culturali o paesaggistici, le dichiarazioni rese in sede di presentazione del titolo comunque non possono valere come autocertificazioni del rispetto dei requisiti disposti dalla legge sui vincoli, perché questi devono essere gestiti mediante autorizzazioni autonome. ciò naturalmente non significa che non si può usare la SCIA per operare su un immobile tutelato ma, più semplicemente ed anche in questo caso, che la procedura di autorizzazione in presenza di un vincolo deve seguire una strada autonoma ed indipendente, tale per cui l'autorizzazione viene acquisita prima della presentazione o dell'efficacia del titolo.</p><p style="text-align: justify;">La sentenza <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=202106932&nomeFile=202203446_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">CdS n°3446/2022</a> vede la questione sotto un altro punto di vista, comunque interessante: la vicenda è quella di un fabbricato che è stato interessato da diversi titoli abilitativi, tra cui un condono, senza che si sia mai proceduto con autorizzazione paesaggistica, pur in presenza di vincolo. L'originaria questione, oggetto dell'appello, era il diniego della soprintendenza per opere di completamento del fabbricato, in quanto questa avrebbe specificato che <b>non poteva pronunciarsi sul progetto perché non vi era conformità sotto il profilo paesaggistico</b>. Il Consiglio di Stato ribalta questa tesi e specifica che anche se è vero che l'autorizzazione paesaggistica è atto autonomo e presupposto rispetto al titolo abilitativo edilizio, nel caso di specie, stante l'espressa volontà delle parti di sottoporre l'immobile ad una valutazione "ora per allora" dell'impatto paesaggistico, ha concluso invitando le amministrazioni coinvolte a voler rideterminare la procedura autorizzatoria, esprimendo una valutazione "ora per allora" che colmi le mancaze autorizzatorie: si valorizza il fatto che non si conoscono le ragioni per cui la commissione edilizia che si è espressa favorevolmente per il rilascio della concessione in sanatoria non abbia provveduto all'invio della documentazione alla Soprintendenza, e ciò rappresenta una sorta di "vuoto" procedurale che il Consiglio suggerisce possa essere colmato a posteriori. <b>Questa possibilità di operare un rilascio parere ora per allora appare un po' anomala in quanto è (era) abbastanza pacifico che la legittimità edilizia si riverberasse anche attraverso quella paesaggistica</b>: nel caso di specie invece sembra aprirsi alla possibilità che, in determinati contesti, sia possibile acquisire anche dei pareri ex post, laddove ne ricorrano specifici presupposti e laddove si riscontrino carenze procedurali.</p><p style="text-align: justify;">La sentenza 3446/2022 è stata peraltro subito citata anche nella <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_rm&nrg=202112773&nomeFile=202210787_01.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">sentenza TAR Lazio n°10787/2022</a> a distanza di pochissimo tempo dalla pubblicazione, per affrontare un caso analogo: in particolare, viene annullato un atto di "improcedibilità" emanato dalla Regione Lazio, in quanto questa riteneva di non poter procedere al rilascio di una autorizzazione paesaggistica su un fabbricato oggetto di condono nella cui istruttoria non risultava presente la procedura di cui all'art. 32 L. 47/85. Conformemente alla sentenza del Consiglio di Stato, <b>il TAR Lazio annulla l'improcedibilità della regione e rinvia alle amministrazioni gli atti, con indicazione di procedere ad una valutazione "ora per allora"</b> dell'autorizzazione paesaggistica. Effettivamente possiamo dire quindi che si è aperto un nuovo fronte di interpretazione amministrativa.</p><p style="text-align: justify;">Si ritiene utile citare in questo post anche una più recente sentenza <a href="https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=202205687&nomeFile=202303006_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">Consiglio di Stato n°3006/2023</a> nella quale viene sostanzialmente indicato che il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica non deve necessariamente implicare la verifica dello stato legittimo dell'immobile, in quanto, dice il Consiglio, quella paesaggistica non è presente tra le autorizzazioni elencate dall'art. 9 bis comma 1 bis DPR 380/01 e che sono a fondamento dello stato legittimo. Ciò naturalmente non significa che si possono fare interventi illegittimi in caso di vincolo paesaggistico ma che, specificatamente, la legittimità edilizia non deve ricomprendere valutazioni inerenti le autorizzazioni paesaggistiche le quali afferiscono ad un ambito di competenza diverso da quello prettamente urbanistico.</p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-28858631287257494572022-07-22T09:56:00.000+02:002022-07-22T09:56:17.744+02:00i cento anni della tutela del Paesaggio in Italia<p style="text-align: justify;">In questi giorni è maturato un compleanno significativo, quello dei cento anni dalla pubblicazione della Legge 11 giugno 1922 n°778, la prima norma sulla tutela del paesaggio.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHRgiLRxuGOZrNVEm8tGfMgszN8wY0SBTLEUWSa0pwX5naxOy8PCFGwXhshFOtS0WGGwFS-aTbuabzdggYRAYW_YhUUhL6b-dWesBDJLy5MI-wU8G8BSeVhYErqkdemD_Vw5s2AgDkzrlMcMKv1cgiWISY-jSyIC45qKP3T4NjIbOS0uVh2uspdjLN/s640/hd-wallpaper-2836301_640.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="640" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHRgiLRxuGOZrNVEm8tGfMgszN8wY0SBTLEUWSa0pwX5naxOy8PCFGwXhshFOtS0WGGwFS-aTbuabzdggYRAYW_YhUUhL6b-dWesBDJLy5MI-wU8G8BSeVhYErqkdemD_Vw5s2AgDkzrlMcMKv1cgiWISY-jSyIC45qKP3T4NjIbOS0uVh2uspdjLN/s320/hd-wallpaper-2836301_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/hills-india-nature-kodaikanal-2836301/" target="_blank">immagine di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;">Questo blog ha molto a cuore le norme vincolistiche: da un lato, le trovo un modo per far sì che il nostro paese possa essere consegnato alle generazioni future nello stato di bellezza in cui ci è stato consegnato da chi ci ha preceduto; dall'altro, da buon tecnico quale cerco di essere, i vincoli rappresentano una insidia tecnica ma anche una opportunità, che va conosciuta anche per autodifesa.</p><p style="text-align: justify;">Oggi un post estremamente breve per celebrare, a distanza di qualche giorno, questo compleanno importante: l'ideatore della prima norma a tutela del Paesaggio pare essere stato nientemeno che Benedetto Croce, il quale già negli anni dieci del novecento professava il concetto secondo cui il paesaggio non è natura ma storia, e, in quanto tale, meritevole di essere tutelato come se fosse un bene culturale.</p><p style="text-align: justify;">Seguendo questa ottica, difatti, la <b>legge 778/22 in effetti ricalca una modalità di tutela molto simile a quella dei beni culturali</b> che, all'epoca, era già regolamentata dalla legge 364/1909: le notifiche dell'interesse pubblico venivano inviate ai proprietari delle aree (e non, come oggi, in Gazzetta o nei PTP) e le modifiche, così genericamente e vastamente definite, dovevano essere preventivamente autorizzate dal ministero (ruolo oggi demandato alle regioni).</p><p style="text-align: justify;">Già la successiva legge 1497/1939, che abrogherà questa prima del 1922, modificherà l'approccio per la tutela del paesaggio rendendolo più simile a come è oggi e scandendo una modalità di autorizzazione e gestione differenziata rispetto a quella dei beni culturali, come è giusto che sia data comunque l'oggettiva differente natura dei beni e la differente modalità di godimento da parte della collettività.</p><p style="text-align: justify;">Dato il fatto che si tratta di una legge breve composta da soli 7 articoli, ho riversato il testo originario qui appresso, la cui fonte è normattiva.it</p><p>Auguri dunque alle norme sul paesaggio per questi primi cento anni!</p><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;">LEGGE 11 giugno 1922 , n. 778</div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;">Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico. (022U0778)</div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;">VITTORIO EMANUELE III
per grazia di Dio e per volonta' della Nazione
RE D'ITALIA
Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato;
Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: </div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;"> Art. 1 </div><div style="text-align: center;"> Sono dichiarate soggette a speciale protezione le cose immobili la
cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a causa
della loro bellezza naturale e della loro particolare relazione con
la storia civile e letteraria.
Sono protette altresi' dalla presente legge le bellezze
panoramiche.</div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;">Art. 2 </div><div style="text-align: center;"> Le cose contemplate nella prima parte del precedente articolo non
possono essere distrutte ne' alterate senza il consenso del Ministero
dell'istruzione pubblica.
Il Ministero dell'istruzione pubblica ha facolta' di procedere, in
via amministrativa, alla notificazione della dichiarazione del
notevole interesse pubblico ai proprietari ed ai possessori o
detentori a qualsiasi titolo degli immobili di cui e' parola nel
precedente articolo. Tale dichiarazione dev'essere, su istanza del
ministro stesso, iscritta nei registri catastali e trascritta nei
registri delle Conservatorie delle ipoteche, ed ha efficacia nei
confronti di ogni successivo proprietario possessore o detentore a
qualsiasi titolo.
I proprietari possessori o detentori a qualsiasi titolo degli
immobili i quali siano stati oggetto di detta dichiarazione, sono
tenuti a presentare preventivamente alla competente Sovraintendenza
dei monumenti i progetti delle opere di qualsiasi genere relative
agli immobili stessi, per ottenere l'autorizzazione ad eseguirle dal
Ministero dell'istruzione pubblica, il quale provvede, sentito il
parere della Giunta del Consiglio superiore per le antichita' e belle
arti.
Contro la dichiarazione ministeriale e' ammesso il ricorso al
Governo del Re che decide, sentita la Giunta del Consiglio superiore
per le antichita' e belle arti e il Consiglio di Stato, salvo il
ricorso alla IV sezione del Consiglio di Stato ed il ricorso in via
straordinaria al Re.</div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;">Art. 3 </div><div style="text-align: center;"> Anche indipendentemente dalla preventiva notificazione della
dichiarazione di pubblico interesse, di cui nel precedente articolo,
il Ministero della istruzione pubblica ha facolta' di ordinare la
sospensione dei lavori iniziati su gli immobili soggetti alla
presente legge.
Entro il termine di un mese il Ministero della istruzione pubblica
dovra' procedere alla notificazione della dichiarazione di cui
all'art. 2.
Trascorso questo termine senza che il Ministero abbia provveduto
alla notificazione, l'ordine di sospensione si considera revocato.
Nel caso di non avvenuta preventiva notificazione di cui all'art.
2, se la sospensione non e' revocata, e' riservata agli aventi
diritto l'azione per indennita' limitata al rimborso delle spese.</div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;">Art. 4 </div><div style="text-align: center;"> Nei luoghi nei quali si trovano cose immobili soggette alle
disposizioni della presente legge, nei casi di nuove costruzioni,
ricostruzioni ed attuazioni di piani regolatori possono essere
prescritte dall'autorita' governativa le distanze, le misure e le
altre norme necessarie, affinche' le nuove opere non danneggino lo
aspetto e lo stato di pieno godimento delle cose e delle bellezze
panoramiche contemplate nell'art. 1°.
L'autorita' governativa potra' altresi' prescrivere opere di tutela
strettamente necessarie per impedire danneggiamenti a bellezze
naturali.</div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;">Art. 5 </div><div style="text-align: center;"> E' vietata l'affissione con qualsiasi mezzo di cartelli e di altri
mezzi di pubblicita', i quali danneggino l'aspetto e lo stato di
pieno godimento delle cose e delle bellezze panoramiche di cui
nell'art. 1º.
Questo divieto riguarda anche i cartelli e gli altri mezzi di
pubblicita' affissi anteriormente alla presente legge.
Il Ministero dell'istruzione pubblica, a mezzo del prefetto o
sottoprefetto, ordina la rimozione dei cartelli e degli altri mezzi
di pubblicita', dei quali e' vietata l'affissione a norma del
presente articolo.</div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;">Art. 6 </div><div style="text-align: center;"> Chiunque contravviene agli obblighi ed agli ordini di cui negli
articoli 2º, 3° e 5° della presente legge, e' punito con l'ammenda da
L. 300 a L. 1000.
Indipendentemente all'azione penale, il Ministero dell'istruzione
pubblica con ordinanza motivata puo' ordinare la demolizione delle
opere abusivamente eseguite e la rimozione dei cartelli e degli altri
mezzi di pubblicita' indebitamente affissi o mantenuti.
Trascorsi quindici giorni dalla notificazione dell'ordinanza in via
amministrativa, la demolizione delle opere abusivamente fatte e la
rimozione dei cartelli e degli altri mezzi di pubblicita'
indebitamente affissi o mantenuti e' eseguita d'ufficio, a carico del
proprietario del fondo, salvo il diritto di rimborso da parte di esso
contro i responsabili della trasgressione.
La nota delle spese relativa e' resa esecutoria con ordinanza del
Ministero dell'istruzione, e rimessa all'esattore competente che ne
fa la riscossione nelle forme e coi privilegi delle imposte prediali.</div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;">Art. 7 </div><div style="text-align: center;"> Gli ispettori onorari, le Commissioni provinciali previste
nell'articolo 47 della legge 27 giugno 1907, n. 386, gli uffici
comunali e provinciali, gli uffici di dipartimenti forestali e del
Genio civile e gli uffici tecnici di finanza devono segnalare alle
Sopraintendenze dei monumenti e al Ministero dell'istruzione pubblica
le opere progettate o iniziate, nonche' l'affissione dei cartelli ed
altri mezzi di pubblicita' che contravverranno alle disposizioni
della presente legge.
Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia
inserta nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno
d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla
osservare come legge dello Stato. </div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;"> Data a Roma, addi' 11 giugno 1922. </div><div style="text-align: center;"> VITTORIO EMANUELE </div><div style="text-align: center;"> Facta - Anile. </div><div style="text-align: center;"> Visto, il guardasigilli: Luigi Rossi.</div>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-43634831088428446092022-07-21T10:35:00.002+02:002022-07-21T10:36:59.501+02:00le modifiche alla ristrutturazione edilizia del decreto aiuti 2022<p style="text-align: justify;">Oggi un breve post per commentare le modifiche che il decreto aiuti 2022 (DL 50/2022), convertito con L. 91/2022 ha apportato alla definizione di ristrutturazione edilizia contenuta nel testo unico dell'edilizia.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOrRHSyps3hoDcMhwVOMDva940fS6EwgSsKSrN449YMnT_mDxlZDP-JGob90z7GRttZ2I9WP2C_n8cCPEA9jL4Wvi5CM8olMY1slI-TqrcC1QkAT_TIWG0jefkxqtyc4a80Zwn9Xm7-A8xOEu1LhN9EczGJsBQxRLUBdI_EnBzSHzw5gT0vCr2MAv7/s640/people-3204098_640.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="411" data-original-width="640" height="206" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOrRHSyps3hoDcMhwVOMDva940fS6EwgSsKSrN449YMnT_mDxlZDP-JGob90z7GRttZ2I9WP2C_n8cCPEA9jL4Wvi5CM8olMY1slI-TqrcC1QkAT_TIWG0jefkxqtyc4a80Zwn9Xm7-A8xOEu1LhN9EczGJsBQxRLUBdI_EnBzSHzw5gT0vCr2MAv7/s320/people-3204098_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/people-small-rural-architecture-3204098/" target="_blank">immagine di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;">Il decreto Aiuti è andato a modificare, con il suo art. 14, alcune procedure in ambito edilizio: anzitutto, ha ampliato la possibilità, per le banche, nell'ambito della cessione dei crediti provenienti dai bonus edilizi, di effettuare una ulteriore cessione solo a favore di correntisti con partita iva. Questa modifica non produrrà a parere del sottoscritto un grande miglioramento nel grave panorama della cessione dei crediti, bloccati da delle norme che si sono fatte via via più restrittive a causa delle frodi, ma può comunque rappresentare una opportunità per alcuni.</p><p style="text-align: justify;">In secondo luogo, è stata apportata una modifica, piccola ma relativamente significativa, alla definizione di ristrutturazione edilizia contenuta nell'art. 3 comma 1 lett. d) del DPR 380/01 ed anche alla definizione delle opere soggette a permesso di costruire ma per le quali si può optare per la SCIA alternativa al permesso di costruire, dunque il contenuto dell'art. 10 comma 1 lett. c).</p><p style="text-align: justify;">il testo dell'art. 3 comma 1 lett. d) a valle della pubblicazione della L. 91/2022 ad oggi così <i>dovrebbe </i>recitare (su Normattiva.it il testo non è ancora aggiornato al momento di scrivere la presente, dunque il testo che segue è riportato per mera semplicità di lettura, senza rappresentare valore di legge):</p><blockquote><i>d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi
rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono
il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresi' gli interventi di
demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma,
prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche,
con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita',
per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento
energetico. L'intervento puo' prevedere altresi', nei soli casi
espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti
urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere
interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre
ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di
edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti,
attraverso la loro ricostruzione, purche' sia possibile accertarne la
preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli
immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi
<b><strike><span style="color: red;">dell'articolo 142</span></strike> degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d) e 142</b> del medesimo codice, nonche', fatte salve le
previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli
ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i
lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste
assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici
comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori
ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi
di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di
edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di
ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma,
prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche
dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di
volumetria;</i></blockquote><p style="text-align: justify;"><b>la modifica come si vede è puntuale e mirata</b> (parti in grassetto: in rosso il testo eliminato, in nero quello aggiunto in sostituzione) e, sostanzialmente, amplia la possibilità di poter ricondurre la definizione di demolizione e ricostruzione innovativa (cioè che è finalizzata alla realizzazione di un fabbricato differente rispetto a quello oggetto di intervento) all'interno della ristrutturazione edilizia anche in zone tutelate ai sensi del <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/11/i-vincoli-del-codice-dei-beni-culturali.html" target="_blank">Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio</a> (d.lgs. 42/2004) limitatamente a quegli edifici che ricadono nei vincoli paesaggistici ex legge Galasso (art. 142) ed in quelli dei beni d'insieme e delle vedute panoramiche (art. 136 comma 1 lettere c) e d).</p><p style="text-align: justify;">All'interno dei vincoli di cui alla lettera c) sono ricompresi anche i <b>vincoli che tutelano i centri e nuclei storici</b>, ma questi dovrebbero essere parallelamente comunque "tutelati" dal fatto che la semplificazione nella definizione di ristrutturazione continua ad essere preclusa per le zone territoriali omogenee di tipo A. Dunque, la verifica della definizione edilizia non può comunque prescindere dall'analisi degli strumenti urbanistici vigenti nel comune, oltre a verificare la corretta natura del vincolo in cui eventualmente ci si trova: non è difatti per nulla automatico che un vincolo di lettera c) ricada esclusivamente su aree che i piani regolatori individuano come zone A, anche laddove il vincolo sia prettamente mirato alla tutela di un centro o nucleo storico (soprattutto quanto alle fasce di rispetto: <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2016/12/centro-storico-di-roma-e-fascia-di.html" target="_blank">si veda per eventuale approfondimento quest'altro mio post specifico su Roma</a>).</p><p style="text-align: justify;">Come accennato, in parallelo il decreto aiuti va a modificare anche l'art. 10 comma 1 lettera c) e ciò è un bene perché le definizioni tra art. 3 co 1 lett d) e art. 10 co 1 lett c) viaggiano necessariamente in parallelo, almeno per una parte delle definizioni. Per chi è un po' digiuno di testo unico, è opportuno ricordare che l'art. 10 comma 1 elenca le opere che sono soggette a <i>permesso di costruire</i> e che, quindi, non possono essere autorizzate con titoli abilitativi di "rango" inferiore quali la SCIA o la CILA. Tuttavia, al fine di semplificare le procedure autorizzative relativamente ad alcune opere che i legislatore ha ritenuto leggermente meno invasive, <b>quelle elencate alla lettera c) possono essere autorizzate, a scelta dell'interessato agli interventi, oltre che con il Permesso di Costruire anche con la SCIA alternativa,</b> ai sensi dell'art. 23 DPR 380/01. Questo produce indubbi vantaggi in termini procedurali anche se va sempre evidenziato che un titolo abilitativo acquisito per silentium fonda tutta la sua struttura sulla base delle dichiarazioni del tecnico progettista.</p><p style="text-align: justify;">il testo dell'art. 10 comma 1 lett. c) a valle della pubblicazione della L. 91/2022 dovrebbe dunque così apparire:</p><blockquote><i>c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonche' gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree tutelate ai sensi <strike><b><span style="color: red;">dell'articolo 142</span></b></strike> <b>degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142</b> del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria. </i></blockquote><p style="text-align: justify;">Dunque alla luce delle innovazioni apportate dal decreto aiuti, si può affermare che le opere di demolizione e ricostruzione con modifica dei caratteri del fabbricato, della sagoma, dei prospetti ed anche della volumetria (che può essere incrementata, ovviamente laddove norme specifiche anche di rigenerazione urbana lo consentano), possono rientrare nella definizione di ristrutturazione edilizia e quindi essere autorizzati anche con SCIA alternativa al Permesso anche laddove ci si trovi nelle aree tutelate ai sensi degli articoli 136 comma 1 lett c) e d) e 142 del Codice, purché non ci si trovi contemporaneamente in zona territoriale omogenea di tipo A. Attenzione, ciò non significa che prima l'intervento in queste aree non era fattibile in assoluto, ma solo che non poteva rientrare nella definizione di ristrutturazione edilizia, dovendosi quindi sconfinare in quella superiore di nuova costruzione.</p><p style="text-align: justify;">La semplificazione si è resa necessaria in quanto obiettivamente le aree tutelate in particolare ai sensi della lettera c) spesso <b>coinvolgono aree estremamente vaste del territorio italiano</b> e ricomprendono facilmente ampi ambiti già urbanizzati, anche apparentemente privi di un concreto pregio architettonico o urbanistico. Questa caratteristica dei vincoli della lettera c) non deve stupire: questi sono vincoli che espressamente possono riguardare zone urbanizzate in quanto l'urbanizzazione è considerata una porzione stessa della composizione del paesaggio (non vi sarebbero altrimenti ricompresi espressamente i centri storici), ovviamente nelle zone in cui tale composizione è ritenuta di pregio. </p><p style="text-align: justify;">Si consideri inoltre che molto spesso i vincoli delle lettere c) e d) derivano da decreti emanati dal ministero ai sensi delle previgenti norme sulla tutela del paesaggio (L. 1497/1939 che rimarrà in vigore tecnicamente fino al 1999 ma effettivamente fino al 2008) che non distinguevano tra lettere c) e d), perché questa distinzione è stata inserita solo nelle norme più recenti. i vincoli istituiti con la precedente normativa quindi sono oggi recepiti dai piani paesistici come vincoli c)+d) senza distinzione tra categorie c) e d): <b>è per questo che il legislatore saggiamente ha introdotto la semplificazione per entrambe queste lettere</b>, altrimenti la lettura sui vincoli istituiti con la legge previgente (che sono la stragrande maggioranza, almeno in alcuni territori) sarebbe stata estremamente complessa e rischiosa.</p><p style="text-align: justify;">La semplificazione della definizione di ristrutturazione serve anche a <b>facilitare gli interventi con incentivo fiscale</b>, ed è per questo probabilmente che la norma è stata inserita nell'articolo del DL 50/22 in cui si parla di benefici fiscali. L'incentivo fiscale difatti può essere ottenuto solo su opere edilizie che rientrano nella definizione di ristrutturazione, in quanto le nuove costruzioni (e gli ampliamenti "secchi" quindi effettuati non nell'ambito di una demolizione e ricostruzione) ne rimangono escluse. è per questo motivo che si era creato molto malcontento con la precedente versione della norma, che rendeva nei fatti non applicabile una demolizione e ricostruzione con incentivo fiscale in zone con vincoli paesaggistici in cui l'oggetto della tutela non è il singolo edificio ma l'insieme di edifici in cui l'intervento su un singolo elemento non può comportare alterazione del contesto. Posto, comunque, che <b>l'intervento deve essere sempre sottoposto al preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica:</b> è a questo livello che deve essere esercitato il potere di vigilanza e controllo sui beni paesaggistici, non sul tipo di titolo abilitativo da presentare.</p><p style="text-align: justify;">Il presente post è frutto dello studio e dell'approfondimento dell'autore, che gratuitamente condivide con tutti: si declina tuttavia ogni responsabilità in caso di non rispondenza al vero delle affermazioni o delle citazioni di legge.</p><br /><br /><br />arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-33743065124310461702022-07-03T23:02:00.004+02:002022-07-12T16:41:29.116+02:00procedure autorizzative per impianti da fonte rinnovabile: aggiornamenti 2022<p style="text-align: justify;">Con la pubblicazione del d.lgs. 8 novembre 2021 n°199 (G.U. del 30 novembre 2021) sono state introdotte nella normativa sia delle semplificazioni, sia delle migliori definizioni degli interventi che prevedono installazione di impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile, in continuità con quanto già stabilito con il d.lgs 3 marzo 2011 n°28. In questo post cercherò di fare il punto, alla luce della recente entrata in vigore del provvedimento.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidm9MiWuiIo_XJ98G3QlFvnyDPYMcx9mbJGnVOGqynyGPSxqROMnkkZd6Dt4aMqZdjahf9lWk-if01FMh77RLlP6MmnW8uOhuB-Cso6RUZXE_awH9bLHISvCTL4zqSwv_bS525sT6BmK_1fTgAJLQ2xqJxdwTNzNQ26vO1YS-5aAskuZQD7RJfACjO/s640/solar-2666770_640.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="426" data-original-width="640" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidm9MiWuiIo_XJ98G3QlFvnyDPYMcx9mbJGnVOGqynyGPSxqROMnkkZd6Dt4aMqZdjahf9lWk-if01FMh77RLlP6MmnW8uOhuB-Cso6RUZXE_awH9bLHISvCTL4zqSwv_bS525sT6BmK_1fTgAJLQ2xqJxdwTNzNQ26vO1YS-5aAskuZQD7RJfACjO/s320/solar-2666770_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/it/photos/solare-tetto-energia-solare-2666770/" target="_blank">immagine di libero utilizzo da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;">Il decreto è articolato e si occupa di diversi ambiti: quel che interessa in questo post è estrapolare quelle parti che hanno incidenza diretta con l'attività edilizia su nuovi edifici o sugli edifici esistenti, ovvero le normative che, di riflesso, impongono degli obblighi verso la dotazione di impianti da fonte rinnovabile laddove si pongano in essere opere su edifici esistenti.</p><p style="text-align: justify;">In tale ottica l'articolo più specifico sulla questione è il 26. Qui viene indicato che nel caso di edifici di nuova costruzione e nei casi di interventi "di <i>ristrutturazioni rilevanti</i>" degli edifici esistenti, scatta l'obbligo di dotare l'edificio dei requisiti descritti all'allegato III. La definizione è ripresa da quella del d.lgs. 28/2011 e quindi non si riferisce né alle ristrutturazioni edilizie del DPR 380/01, né alle ristrutturazioni importanti di primo e secondo livello del d.lgs. 192/05, anche se le opere possono poi essere trasversali e ricadere anche nelle altre definizioni di legge citate: ai fini dell'applicazione della legge, bisogna fare riferimento solo alle definizioni del d.lgs. 28/2011. Anche se può apparire illogico - e, probabilmente, lo è - che norme diverse abbiano delle definizioni proprie che si assomigliano fra loro, è assolutamente fondamentale mantenere distinti gli ambiti e saper sempre riconoscere la definizione specifica del singolo ambito.</p><p style="text-align: justify;">Tornando alla definizione di <i>ristrutturazione rilevante</i>, l'art. 2 del d.lgs. 28/2011 così le definisce:</p><p style="text-align: justify;"></p><ul><li style="text-align: justify;">edificio esistente con superficie utile superiore a 1.000 mq soggetto a ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l'involucro;</li><li style="text-align: justify;">edificio esistente soggetto a demolizione e ricostruzione anche in manutenzione straordinaria;</li></ul><div style="text-align: justify;">Nelle <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2016/09/faq-ministero-sviluppo-economico-su.html" target="_blank">FAQ Mise del 2016</a> (seconda serie di FAQ del <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/10/il-nuovo-decreto-sullapplicazione-delle.html" target="_blank">Decreto Requisiti Minimi</a> e dell'APE) è stato risposto alla domanda sul come si determinasse la "ristrutturazione integrale" e se vi fosse un valore percentuale di riferimento. il MISE risponde laconicamente che per "integrale" si intendono tutte le superfici disperdenti. Questa risposta lascia un po' aperto il tema, perché allora sarebbe sufficiente, in una ristrutturazione integrale, lasciare una piccola porzione di superfici disperdenti non modificate per non rientrare nell'obbligo normativo: mi sembra un modo troppo semplicistico per risolvere il problema.</div><p></p><p style="text-align: justify;">Al di là di cosa debba intendersi per "ristrutturazione rilevante", nel caso in cui vi si ricada, la legge impone che è necessario raggiungere un fabbisogno minimo di energia prodotta da fonte rinnovabile, innalzando le soglie precedentemente in vigore e, soprattutto, specificando in modo fin troppo chiaro (art. 26 comma 4) che <b>il titolo edilizio è denegato nel caso in cui non viene dimostrato il rispetto del parametro minimo</b>. Nulla viene indicato, però, nel caso in cui l'intervento venga autorizzato con segnalazione certificata, cioè non con il rilascio materiale di un titolo, ma con un atto in cui il committente dichiara che l'intervento è immediatamente eseguibile (appunto un procedimento segnalativo, quale è la SCIA): probabilmente, per riflesso, potrebbe dedursi che l'avvio di opere in cui non sia dimostrata a livello progettuale la verifica del fabbisogno da fonte rinnovabile si traduce nell'inefficacia del titolo eventualmente acquisito per <i>silentium</i>. Questa probabilmente è una delle novità con più diretta influenza nel mondo dell'edilizia, perché l'inefficacia di un titolo porta con sé gravi conseguenze a caduta.</p><p style="text-align: justify;">Il tecnico progettista ha comunque facoltà di dimostrare l'impossibilità tecnica di porre in essere gli impianti, vagliando e confrontando tutte le opzioni disponibili e dimostrando l'infattibilità per ciascuna di esse (così appare leggersi tra le parole della norma). La norma specifica che, <b>in caso di presenza di vincoli,</b> <b>le disposizioni del decreto si applicano lo stesso</b>, anche nel caso di <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/11/i-vincoli-del-codice-dei-beni-culturali.html" target="_blank">edifici vincolati dalla parte II del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio</a>, cioè i monumenti architettonici e storici. Anche in questo caso sarà possibile dimostrare che il rispetto del fabbisogno può essere incompatibile con la tutela (lo sarà molto spesso, se non sempre) ma occorrerà sempre spendersi sulla relativa dimostrazione, altrimenti si rischia una contestazione di illegittimità dell'autorizzazione edilizia ai lavori. è comunque alquanto improbabile che in un edificio storico si ponga in essere una ristrutturazione integrale delle superfici disperdenti, almeno con le tecnologie ad oggi disponibili.</p><p style="text-align: justify;">Il temporalmente successivo <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2022/04/semplificazioni-per-fotovoltaico-con-il.html" target="_blank">DL 17/2022</a>, che entra più specificamente nel merito degli impianti fotovoltaici e solari ma non come obbligo di dotazione quanto piuttosto come semplificazione diretta al di là degli obblighi di legge, sembra comunque riprendere concetti e parole di questo testo.</p><p style="text-align: justify;">il comma 8 dell'art. 26 obbliga comuni e regioni ad adeguare le proprie disposizioni ai termini della nuova norma: se non lo fanno, dopo 180 giorni dalla pubblicazione del decreto, le norme in contrasto si devono ritenere superate. Stessa indicazione era già contenuta nel d.lgs. 28/2011.</p><p style="text-align: justify;"><b>L'articolo 25</b> è quello che, invece, introduce delle semplificazioni procedurali per l'installazione degli impianti da fonte rinnovabile, rimandando le disposizioni all'allegato II al medesimo decreto.</p><p style="text-align: justify;">L'allegato II del d.lgs. ad oggi stabilisce che:</p><p style="text-align: justify;"></p><ul><li style="text-align: justify;">per le <b>pompe di calore</b>, il regime di edilizia libera si applica per tutte le pompe con potenza fino a 40kW, e sono ascrivibili al novero della manutenzione ordinaria come già stabilito dal DPR 380/01. <b>Qui il passaggio normativo, a parere di chi scrive, non è affatto chiaro</b> perché non si capisce se le condizioni si debbano applicare entrambe o ne è sufficiente solo una. Nel secondo caso, cioè se bastasse una sola delle due, il primo punto non avrebbe senso perché secondo il DPR le pompe di calore sono attività libera fino a 12kW e solo nel caso di pompe "aria-aria"; nel secondo caso, cioè se dovessero verificarsi entrambe, non si comprenderebbe come i due punti possano essere sommati, in quanto il primo punto assorbe completamente il secondo e dunque non avrebbe avuto senso inserire il secondo (a parte per i sistemi che non sono "aria-aria"). Suggerisco cautela nell'attesa di una migliore definizione. Per le pompe che non rientrano in nessuna delle casistiche di cui sopra, è comunque sempre sufficiente la CILA (ma attenzione agli ambiti in cui il macchinario può avere incidenza sulla normativa sismica, cosa che sposterebbe l'intervento nell'alveo della SCIA). per quanto attiene agli ambiti vincolati, l'allegato non introduce nulla di nuovo in quanto viene indicata la normativa vigente (<a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2017/03/dpr-3117-ed-esenzione.html" target="_blank">DPR 31/17, ne ho parlato qui</a>: in particolare, viene "forzata" l'interpretazione secondo cui questi impianti ricadono nella voce A5 o B7 a seconda delle caratteristiche, in ciò confermando la prassi interpretativa prevalente);</li><li style="text-align: justify;">per quanto attiene ai <b>generatori di calore</b>, così genericamente definiti ma tra cui vi si fanno rientrare quelli ibridi, anche qui il riferimento è fin troppo generico: l'installazione è attività libera nei limiti di quanto già previsto dal DPR 380/01 (che non li categorizza, in verità), mentre per tutto ciò che non è tale, può essere autorizzato previa CILA;</li><li style="text-align: justify;">anche per quanto riguarda i <b>collettori solari termici</b>, non vengono introdotte specifiche sostanzialmente diverse da quelle già individuate all'<a href="https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2008-05-30;115~art11-com3" target="_blank">art. 11 comma 3 del d.lgs. 30 maggio 2008 n°115</a> ma viene introdotta la forzatura interpretativa secondo cui tutto ciò che non rientra nell'attività già definita libera (pannelli integrati nelle coperture, adagiati sulla falda, che non modificano la sagoma del fabbricato) può essere autorizzato tramite CILA. La disposizione, però, potrebbe ritenersi superata dal <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2022/04/semplificazioni-per-fotovoltaico-con-il.html" target="_blank">successivo DL 17/2022</a> che ha introdotto delle definizioni interpretative più spinte al fine di far rientrare i pannelli solari e fotovoltaici nel novero dell'edilizia libera.</li></ul><div style="text-align: justify;">Si noterà che nell'allegato II non si parla di fotovoltaico. Per questo, però, si può fare ad oggi riferimento al DL 17/22. probabilmente è stata una volontà politica quella di dedicare un testo semplificativo specifico per il fotovoltaico.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L'allegato III, che è quello che invece contiene le specifiche tecniche che devono rispettare gli edifici e che è richiamato nell'art. 26, indica ad oggi che:</div><div><ul><li style="text-align: justify;">deve coprirsi il 60% del fabbisogno di ACS e, contemporaneamente, anche il 60% della somma dei consumi previsti per CAS, climatizzazione invernale e climatizzazione estiva. il limite non si applica se l'edificio è allacciato ad una rete di teleriscaldamento. prima il limite era del 50%;</li><li style="text-align: justify;">il fabbisogno non può essere coperto con impianti fotovoltaici che alimentano resistenze elettriche: è invece ovviamente ammesso il pannello fotovoltaico che alimenta la pompa di calore;</li><li style="text-align: justify;">la potenza elettrica degli impianti alimentati da fonte rinnovabile deve essere non inferiore al risultato della formula P = k x s dove P è la potenza in kW; S è la superficie in pianta dell'edificio a livello del terreno, e k é pari a 0,25 per gli edifici esistenti ed a 0,05 per quelli di nuova costruzione.</li></ul></div><p></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-79530751432567700602022-04-19T09:26:00.010+02:002022-04-29T16:30:36.140+02:00semplificazioni per fotovoltaico con il DL 17/22<p> Ci sono diversi fattori, alcuni dei quali tremendamente attuali, che stanno spingendo il Governo italiano verso scelte che favoriscano e semplifichino la diffusione e installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Una di queste scelte è confluita nel DL 17/2022 "DL Bollette", dove sono state inserite delle norme che consentono una semplificazione dell'installazione di solare termico e fotovoltaico in alcuni contesti. Come sempre, la liberalizzazione non è totale e occorre saper distinguere le varie fattispecie per non incorrere in problemi potenzialmente molto seri.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNXauWkqnC3F6UNKioS6Hw8WryqXSz7u3f7yqJOvxn9ZelkBlFiCquC9RPxN0kzzRegRfl9iJ4OulmN6_8lksg7DGy9W25h2tpMnkXz66wIV-zyYi7oIzCpEs8yn-Q0dOSAv_knyNAqnHpuVdeRHxNzrh6_A7BDXn4diqkAWWuAXBVrdsOip0WmQip/s640/solar-4824562_640.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="640" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNXauWkqnC3F6UNKioS6Hw8WryqXSz7u3f7yqJOvxn9ZelkBlFiCquC9RPxN0kzzRegRfl9iJ4OulmN6_8lksg7DGy9W25h2tpMnkXz66wIV-zyYi7oIzCpEs8yn-Q0dOSAv_knyNAqnHpuVdeRHxNzrh6_A7BDXn4diqkAWWuAXBVrdsOip0WmQip/s320/solar-4824562_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/solar-solar-energy-solar-power-4824562/" target="_blank">Immagine di libero utilizzo da Pixabay</a><br />impianto fotovoltaico installato su tetto piano di edificio esistente</td></tr></tbody></table><br /><p>il DL energia, con il suo articolo 9, va a sostituire l'art. 7 bis comma 5 del D.lgs. 28/2011, il quale così attualmente recita:</p><p><b style="text-align: justify;"><span style="color: red;">In rosso</span></b><span style="text-align: justify;">, le parti aggiunte/modificate mediante <a href="https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/04/28/22G00048/sg" target="_blank">legge 29 aprile 2022 n°34 </a>di conversione:</span></p><blockquote><i>5. Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa sull'energia elettrica, l'installazione, con qualunque modalità, <span style="color: red;">anche nelle zone A degli strumenti urbanistici comunali, come individuate ai sensi del decreto del Ministro dei Lavori pubblici 2 aprile 1968 n°1444</span>, di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici, come <b>definiti alla voce 32 dell'allegato A al regolamento edilizio-tipo</b>, adottato con intesa sancita in sede di Conferenza unificata 20 ottobre 2016, n. 125/CU, o <b>su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici,</b><span style="color: red;"> ivi compresi strutture, manufatti ed edifici già esistenti all'interno dei comprensori sciistici,</span><b> </b>e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica nei predetti edifici o strutture e manufatti, <b>nonché nelle relative pertinenze</b>, <span style="color: red;">compresi gli eventuali potenziamenti o adeguamenti della rete esterni alle aree dei medesimi edifici, strutture e manufatti,</span> sono considerate interventi di <b>manutenzione ordinaria</b> e non sono subordinate all'acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, ivi compresi quelli previsti <span style="color: red;">dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al</span> decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, a <b>eccezione degli impianti che ricadono in aree o immobili di cui all'articolo 136, comma 1, lettere b) e c)</b>, <span style="color: red;"><strike>del codice dei beni culturali e del paesaggio </strike>del citato codice </span>di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, <span style="color: red;">individuati mediante apposito provvedimento amministrativo</span> ai sensi degli articoli da 138 a 141 del medesimo codice, e fermo restando quanto previsto dagli <b>articoli 21 e 157</b> del codice. <span style="color: red;">In presenza dei vincoli di cui al primo periodo, la realizzazione degli interventi ivi indicati è consentita previo rilascio dell’autorizzazione da parte dell’amministrazione competente ai sensi del citato codice di cui al decreto legislativo n.42del 2004. Le disposizioni del primo periodo si applicano anche in presenza di vincoli ai sensi dell’articolo 136, comma 1, lettera c), del medesimo codice di cui al decreto legislativo n.42 del 2004, ai soli fini dell’installazione di pannelli integrati nelle coperture non visibili dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici, eccettuate le coperture i cui manti siano realizzati in materiali della tradizione locale</span>».</i></blockquote><p style="text-align: justify;">La nuova norma dunque forza l'interpretazione normativa nel considerare attività edilizia non soggetta a titolo abilitativo quella che consiste nell'installazione di <b>pannelli solari termici e fotovoltaici,</b> ma solo nello specifico ambito descritto dall'articolo, lasciando intendere, quindi, che qualunque altro tipo di installazione segue regole differenti.</p><p style="text-align: justify;">Va anzitutto detto che la generica installazione di pannelli solari "<i>a servizio degli edifici</i>" era già considerata attività edilizia libera, perché così statuisce l'art. 6 comma 1 lettera e-<i>quater</i>) del DPR 380/01, definizione poi necessariamente confluita anche nel <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2018/02/glossario-unico-edilizia-libera.html" target="_blank">Glossario Unico dell'Edilizia Libera</a>. Nel testo normativo del DPR 380, che rimane inalterato dal DL 17/2022 (e qui può leggersi una incongruenza normativa), rimane espressamente escluso che la semplificazione possa riguardare anche gli immobili che si trovano nelle zone territoriali omogenee di tipo A di cui al DM 1444/68 (centri storici), distinzione che, invece, non è riportata nel testo del DL 17/2022 <span style="color: red;">ma che invece viene introdotta e specificata nel testo di conversione in legge.</span></p><p style="text-align: justify;">Il testo del DL bollette, però, è molto esatto e specifica una serie di cose, entro le quali la norma deve ritenersi necessariamente applicabile, producendo automaticamente il fatto che l'intervento rientra nella manutenzione ordinaria, probabilmente a prescindere da ciò che indica il DPR 380/01. La norma introduce anche delle specifiche disposizioni in caso di presenza di vincoli derivanti dal Codice dei Beni Culturali, ambito giustamente non toccato dal DPR 380/01. le condizioni affinché l'opera sia considerata edilizia libera sono le seguenti:</p><p style="text-align: justify;"></p><ul><li style="text-align: justify;">deve trattarsi di <b>intervento su edifici esistenti</b>. per la definizione di edificio si rimanda espressamene alla definizione n°32 delle 42 definizioni uniformi. Resta dunque escluso dall'applicazione dell'art. 9 del DL energia l'installazione dei parchi fotovoltaici, anche se poi gli articoli seguenti diranno qualcosa anche nel merito. L'intervento è di edilizia libera anche sulle pertinenze (ad esempio un box auto esterno isolato) e su qualunque <b>manufatto fuori terra</b> diverso dagli edifici dunque, immagino, anche strutture che non rientrano nella definizione di <i>edificio </i>ma che sono strutturati come tali, come ad esempio i volumi tecnici isolati o tettoie. la volontà normativa sembra dunque voler indicare che laddove esista qualunque cosa fuori terra costruita dall'uomo, sulla sua copertura può essere installato un pannello solare o fotovoltaico in edilizia libera. Aggiungo io, che è bene che quell'oggetto su cui si poggiano i pannelli <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2013/08/la-legittimita-della-preesistenza-come.html" target="_blank">sia legittimo dal punto di vista edilizio</a>;</li><li style="text-align: justify;">l'intervento come descritto al punto precedente, oltre ad essere forzatamente inserito nella definizione di edilizia libera, <b>espressamente non è soggetto a nessun altro tipo di atto di assenso preventivo amministrativo</b>. In ciò si può leggere una liberalizzazione <i>totale</i>, anche delle eventuali procedure che possono essere imposte dagli strumenti urbanistici locali. Ad esempio a Roma, penso ai pareri consultivi preventivi di COQUE e Sovrintendenza Capitolina in caso in cui <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2016/05/carta-per-la-qualita-istruzioni-per-luso.html" target="_blank">l'immobile ricada in carta per la qualità</a>. presterei, però, attenzione ai regolamenti sismici, i quali possono stabilire delle condizioni secondo cui l'installazione, in particolare dei pannelli termici, sono soggette ad acquisizione dell'<b>autorizzazione sismica</b>;</li><li style="text-align: justify;">punto nodale, i <b>vincoli paesaggistici</b>. La norma introduce una semplificazione per gli edifici che hanno un vincolo paesaggistico, di cui alla parte III del Codice dei Beni Culturali, in quanto, con l'ultimissima frase "<i>fermo restando quanto previsto dall'art. 21</i>", automaticamente si esclude dalla semplificazione qualunque edificio che possa essere ricompreso nei vincoli del beni culturali propriamente detti, gestiti dalla parte II del Codice. Dunque la semplificazione è limitata ai vincoli paesaggistici. La semplificazione non si applica nel caso di una specifica categoria di beni paesaggistici i quali, però, appartengono ad una famiglia di vincoli che ne ricomprende moltissimi: quelli di cui all'art. 136 comma 1 lettere b) e c). I vincoli di cui alla lettera b) sono le ville ed i parchi storici o di interesse naturalistico, mentre in quelli di cui alla lettera c) sono ricompresi tutti quelli dei beni d'insieme, ivi compresi i centri storici. In queste fattispecie di vincolo, dunque, la semplificazione non si applica e si seguono, quindi, le regole ordinarie. <span style="color: red;">In sede di conversione in legge</span> si è voluto comunque "liberalizzare" una specifica categoria di intervento, ovvero quella che prevede l'installazione di pannelli solari integrati alle coperture degli edifici nelle zone dotate di vincolo di cui all'art. 136 comma 1 lettera c), purché la stessa non sia visibile da suolo pubblico o da punti panoramici e purché la copertura non sia realizzata con materiali della tradizione locale. Mi sembra una specifica abbastanza circostanziata e puntuale, applicabile forse in qualche caso specifico: attenzione, di fatti, alle città vincolate che sono visibili da punti di vista molto in alto (ad esempio vicine montagne che consentono la vista verso la città a valle);</li></ul><div style="text-align: justify;">L'ultimo punto, però, non deve far disperare o confondere: il DPR 31/17 aveva già introdotto delle disposizioni semplificative dell'installazione di pannelli solari e fotovoltaici in presenza di vincoli paesaggistici, solo che qui le regole per rientrare nell'esenzione anche dell'autorizzazione paesaggistica sono un pochino più circoscritte. Se facciamo riferimento al punto A6 dell'allegato A al DPR 31/17 (<a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2017/03/dpr-3117-ed-esenzione.html" target="_blank">se non sapete cosa è il DPR 31/17 vi rimando a questo mio post</a>), scopriamo che l'installazione dei pannelli sulle coperture piane, se non visibili da spazio pubblico, era già liberalizzata. In caso di tetto a falda, però, permangono delle limitazioni, soprattutto, guardacaso, se ci si trova nell'ambito dei beni di cui all'art. 136 comma 1 lettere b) e c). Invece se ci si trova al di fuori di questi specifici ambiti, l'installazione dei pannelli in aderenza alle coperture dei tetti è attività libera dall'autorizzazione paesaggistica. A mente del DL 17/22, però, a questo punto deve intendersi liberalizzata l'installazione anche non in aderenza alle falde nelle zone il cui vincolo non è riconducibile a quelli dell'art. 136 comma 1 lettere b) e c) come ad esempio tutti i vincoli di cui all'art. 142 (vincoli della ex legge Galasso).</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per quanto riguarda i centri storici, occorre spendere qualche parola nello specifico. Come visto, rimane ad oggi una doppia lettura, forse contrastante, tra DPR 380/01 e DL bollette, in quanto il primo ancora specifica che nei centri storici (zone territoriali A) gli interventi non sono di edilizia libera, mentre il secondo, non circoscrivendo il discorso a nessuna zona territoriale, di fatto amplia la semplificazione a tutte le tipologie di tessuto urbanistico (estendendolo espressamente anche alle zone A con legge di conversione): basta che sia presente, come detto, un edificio. Va detto, però, che molti centri storici sono vincolati con un vincolo paesaggistico di cui all'art. 136 comma 1 lettera c), dunque in questo caso l'intervento è di manutenzione ordinaria ma rimane sempre soggetto alle restrizioni previste dal Codice dei Beni Culturali, nelle disposizioni applicabili caso per caso, eccetto la specifica e puntuale fattispecie descritta nell'ultimo periodo del testo sopra citato. Si può invece affermare che, laddove si sia in presenza di un tessuto storico ma privo di vincolo paesaggistico, allora ad oggi si opera la semplificazione. Ad esempio, ampie zone di Roma sono zona territoriale A ma esterna alla perimetrazione del vincolo paesaggistico del <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2013/07/il-protocollo-dintesa-sbap-comune-di.html" target="_blank">patrimonio UNESCO</a>. Presterei anzi attenzione al fatto che dall'incrocio tra la norma semplificativa e la specifica disciplina del centro storico di Roma, che <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/05/tar-lazio-il-centro-storico-di-roma.html" target="_blank">non prevede un vero e proprio vincolo paesaggistico</a>, può crearsi un pericoloso "buco" che andrebbe presto colmato.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">il DL energia introduce poi delle forme di razionalizzazione anche per il fotovoltaico in area agricola e per l'<i>agrovoltaico</i>, una forma innovativa ed interessante di integrazione tra agricoltura e pannelli fotovoltaici che potrebbe in effetti fare la differenza. Non si applicherebbero, però, le semplificazioni viste sopra perché queste si applicano solo agli impianti realizzati ad integrazione sugli edifici esistenti.</div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZpIl-Jpfy8cNwzg3R1gcry99_LOMOXPWalvgYdcXwmoT8v_U4iH7i_4RgnofkydmhxuMYq-lXTYSavG09KPwVmE47zswITQJ6dWp5ica1-LR9Fghxxg50sk8mzR0vaE3sOe_OBHHla-GXr5Wpy9Mf-FDf9Fl_56GraQYyAMZF9tCEnb8k08ww7wce/s640/photovoltaic-system-2742304_640.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="420" data-original-width="640" height="210" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZpIl-Jpfy8cNwzg3R1gcry99_LOMOXPWalvgYdcXwmoT8v_U4iH7i_4RgnofkydmhxuMYq-lXTYSavG09KPwVmE47zswITQJ6dWp5ica1-LR9Fghxxg50sk8mzR0vaE3sOe_OBHHla-GXr5Wpy9Mf-FDf9Fl_56GraQYyAMZF9tCEnb8k08ww7wce/s320/photovoltaic-system-2742304_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/photovoltaic-system-solar-2742304/" target="_blank">immagine di libero utilizzo da Pixabay</a><br />una possibile applicazione di agrovoltaico</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Qualche ulteriore barlume si scorge verso il geotermico, una fonte di energia rinnovabile che l'Italia ha sempre purtroppo sottostimato ma che potrebbe essere una preziosissima risorsa, avendo un territorio che ne è potenzialmente ricco.</div><p></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;"><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com15tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-24797765207020661812022-04-02T19:20:00.004+02:002022-04-26T09:11:00.113+02:00Il manuale della compravendita immobiliare scritto da me<p style="text-align: justify;">Con questo post vi presento il mio nuovo libro: <a href="https://www.maggiolieditore.it/la-compravendita-immobiliare-una-guida-per-professionisti-e-non.html" target="_blank">La compravendita immobiliare: una guida per professionisti e non</a>. E' un testo che ho sentito l'esigenza di scrivere - e ringrazio l'editore Maggioli per aver deciso di pubblicare la mia proposta - perché sempre più spesso mi capita di imbattermi in persone disorientate e spesso anche avvilite per non riuscire a trovare chiarezza e risposte ai mille dubbi che attanagliano le persone che decidono di vendere o di acquistare una casa.</p><span><a name='more'></a></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.maggiolieditore.it/la-compravendita-immobiliare-una-guida-per-professionisti-e-non.html" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;" target="_blank"><img border="0" data-original-height="560" data-original-width="395" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimHhBl6Vx82weYAasMqhssKPjiaPB6xQJvhFTUei3Mj0jULx1shS7lO3CoZge6sH8xJ5Tla3hCdgsJWyBQJlXd7PtJm9mN-n_bomhd2ZZcSQepMPeWTh2XLscvBMNQZ35Dz7WtGQL8imGoS3WaIXuBcWRh298tN4WQbt5TYrbgDxCDRfGMXn7XN0ZT/s320/compravendita.jpg" width="226" /></a></div><br /><p style="text-align: justify;">Chi fa il tecnico come me sa quanto può essere pieno di insidie il mondo della compravendita immobiliare, ma chi si approccia all'acquisto o alla vendita senza essere un esperto del settore, può in effetti correre inconsapevolmente dei <b>rischi di un certo rilievo</b>. Sempre più spesso, oggi, si sente parlare di immobili acquistati che, <b>solo dopo il loro acquisto, hanno svelato gravi difformità edilizie</b> che l'acquirente è stato costretto ad affrontare, con aggravi di costi e di complessità, da cui è nato un <b>contenzioso civile</b> con il precedente proprietario e venditore. Oppure, quante volte si è sentito dei problemi venuti a galla solo dopo aver acquistato un immobile all'asta?</p><p style="text-align: justify;">Questo mio nuovo testo non ha la pretesa di fornire una risposta alle mille domande che possono nascere, ma cerca di sviluppare un <b>cammino all'interno di tutti quegli ambiti che è importante almeno per sommi capi conoscere</b> quando si decide di comprare o vendere un immobile. Chi scrive è un tecnico e questa è una guida che vede la questione da una prospettiva decisamente tecnica: naturalmente, gli attori della compravendita immobiliare sono anche altri (il Notaio, l'agente immobiliare, la banca) e non mancano dei paragrafi dedicati al ruolo di ciascuno di essi.</p><p style="text-align: justify;">Nella compravendita difatti è anche importante sapere <b>cosa poter pretendere e da chi</b>: contrariamente a quanto si può pensare, l'agente immobiliare non è necessariamente tenuto a valutare e conoscere lo stato di legittimità edilizia di un immobile, in quanto il ruolo di questa figura è quello della mediazione, e non è tenuto a conoscere dettagli tecnici che, peraltro, neanche gli spettano. Anche la figura del Notaio ha nell'immaginario collettivo un ruolo leggermente diverso da quello che in realtà svolge: egli ha un ruolo di pubblica necessità (avete mai pensato che i rogiti non possono non essere pubblici? come si potrebbe vendere un immobile se non esistesse un registro che annota chi ne è proprietario?), attraverso cui l'immobile subisce il passaggio di proprietà e, nel fare ciò, raccoglie le dichiarazioni del venditore e le trascrive nell'atto, che ha tutte le forme di un contratto. Non è, però, direttamente responsabile della effettiva veridicità di quelle affermazioni, né è formalmente tenuto ad effettuare verifiche di legittimità, a meno che non ne venga espressamente incaricato. Tutto ciò viene descritto nel mio testo, con chiarezza e dovizia di riferimenti alla giurisprudenza che vi è stata nel merito.</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDN7KqNhm-Tb-s0IDIKIdHZxUMgTrEMGrlkcVAsNg7oq3s7Po8aPfydppVVF2QF9guhEE1QChAkok3Otcna2VYCbI-vM3Wg4Cfhf01MnCllPw57PgkDbVYoH2E7SjgMh7hSMP2dtNHQtrK5EOOFML8D1Zve53TKTaaLPBOPTFEc87_aMFhILChnGPn/s843/marco_campagna_manuale_prog_compravendita_imm.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="843" data-original-width="843" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDN7KqNhm-Tb-s0IDIKIdHZxUMgTrEMGrlkcVAsNg7oq3s7Po8aPfydppVVF2QF9guhEE1QChAkok3Otcna2VYCbI-vM3Wg4Cfhf01MnCllPw57PgkDbVYoH2E7SjgMh7hSMP2dtNHQtrK5EOOFML8D1Zve53TKTaaLPBOPTFEc87_aMFhILChnGPn/s320/marco_campagna_manuale_prog_compravendita_imm.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Un autoscatto con i miei due libri</td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;">Ovviamente, <b>ampio spazio nel mio testo è dedicato alla legittimità urbanistica</b>: accompagno il lettore attraverso la storia della normativa edilizia italiana, soffermandomi sui tratti salienti: solo conoscendo la storia della normativa, difatti, si può effettuare una corretta valutazione della legittimità edilizia. Dato che <b>la conformità è uno dei temi principali della compravendita </b>(ma di cui si parla troppo poco e, soprattutto, <u style="font-weight: bold;">troppo tardi</u>), è dedicato ampio spazio alla descrizione dei titoli abilitativi, alla classificazione degli interventi edilizi ed all'inquadramento urbanistico generale, nonché le modalità di gestione delle non conformità: in questo modo il lettore avrà a disposizione tutti gli elementi essenziali per potersi districare attraverso le non conformità e saperne valutare la gravità. Soprattutto, viene spiegato in modo chiaro <b>quali effettivamente sono i documenti a cui occorre riferirsi per valutare lo stato urbanistico legittimo</b>, poiché - sfatiamo un mito - la planimetria catastale non è (quasi) mai un documento probante a livello di conformità edilizia (e nel testo spiego bene perché è così).</p><p style="text-align: justify;">Mi è sembrato anche doveroso dedicare <b>un intero capitolo al catasto ed alla conformità catastale</b>, in quanto la rispondenza della planimetria allo stato reale dell'immobile è una condizione che è richiamata espressamente dalla stessa legge: vengono quindi descritti gli elementi per capire se una planimetria catastale è effettivamente rispondente allo stato visionato oppure no.</p><p style="text-align: justify;">Un ulteriore capitolo è dedicato esclusivamente agli <b>immobili che, tipicamente più di altri, devono suscitare l'attenzione dell'acquirente</b> (e del venditore): quante volte ci si è imbattuti in immobili realizzati ai piani super-attici dei fabbricati, salvo poi scoprire che, nascendo come locali tecnici tipo stenditoi o lavatoi, non erano idonei per la residenza? oppure, siete sicuri che l'acquisto di una nuova costruzione non presenti le stesse criticità che possono trovarsi nell'acquistare un immobile costruito anni addietro?</p><p style="text-align: justify;">Non mancano approfondimenti sulle tasse da pagare nel caso di compravendita, sulle problematiche specifiche degli immobili non residenziali, sulle modalità per gestire le non conformità edilizie.</p><p style="text-align: justify;">Come anticipato, il testo nasce da una mia iniziativa, proprio perché sono rimasto impressionato, nel corso della mia esperienza professionale, da come possa esserci tanto disorientamento di fronte a temi davvero fondamentali, soprattutto considerando l'entità delle cifre che generalmente sono in gioco nel caso di immobili.</p><p style="text-align: justify;">Per chi avesse interesse ad un testo che valuti la conformità edilizia più dalla prospettiva della Due Diligence Immobiliare, posso suggerire il mio primo libro: I<a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/12/il-manuale-del-progettista-scritto-da.html" target="_blank">l Manuale del Progettista per l'intervento sull'esistente e per la redazione di Due Diligence immobiliari</a>.</p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-57282552911738211522022-03-15T18:45:00.000+01:002022-03-15T18:45:03.750+01:00webinar formativi svolti con LavoriPubblici.it<p>Tra gennaio e marzo 2022 ho svolto, con la moderazione dell'amico nonché collega ing. Gianluca Oreto di LavoriPubblici.it, quattro webinar formativi nel merito di quattro distinti argomenti. Le registrazioni degli eventi sono disponibili per la visualizzazione in differita. Di seguito link e dettagli.</p><span><a name='more'></a></span><p><br /></p><p>Anzitutto, il <a href="https://www.lavoripubblici.it/formazione-tecnica" target="_blank">link generale alla pagina dedicata alla formazione</a> del portale lavoripubblici.it.</p><p>I quattro webinar hanno toccato argomenti diversi, alcuni di estrema attualità, altri invece rivolti a temi sempre validi.</p><h2 style="text-align: center;"><a href="https://www.lavoripubblici.it/formazione/122-titoli-edilizi-agibilita-prima-dopo" target="_blank">titoli edilizi ed agibilità: il rapporto tra prima e dopo</a></h2><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjtn8qyNe92V3WDZCuJAGmnQ2hxeQuls3Rz93GPKzvD72_Sx6x4KPmrrRv3rxD0BNVTgJ_aKJ9CN8E_MukDblIqqiCIiV3Y0VpEEdzWR_D7F8mwVdC_cDi0qouWP9pEPAyWU9elgv1q0sU9ZTavS6objlQlbLg7UtBLboa4VK9ymd7RBKxymR_Q2kQs=s388" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="206" data-original-width="388" height="170" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjtn8qyNe92V3WDZCuJAGmnQ2hxeQuls3Rz93GPKzvD72_Sx6x4KPmrrRv3rxD0BNVTgJ_aKJ9CN8E_MukDblIqqiCIiV3Y0VpEEdzWR_D7F8mwVdC_cDi0qouWP9pEPAyWU9elgv1q0sU9ZTavS6objlQlbLg7UtBLboa4VK9ymd7RBKxymR_Q2kQs=s320" width="320" /></a></div><div style="text-align: justify;">in questo webinar parlo del rapporto tra titoli abilitativi ed agibilità, inteso non solo in senso di correlazione tra possibilità di uso di un immobile e regolarità dell'agibilità, ma anche e soprattutto del rapporto tra conformità edilizia ed agibilità: tutto ruota attorno ai tre concetti fondamentali di stato urbanistico legittimo, agibilità, possibilità di uso dell'immobile.</div><div style="text-align: justify;">Non manca un approfondimento sull'evoluzione delle norme relative all'agibilità, ambito importante per poter operare con serenità sugli immobili risalenti a decenni fa.</div><div><br /></div><div><h2 style="text-align: center;"><a href="https://www.lavoripubblici.it/formazione/105-ristrutturare-in-presenza-vincoli" target="_blank">ristrutturare in presenza di vincoli</a></h2><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjDJoAERumWrq3FDlVOkr8-7lhFxdx2o4FoC6N5MjUxGPPc5gzgdQF9X0QTF3fxNCYCSJ9fxbm9BPkKtia5re1hiPY7fkUncBeSWn8iPh1Q0Z9QI7XuVyI5hN213DAAaZTg-1g2Ky02AuuRWV5L28zJfAGErmLTkd-0N3HNYW1ktd6DvNHbYuPjqvC-=s389" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="208" data-original-width="389" height="171" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjDJoAERumWrq3FDlVOkr8-7lhFxdx2o4FoC6N5MjUxGPPc5gzgdQF9X0QTF3fxNCYCSJ9fxbm9BPkKtia5re1hiPY7fkUncBeSWn8iPh1Q0Z9QI7XuVyI5hN213DAAaZTg-1g2Ky02AuuRWV5L28zJfAGErmLTkd-0N3HNYW1ktd6DvNHbYuPjqvC-=s320" width="320" /></a></div><div><br /></div><div style="text-align: justify;">In questo webinar ho approfondito il tema, delicato e vasto, degli interventi edilizi nell'ambito di immobili vincolati ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Ho parlato della differenza radicale tra parte II e parte III del Codice, delle differenti disposizioni ed approcci, della differenza della natura dei vincoli, ed anche di come individuarli e come acquisire in modo corretto le autorizzazioni relative.</div><div><br /></div><h2 style="text-align: center;"><a href="https://www.lavoripubblici.it/formazione/103-testo-unico-edilizia-dopo-decreti-semplificazione" target="_blank">il testo unico dell'edilizia dopo i decreti semplificazione</a></h2><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjTAkq3j-r4SSh3LtmboFsFi_21x3R2wpVo0HqzRvGKoT_OGpLhUxVBJZDn1zAIJsZ_RGIsq17gny4BomIyisQvuArhPaWeOi6jesyG5zTN2jWzWmF-AvFiOac4I_iDwUDaiS34eUbHEoXnGeuPlcg3o8D-K1Bl8jNM51wKZJDhUVK6XWOnxLSZ4SfW=s389" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="207" data-original-width="389" height="170" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjTAkq3j-r4SSh3LtmboFsFi_21x3R2wpVo0HqzRvGKoT_OGpLhUxVBJZDn1zAIJsZ_RGIsq17gny4BomIyisQvuArhPaWeOi6jesyG5zTN2jWzWmF-AvFiOac4I_iDwUDaiS34eUbHEoXnGeuPlcg3o8D-K1Bl8jNM51wKZJDhUVK6XWOnxLSZ4SfW=s320" width="320" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">Nelle estati del 2020 e del 2021 sono stati pubblicati due decreti, che portano entrambi il nome di "decreto semplificazioni". Questi due strumenti hanno introdotto all'interno del testo unico dell'edilizia o comunque nel mondo delle procedure edilizie delle novità importanti e rilevanti, che è utile conoscere per operare al meglio. Tra le novità più significative: l'introduzione della definizione "ufficiale" di stato urbanistico legittimo; l'introduzione di una speciale deroga ai rapporti igienico-sanitari in caso di immobili antecedenti al 1975, la creazione della specifica procedura CILA-Superbonus.</div><div><br /></div><h2 style="text-align: center;"><a href="https://www.lavoripubblici.it/formazione/121-sanatoria-edilizia-gestione-difformita" target="_blank">sanatoria edilizia: la gestione delle difformità</a></h2><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiDV8xpN2ZYmz-mZHzvYoOp3dDX01IxGoX6Rzy54M5KOxKhLQ2IKIiRcmMRlZwltF2Hm9xFMS3_TUjK6Y93lkCxG6F2yl5sNIhheW02q1wImF-9B4ADA83dP5gP_hRRSLUHVT24pEjy8j0WHun2ttDJckh4htg0A3egdZE1nyRUv7B1urB3LAPC__99=s390" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="209" data-original-width="390" height="171" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiDV8xpN2ZYmz-mZHzvYoOp3dDX01IxGoX6Rzy54M5KOxKhLQ2IKIiRcmMRlZwltF2Hm9xFMS3_TUjK6Y93lkCxG6F2yl5sNIhheW02q1wImF-9B4ADA83dP5gP_hRRSLUHVT24pEjy8j0WHun2ttDJckh4htg0A3egdZE1nyRUv7B1urB3LAPC__99=s320" width="320" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">un evergreen: come gestire le difformità edilizie e soprattutto come rilevarle in un immobile. Un tema vastissimo, in cui in tre ore ho cercato di fornire gli strumenti essenziali con cui poter operare in serenità riguardo a queste situazioni ormai sempre più frequenti. Si parla anche di condoni edilizi e di sanatorie nell'ambito dei contesti vincolati.</div><div><br /></div><div><br /></div><p><br /></p></div>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-26823266618175349232022-02-27T15:33:00.003+01:002022-02-27T15:33:58.352+01:00tolleranze costruttive ed agibilità<p style="text-align: justify;">Una recente interessante sentenza (<a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_to&nrg=202100644&nomeFile=202200080_01.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">TAR Piemonte, Torino, sez. II, n°80/2022</a>) mi spinge a fare un nuovo post, in particolare nel merito del concetto, recentemente innovato, delle tolleranze costruttive, nonché del rapporto tra agibilità e legittimità edilizia, concetto anch'esso di recente introduzione.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEg-m0-HAzHFk9yRDtnOadcHIV_P8wlVp-wEmdS-D8sbSYzv424TrlCnX-t35K8s_w1YbVynPSC1kc9o7s-zM0xl99fR0hWmhkLz5YcnLdi_jR3s0yQjWbOgTrZY9aLiFzJYR2OXIsN7pme4-Jer2NxImVywkNNOpig8Z6DyfeKhB-qwLcTKUgBrz2jQ=s640" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="426" data-original-width="640" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEg-m0-HAzHFk9yRDtnOadcHIV_P8wlVp-wEmdS-D8sbSYzv424TrlCnX-t35K8s_w1YbVynPSC1kc9o7s-zM0xl99fR0hWmhkLz5YcnLdi_jR3s0yQjWbOgTrZY9aLiFzJYR2OXIsN7pme4-Jer2NxImVywkNNOpig8Z6DyfeKhB-qwLcTKUgBrz2jQ=s320" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/architecture-blueprint-floor-plan-1857175/" target="_blank">immagine da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;">La sentenza trae origine dal contenzioso tra il comune di Torino ed un condominio, il quale presenta una istanza di sanatoria edilizia (SCIA) ai sensi dell'art. 37, specificando nel titolo abilitativo che il <b>fabbricato ha delle difformità generali afferenti la sagoma e le superfic</b>i le quali, però, rientrano nel concetto di tolleranza costruttiva. <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/07/dl-semplificazioni-e-nuovo-regime-delle.html" target="_blank">Questo importante concetto è stato di recente perfezionato ed esteso dal Decreto Semplificazioni 2020</a> (DL 76/2020 convertito con L. 120/20) grazie al quale oggi è descritto in un articolo a sé stante del testo unico, il 34 bis.</p><p style="text-align: justify;">il Condominio, per tramite del tecnico incaricato, dichiara che sono presenti delle irregolarità costruttive sul fabbricato, riconducibili alla originaria costruzione, che incidono anche sulle superfici lorde (parametro SLP degli strumenti urbanistici locali), ma che producono delle <b>differenze rispetto al progetto originario contenute all'interno del concetto di tolleranza costruttiva ai sensi dell'art. 34 bis</b> (già pubblicato ed operativo al momento in cui viene depositata la SCIA). Il comune contesta la correttezza del calcolo, specificando che non sarebbero stati verificati "tutti gli altri parametri edilizi" a cui la norma sulle tolleranze laconicamente fa riferimento. contesta inoltre il comune che, effettuando i calcoli in modo "corretto" della SLP, le differenze sarebbero oltre il margine di tolleranza del 2%. Tuttavia, il comune sembra non specificare con precisione come viene effettuato il calcolo.</p><p style="text-align: justify;">il Condominio insorge contro le doglianze del comune, contestando che questi <b>avrebbe dovuto specificare puntualmente quali sarebbero i parametri edilizi</b> che avrebbero dovuto essere oggetto di verifica, e che il "ricalcolo" delle superfici sarebbe privo delle necessarie spiegazioni tecniche ed argomentazioni, necessarie per poter ritenere valido l'atto di annullamento. Sul punto, il comune invece ritiene che la sua attività è "vincolata" e che quindi non deve fornire motivazioni esplicite. Sul punto, il TAR da torto all'amministrazione, la quale non può evocare il concetto di attività "vincolata" quando l'annullamento dell'istanza si basa su delle verifiche tecniche delle quali il cittadino ha, invece, prodotto ampia dimostrazione di correttezza. Sul punto, sostanzialmente il comune è soccombente, anche se la sentenza non arriva a definire un punto veramente essenziale della questione, ovvero quali siano effettivamente gli "altri parametri edilizi" che vengono evocati dalla norma nazionale. Possiamo solo dire, alla luce di quanto si dice in questa sentenza, che <u>il calcolo della superficie lorda è senz'altro uno di questi parametri</u>, forse il principale.</p><p style="text-align: justify;">il TAR censura, però, l'approccio del ricorrente quando cerca di far passare l'idea che il concetto di tolleranza possa ricomprendere in generale l'intera superficie di piano del fabbricato, ricomprendendovi anche porzioni comuni, non appartenenti quindi alle singole unità immobiliari, quali il vano scale. L'approccio era stato utilizzato, pare, per ribadire l'assenza di violazione delle tolleranze anche verificandolo rispetto a parametri diversi. Su questo aspetto il TAR riallinea invece la visione alle esatte parole della norma, la quale chiaramente specifica che <b>la verifica della tolleranza va fatta con riguardo alle misure della singola unità immobiliare</b>: da ciò deve dunque dedursi che è inutile ricomprendere nel calcolo delle tolleranze superfici che non riguardano le singole unità immobiliari, anche se è innegabile che le difformità edilizie possono invece verificarsi anche sulle parti comuni dei fabbricati, e quindi, su queste, vi sarebbe un vuoto normativo. Sul punto si era espresso in precedenza anche TAR Lazio con sentenza 4413/2021 che ho <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/07/dl-semplificazioni-e-nuovo-regime-delle.html" target="_blank">commentato in questo post già linkato sopra</a>.</p><p style="text-align: justify;">il ricorrente produce una ulteriore riflessione, nella condivisibile intenzione di sottoporre al tribunale tutte le argomentazioni possibili che si ritengono avere influenza sul caso: tra questi viene quindi proposto il concetto secondo cui la presenza dell'originaria agibilità del fabbricato (della fine degli anni cinquanta) proietti una sorta di legittimità retroattiva sullo stesso progetto edilizio, seguendo il concetto secondo cui l'agibilità rilasciata dal comune può assorbire delle difformità costruttive in quanto senza agibilità non può esserci conformità. Su questo punto invece il TAR da torto al Condominio, ribadendo un concetto già espresso dalla giurisprudenza ma anche da alcune amministrazioni regionali (tra cui il Lazio che ha emesso un parere nel 2018 in linea con questa visione, <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2018/05/cila-e-verifica-della-legittimita-della.html" target="_blank">che ho commentato in questa pagina</a>) secondo cui se è vero che l'agibilità ha come presupposto la legittimità edilizia, <b>non è altrettanto vero che la presenza dell'agibilità automaticamente garantisca il consolidamento dello stato legittimo</b> in presenza di difformità rispetto al progetto edilizio. Estraggo un passaggio interessante della sentenza in tal senso:</p><blockquote><i>Se è vero che la regolarità edilizio-urbanistica è presupposto per il riconoscimento dell’abitabilità non è vero l’assunto opposto, vale a dire che il rilascio del certificato di abitabilità (che è omologo alla licenza di cui si parla nel ricorso ai sensi dell’art. 221 del RD n. 1265/1934) costituisca prova della regolarità edilizia ed urbanistica. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione di discostarsi, “il certificato di agibilità degli immobili non presenta alcun rilievo sotto il profilo urbanistico-edilizio, assolvendo lo stesso esclusivamente alla funzione di controllo sanitario-urbanistico rispetto alla concessione edilizia a monte rilasciata e con opere concluse” (T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 21/01/2021, n. 188)</i></blockquote><p style="text-align: justify;">Sul punto pertanto è il Condominio ad essere soccombente.</p><p style="text-align: justify;">Ultimo tema toccato in questa interessante sentenza è quello della risalenza delle difformità ad epoca in cui, a detta del ricorrente, la normativa non avrebbe previsto l'obbligo di depositare una variante ad un progetto per "lievi" differenze. Sul punto il TAR valorizza il fatto che il regolamento edilizio del comune di Torino in vigore all'epoca della costruzione (il regolamento del 1922) <b>prevedeva espressamente la necessità di dotarsi di nuova licenza in caso di modifiche apportate in corso d'oper</b>a. Dunque su questo tema va a consolidarsi la causa, da me perorata anche in altre sedi, che i regolamenti edilizi precedenti alla L. 1150/42 sono da considerarsi comunque validi ed efficaci ai fini della valutazione dell'obbligo di dotarsi della licenza edilizia per edificare o per modificare, soprattutto quelli emanati dopo la pubblicazione della L. 297/1911 (ne ho parlato<a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2013/08/la-legittimita-della-preesistenza-come.html" target="_blank"> in questo post</a> ed anche in <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/06/la-legittimita-dei-fabbricati-prima-del.html" target="_blank">quest'altro post</a> ma <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/12/il-manuale-del-progettista-scritto-da.html" target="_blank">anche nel mio libro</a>).</p><p style="text-align: justify;">Anche se gli ultimi due argomenti non hanno persuaso il collegio, il Condominio ne esce comunque vittorioso per via delle riflessioni attorno al primo motivo di ricorso.</p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-16925649021627305632021-12-29T18:56:00.004+01:002021-12-29T18:58:46.454+01:00Omesso versamento contributo di costruzione<p style="text-align: justify;"> A volte può capitare che un titolo edilizio venga rilasciato ma che non vengano pagati correttamente gli oneri collegati al contributo di costruzione, stabilito dall'art. 16 del DPR 380/01. In questo post fornisco una breve disamina della questione.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhYqEn0iSxPnC2mqp8k60zxgSGVw3k56blN1fvHML5DU7VVG7wJ4uE2r8T1bpED6QsVO_B6PgH_vvqd0pmpqTbP8XasQH4Vqwbh_u95EfKVOoBb184dJ7ruTach4DYlwoSDFUZ1O0fRmoVLJlIS-XMkSVhFO2dXYq_RfK7kLkER_M3LR1TN_tYYQOcQ=s640" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="452" data-original-width="640" height="226" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhYqEn0iSxPnC2mqp8k60zxgSGVw3k56blN1fvHML5DU7VVG7wJ4uE2r8T1bpED6QsVO_B6PgH_vvqd0pmpqTbP8XasQH4Vqwbh_u95EfKVOoBb184dJ7ruTach4DYlwoSDFUZ1O0fRmoVLJlIS-XMkSVhFO2dXYq_RfK7kLkER_M3LR1TN_tYYQOcQ=s320" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/dollars-currency-money-us-dollars-499481/" target="_blank">immagine da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;">La casistica può ricorrere facilmente in una SCIA, laddove è il tecnico privato che sviluppa i conteggi dell'eventuale contributo di costruzione dovuto: in eventuali successivi controlli, il Comune può ritenere incongrui i calcoli e, quindi, insufficienti i versamenti e, a quel punto, deve procedere al recupero delle somme non versate. Altro caso tipico è quello in cui il titolare di un permesso di costruire ottiene il titolo pagando (legittimamente) solo una parte del contributo, ma poi non completa i versamenti nel tempo.</p><p style="text-align: justify;">Quel che interessa in questo post, è capire se la questione dell'omesso o insufficiente versamento del contributo <b>può in qualche modo intaccare la legittimità del titolo edilizio</b> che, in caso di SCIA, si consolida tacitamente o al momento dello stesso deposito (per le SCIA ai sensi dell'art. 22 DPR 380/01) ovvero dopo trenta giorni (per le SCIA alternative al permesso di costruire ai sensi dell'art. 23).</p><p style="text-align: justify;">Per guidarci nella interpretazione che porterà a stabilire che <b>la fattispecie non intacca la legittimità</b> del titolo, possiamo fare riferimento alla sentenza <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_sa&nrg=202000772&nomeFile=202100321_01.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">TAR Campania, sez. Salerno, n°321/2021</a> nella quale viene convalidato il ragionamento della difesa del ricorrente che indica che l'art. 42 del DPR 380/01, nell'indicare le sanzioni che sono a carico di chi ritarda il versamento richiesto, nulla dice circa l'eventuale incidenza della questione sulla corretta formazione del titolo.</p><p style="text-align: justify;">Anche per quanto riguarda l'agibilità, non sembra che il consolidamento della stessa possa essere compromesso da eventuali omessi od insufficienti pagamenti in quanto l'art. 24 del DPR 380/01 nulla evoca direttamente a riguardo.</p><p style="text-align: justify;">Nemmeno la questione sembra poter creare problemi agli <b>accertamenti di conformità</b>, perché anche in questo caso il rilascio del titolo è cosa separata dal versamento del contributo: è vero che l'art. 36 espressamente indica che il permesso in accertamento è collegato direttamente al versamento, ma, in generale, secondo gli articoli 10 e 12, il versamento in sé non è uno dei presupposti sulla base del quale viene rilasciato il titolo.</p><p style="text-align: justify;">Dunque in sostanza, il titolo edilizio una volta presentato (o ritirato, nel caso di permesso di costruire) non può essere annullato se il problema è solamente l'omesso o insufficiente pagamento del contributo ma, certamente, il comune conserva la possibilità di chiedere di completare il pagamento, tutto ciò a <b>meno che non siano trascorsi dieci anni dal momento del consolidamento del titolo</b>, in quanto oltre tale lasso di tempo l'amministrazione perde il suo potere di recupero delle somme. La decadenza decennale di questa possibilità è sancita dall'art. 2946 c.c..</p><p style="text-align: justify;">Anche gli eventuali oneri dovuti per monetizzazione degli standard urbanistici soggiacciono alla decadenza decennale: <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2019/10/monetizzazione-standard-e-prescrizione.html" target="_blank">ne ho parlato in questo post a cui rimando per approfondimenti</a>. Nel post linkato, si fa sempre riferimento all'art. 42 del DPR 380/01 per guidare la corretta interpretazione dell'obbligazione.</p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-111146217318383602021-12-28T17:57:00.004+01:002021-12-28T18:08:05.087+01:00assenza di genio civile e validità del silenzio-assenso, più varie<p style="text-align: justify;">Se in una istanza di Permesso di Costruire (e rifletteremo anche sulla questione della SCIA) risulta assente la denuncia delle opere strutturali (ad oggi ai sensi dell'art. 65 DPR 380/01), può ritenersi comunque maturato il "silenzio-assenso", in presenza degli altri presupposti? una recente sentenza del Consiglio di Stato ci fornisce la risposta.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjXQvvK0-Hi4eqfch-mLB7LvD8T7ua4vZjdZ0s2O4SoDKNruaj3TLK0ztDtiSKgQP_Rlo9Rv3yK8jFXL2Q8ysFI3laaxusAuajaH6O8h8NOiiRnDaQ6bWN-V2v1JCRenPcKgxtZmcLFaiCOrtdYX1OwITxAyppV-1Zu2YBqTcm6XRsbkBx74Lul0geh=s640" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="640" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjXQvvK0-Hi4eqfch-mLB7LvD8T7ua4vZjdZ0s2O4SoDKNruaj3TLK0ztDtiSKgQP_Rlo9Rv3yK8jFXL2Q8ysFI3laaxusAuajaH6O8h8NOiiRnDaQ6bWN-V2v1JCRenPcKgxtZmcLFaiCOrtdYX1OwITxAyppV-1Zu2YBqTcm6XRsbkBx74Lul0geh=s320" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/book-pages-chapters-open-open-book-1283865/" target="_blank">immagine da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;">La sentenza è la <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=202103602&nomeFile=202108544_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">n°8544 del 23 dicembre 2021 sezione IV del Consiglio di Stato</a>, ed è interessante, oltre che per la risposta all'incipit del presente post, anche per altre questioni che brevemente tratteggerò.</p><p style="text-align: justify;">La vicenda, che vede il ricorrente parzialmente vittorioso, si incentra sulla doglianza di un cittadino per il mancato rilascio (ovvero una espressa opposizione) di un Permesso di Costruire, e contestuale invocazione della maturazione del silenzio-assenso sullo stesso.</p><p style="text-align: justify;">La vicenda è abbastanza complessa, comunque in estrema sintesi si può riassumere per punti:</p><p style="text-align: justify;"></p><ul><li style="text-align: justify;">il permesso viene denegato perché nella zona in cui è stata richiesta la nuova edificazione, il piano regolatore impone la <b>preventiva approvazione di un piano attuativo</b>. il cittadino insorge perché in verità l'area è già urbanizzata, dunque non si ravviserebbe l'obbligo di un preventivo piano attuativo o, in generale, di uno strumento indiretto, in quanto non vi sarebbe la necessità di pianificare un'area già urbanizzata;</li><li style="text-align: justify;">il Consiglio accoglie in parte questo punto in quanto, evocando altra sentenza (CdS sez. IV n°8270 del 3 dicembre 2019), nella quale vi era la prospettazione del fatto che, in effetti, in aree già edificate ed <b>in caso di "lotto intercluso", l'edificazione può ritenersi possibile anche in assenza di programmazione attuativa, </b>anche se espressamente richiesta dallo strumento. Quando, invece, l'area risulti parzialmente urbanizzata e non si tratti di "lotto intercluso", un permesso di costruire non potrebbe essere negato per il solo motivo dell'assenza dello strumento attuativo, ma sarebbe compito del Comune valutare in concreto la fattibilità dell'intervento, tenuto conto delle peculiarità della zona. Dunque si conformerebbero tre ipotesi, relative all'edificabilità in zone in cui lo strumento urbanistico rimanda a piani attuativi prodromici al rilascio dei permessi:</li><ul><li style="text-align: justify;"><u>situazione di divieto</u> - se l'area non è urbanizzata o lo è in modestissima parte, non vi è motivo per discostarsi dal dettame dello strumento urbanistico quando impone di dover acquisire prima un piano attuativo o altro strumento pianificatorio indiretto. in questi casi, insomma, c'è poco da fare;</li><li style="text-align: justify;"><u>situazione permissiva di lotto intercluso</u> - laddove ci si trovi in un area già urbanizzata e si abbia la condizione di "lotto intercluso" edificabile, anche laddove lo strumento urbanistico dovesse assoggettare l'obbligo di edificazione all'approvazione di uno strumento indiretto, vi sarebbero i presupposti per rilasciare comunque il permesso di costruire, in quanto l'area avrebbe già una sua conformazione "definitiva". ovviamente il progetto deve comunque rispettare tutti i parametri del PRG. Ed attenzione, non deve trattarsi di area soggetta a strumenti volti al recupero di situazioni urbanistiche degradate, in quanto sembra parlarsi solamente delle ipotesi di pianificazione urbanistica di dettaglio per nuovi insediamenti o per completamento degli insediamenti esistenti. Non ritengo dunque sia applicabile, ad esempio, agli "ambiti di valorizzazione della città storica" del PRG vigente di Roma Capitale;</li><li style="text-align: justify;"><u>situazione intermedia</u>: quando l'area risulti edificata ma solo in parte, il comune non potrebbe rigettare una richiesta di permesso solamente adducendo all'assenza della preventiva approvazione del piano particolareggiato, ma dovrebbe valutare compiutamente l'effettivo impatto della costruzione su quello specifico territorio. Dunque può comunque l'amministrazione procedere al diniego del Permesso, ma deve farlo dopo opportuna valutazione e fornendo le dovute motivazioni.</li></ul><li style="text-align: justify;">il ricorrente afferma che il comune, nel diniego, non ha per niente valutato il fatto che ha presentato domanda di permesso convenzionato, ai sensi del "nuovo" art. 28-bis DPR 380/01: il Consiglio di Stato valorizza molto questa tesi, ammonendo il comune circa l'assenza di questa importante valutazione. Ricorda Palazzo Spada che <b>il permesso convenzionato fu introdotto proprio con l'idea di rendere più snella l'azione amministrativa nel caso di interventi urbanistici che possono soddisfare le esigenze di urbanizzazione in modo circostanziato</b>, evitando così le lungaggini proprie degli strumenti pianificatori ad approvazione indiretta</li><li style="text-align: justify;">ultimo punto, <u>che è invece quello che da il titolo al post</u>, è quello relativo al fatto che il ricorrente adduce la formazione del permesso di costruire per silenzio assenso: il Consiglio di Stato invece nega che tale cosa possa essere avvenuta e per giustificare ciò indica proprio il fatto che non risultava acquisita l'autorizzazione sismica, anzi non sarebbe risultata depositata la relativa richiesta. Indica Palazzo Spada che la stessa L. 241/90 impone che il <b>silenzio-assenso esclude gli atti e procedimenti riguardanti alcuni settori strategici tra cui la pubblica incolumità</b>, che è l'interesse pubblico principalmente sotteso alla progettazione strutturale. Alla luce di ciò, nella sentenza citata così si legge "<i>rileva, in punto di fatto, la circostanza che l'istanza dell'appellante non è corredata della autorizzazione sismica, sicché manca, nella fattispecie, un elemento essenziale per la formazione stessa del provvedimento tacito per silentium. <b>L'autorizzazione sismica si pone, infatti, non come requisito di validità bensì di perfezionamento del silenzio-assenso, in difetto del quale, è la stessa fattispecie a non venire ad esistenza</b></i>". Ciò in ultima analisi finisce per <b>riflettersi anche sul regime semplificato della SCIA</b> (escludendo aprioristicamente la CILA che non è in grado di gestire interventi che incidono sulla pubblica sicurezza, ma attenzione alla CILA-S che invece la ammette) la quale, per lo stesso principio, nel caso in cui fosse assente l'autorizzazione sismica laddove necessaria, sarebbe non tanto <i>nulla</i>, quanto piuttosto non perfezionata e, quindi, <i>inefficace</i>.</li></ul><div style="text-align: justify;">per quanto riguarda l'ultimo punto, a mio modesto modo di vedere, non è affatto impedito di acquisire l'autorizzazione sismica - o eventuale altro atto assente - a posteriori, a meno che la legislazione non lo vieti espressamente (come nel caso dell'autorizzazione paesaggistica, per opere che abbiano comportato aumenti di volume): una volta acquisita l'autorizzazione, verrà correttamente ripristinata la validità del titolo edilizio (anche ad opere già eseguite), ovvero potrà iniziare a decorrere il termine temporale per il silenzio-assenso. Ovviamente, in caso di opere già eseguite in assenza di autorizzazione sismica, si pone il non secondario problema del reato connesso al mancato adempimento prodromico.</div><p></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-72008874661554465162021-12-20T15:28:00.003+01:002021-12-20T15:28:51.622+01:00il sottotetto abitabile va computato nel volume edificato<p style="text-align: justify;">Oggi un post breve per commentare una recente sentenza del Consiglio di Stato che va a convalidare una teoria da me più volte sviluppata. Si parla di <b>volumi imponibili a fini edificatori</b> (dunque cubatura massima edificabile su un lotto) e relativa applicabilità agli spazi non prettamente abitabili ma potenzialmente tali.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhqTJ1j5rIEP_RLoEcubhSLg9XmqaMVZPqL78CxP6x93N90AOgWeZEH27aFrMP9xXrI-xMqVGyZoHZ7vfvo4do3-73FeSKTDz7khgoPZ6UbWGPE5YXtI1_yB0LTTveR0tUCJYAfjVSBG6Rh96khM-4BwvCxKi9BpZnN-6HYICw82QB8J2b86Q_BQE3F=s640" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="426" data-original-width="640" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhqTJ1j5rIEP_RLoEcubhSLg9XmqaMVZPqL78CxP6x93N90AOgWeZEH27aFrMP9xXrI-xMqVGyZoHZ7vfvo4do3-73FeSKTDz7khgoPZ6UbWGPE5YXtI1_yB0LTTveR0tUCJYAfjVSBG6Rh96khM-4BwvCxKi9BpZnN-6HYICw82QB8J2b86Q_BQE3F=s320" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/venice-italy-architecture-roof-2917271/" target="_blank">Immagine da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;">Parlo della <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=202104434&nomeFile=202107785_11.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">sentenza n°7785 sez. IV del 22 novembre 2021</a>.</p><p style="text-align: justify;">In estrema sintesi, dei vicini contestano ad un comune abruzzese di aver rilasciato un permesso di costruire asseritamente illegittimo, in quanto nella cubatura edificabile non sarebbe stato conteggiato anche il sottotetto, il quale, avente altezza di 2,40 metri (in media) ed avendo caratteristiche tali che ne consentono l'abitabilità, non dovrebbe essere sottratto da tale conteggio.</p><p style="text-align: justify;">La <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2019/04/distanze-volumi-tecnici-e-preesistenze.html" target="_blank">giurisprudenza già si era espressa in passato nel merito dei locali sottotetto </a>(o stenditoio/lavatoio) i quali non potevano essere considerati volumi tecnici: è importantissima, difatti, la <b>distinzione tra volume tecnico propriamente detto, e spazi invece potenzialmente abitabili</b>. il volume tecnico è quell'elemento edilizio chiuso, concepito esclusivamente per esigenze tecnologiche, che deve peraltro essere dimensionato senza esagerare troppo nelle dimensioni. Sono volumi tecnici i locali che ospitano caldaie o boiler dell'acqua calda, così come lo sono gli extracorsa degli ascensori, ovvero locali necessari per l'alloggiamento di apparecchiature elettriche od elettroniche funzionali al corretto funzionamento degli impianti. Dato che il volume tecnico è un elemento tecnologico indispensabile anche per far si che gli impianti possano essere realizzati nel rispetto della normativa sulla sicurezza o almeno per aumentarne la durata nel tempo, è consentito che questi spazi dedicati vengano sottratti alla cubatura edificabile: non è difatti un caso che, pur essendo elementi che incidono sulla sagoma e sui prospetti, possono essere realizzati su edifici esistenti spesso anche in "semplice" SCIA.</p><p style="text-align: justify;">Tutto ciò che non è un volume tecnico e, soprattutto, che <b>ha le caratteristiche per essere potenzialmente abitabile, invece, deve necessariamente essere computato nel calcolo della cubatura edificabile</b>. Per meglio identificare la questione, il Consiglio di Stato fa espresso riferimento alla <a href="https://www.bosettiegatti.eu/info/circolari/statali/1973_ci2474.htm" target="_blank">circolare n°2474 del 31 gennaio 1973</a>, la quale è estremamente chiara sul punto, tanto da chiedersi perché ancora dopo quasi cinquant'anni ancora si discute su questo argomento.</p><p style="text-align: justify;"><b>Il Permesso di Costruire in esame, pertanto, è stato annullato</b>. Fortunatamente (e, correttamente) viene specificato che l'annullamento riguarda solo la porzione del sottotetto, dunque il resto della costruzione viene confermato implicitamente nella sua legittimità (almeno solo per il fatto di non essere stato oggetto diretto di impugnazione).</p><p style="text-align: justify;">I ricorrenti avevano impugnato anche uno specifico articolo del regolamento edilizio comunale che disciplina appunto la possibilità di scomputare volumi che hanno determinate caratteristiche, ma tale aspetto non viene valorizzato dal Consiglio di Stato il quale ritiene che quel passaggio normativo si riferisce alle caratteristiche tecniche che devono avere i volumi tecnici per non essere considerati comunque all'interno del volume edificabile, pur essendo, appunto tecnici. Dunque il regolamento viene fatto salvo.</p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-19910386472177018622021-11-01T11:14:00.002+01:002023-03-22T16:06:45.192+01:00sanatoria strutturale e valutazione della sicurezza<p style="text-align: justify;">Chi come me fa (anche) tante pratiche edilizie di accertamento di conformità prima o poi si scontra con un problema non secondario: se l'opera eseguita in difformità contempla(va) interventi sulle strutture esistenti, l'accertamento di conformità deve contemplare anche un accertamento della <i>conformità strutturale</i>? e, se sì, questo significa che bisogna verificare che la struttura sia idonea a rispettare i requisiti della normativa vigente per le nuove costruzioni? andiamo con ordine.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkbbzPxasLuah8q_-Iy3FCvNOfwfh6SFAlqyySufKgwhXoeVA1mH65TUJLN-1BWSMhAKNptivx7N5y9XH7UGv8dN-S9j-UPf8XdGbbsIr1rJH4_qmdoG02245WqfgkSuTTdMt6PTcEDVs/s640/building-690177_640.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="370" data-original-width="640" height="185" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkbbzPxasLuah8q_-Iy3FCvNOfwfh6SFAlqyySufKgwhXoeVA1mH65TUJLN-1BWSMhAKNptivx7N5y9XH7UGv8dN-S9j-UPf8XdGbbsIr1rJH4_qmdoG02245WqfgkSuTTdMt6PTcEDVs/s320/building-690177_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/building-disrepair-decayed-690177/" target="_blank">Immagine da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p><span style="text-align: justify;">Tutto iniziò quando, nel 1985, per la prima volta venne introdotto nella legislazione italiana </span><b style="text-align: justify;">l'accertamento di conformità</b><span style="text-align: justify;">, generato dalla L. 47 di quell'anno e oggi confluito negli articoli 36 e 37 del DPR 6 giugno 2001 n°380. Questi due articoli contengono un principio fondamentale, e non necessariamente facile da gestire, relativo alla cosiddetta </span><i style="text-align: justify;"><b>doppia conformità</b></i><span style="text-align: justify;">: è, in estrema sintesi, un principio secondo cui ogni intervento, per poter essere sanato a posteriori, deve essere conforme alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dell'opera senza titolo, sia al momento in cui si deposita la richiesta di accertamento. Questo meccanismo serve ad evitare che amministrazioni conniventi possano modificare appositamente gli strumenti urbanistici a posteriori per rendere "sanabili" interventi effettuati abusivamente, magari anche di pesante speculazione (ma chi è in grado di operare speculazioni ad alto livello, non segue certo questa strada); per contro, crea gravi problemi applicativi quando l'oggetto da sanare corrisponde a delle difformità edilizie eseguite decenni prima dall'originario costruttore, e devono essere gestite ad oggi da proprietari del tutto ignari e soprattutto incolpevoli delle problematiche dei propri immobili. Questo significa che il professionista tecnico deve </span><b style="text-align: justify;">verificare che l'intervento era conforme alle norme vigenti di quando fu realizzato, ma che lo sia anche ad oggi</b><span style="text-align: justify;">. Fin qui tutto chiaro: ma il principio si applica anche alle norme non espressamente urbanistiche?</span></p><p style="text-align: justify;">l'edilizia è composta da tante norme - checché ne dica il titolo del DPR 380 che vorrebbe essere il "<i>testo unico</i>", che di <i>unico </i>ha solo il titolo - che disciplinano diversi aspetti: da quello energetico (d.lgs. 192/05) a quello sismico (lo stesso DPR e le norme tecniche per le costruzioni), dalle norme sulla prevenzione incendi fino ai principi sulle distanze tra costruzioni (D.M. 1444/68 ma anche Codice della Strada). Dunque c'è da chiedersi se il concetto di doppia conformità debba ritenersi esteso anche alle altre discipline tecniche che si ritengono sotto certi aspetti compenetrate all'edilizia. La giurisprudenza non è mai stata del tutto chiara sul concetto di doppia conformità esteso in senso generale a tutte le norme di settore, ma nel caso della sicurezza sismica è entrata effettivamente nel merito: il riferimento giurisprudenziale principale secondo me è da individuarsi nella <a href="https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2013&numero=101" target="_blank">sentenza 101/2013 della Corte Costituzionale</a> (che ha confermato l'incostituzionalità di alcuni passaggi di una norma Regione Toscana) la quale ha stabilito che la doppia conformità deve riferirsi anche all'ambito strutturale, poiché la vigilanza sull'attività strutturale è fondamentale per tutelare la pubblica incolumità. A valle di tale sentenza, ma anche precedentemente, altri dispositivi hanno militato in tal senso.</p><p style="text-align: justify;">Perché è così importante l'attenzione verso il contrasto alle norme strutturali? per diversi motivi: anzitutto, perché le norme tecniche si evolvono nel tempo, e le strutture realizzate nel passato pure in coerenza con le regole vigenti, con l'evoluzione della normativa diventano inadeguate agli standard di sicurezza futuri: adeguare le strutture esistenti alle norme tecniche vigenti può rappresentare un limite fisico impossibile da affrontare: immaginate di dover adeguare strutturalmente un edificio in telaio di calcestruzzo armato: l'intervento su travi, pilastri e solai prevederebbe il completo sventramento dell'edificio; non secondario è l'aspetto prettamente procedurale della cosiddetta "sanatoria strutturale", la quale è una procedura di fatto non prevista dall'attuale ordinamento e che implica, peraltro, l'accertamento delle violazioni penali connesse alla mancata denuncia di opere inerenti la pubblica incolumità. </p><p style="text-align: justify;">In questo complesso e delicato quadro, la norma censurata della Regione Toscana in verità non era poi così distante da quella che dovrebbe essere la logica applicativa: in estrema sintesi, il testo censurato prevedeva che, in caso di accertamento di conformità, per quanto riguarda l'ambito strutturale, la verifica della rispondenza della struttura dovesse essere limitato alle norme che erano in vigore al momento della realizzazione dell'illecito, e non a quelle in vigore al momento della presentazione dell'istanza: ciò avrebbe trovato la sua logica nella misura in cui è veramente difficile adeguare alle norme tecniche vigenti delle strutture realizzate in conformità alle norme precedenti, soprattutto se le costruzioni abusive risalgono a prima del 2008, anno di introduzione delle nuove norme tecniche per le costruzioni (poi modificate nel 2018), in cui furono introdotti principi di calcolo del tutto innovativi rispetto alle norme precedenti. Il principio non avrebbe nemmeno contrastato con la logica pratica: è vero che la tutela è verso la pubblica incolumità, con la quale non bisogna mai scherzare, ma se un intervento è stato fatto comunque in conformità delle norme tecniche dell'epoca (benché in assenza della prescritta autorizzazione), significa che è una struttura compatibile con il concetto ed il livello di sicurezza previsti al momento della costruzione. immaginiamo che l'oggetto della difformità sia un balcone, realizzato effettivamente durante la costruzione ma assente nel progetto: il costruttore probabilmente avrà fatto eseguire una variante strutturale allo stesso professionista che ha redatto il progetto di tutta la struttura ed è facile ritenere che, quindi, quel balcone, la cui struttura è compenetrata a quella dell'edificio, abbia un livello di conformità alle norme dell'epoca della costruzione ed ai relativi livelli di sicurezza uguali a quelli del fabbricato cui inerisce fisicamente. Sarebbe quindi logico ritenere che quel balcone possa essere sanato nello stato in cui è, verificando semplicemente che quel balcone sia stato effettivamente costruito con i livelli di sicurezza previsti all'epoca.</p><p style="text-align: justify;">La Corte ha, però, ritenuto errato questo approccio ed ha insistito sul fatto che gli interventi devono essere conformi alla disciplina tecnica in vigore, oltre che a quella urbanistica.</p><p style="text-align: justify;">Ma questo <b>non necessariamente significa che un opera debba essere perfettamente rispondente alle caratteristiche che avrebbe se fosse realizzata ad oggi ex-novo</b>, in quanto le NTC 2018 vigenti prevedono una apposita procedura (punto 8.3 delle NTC) di "valutazione della sicurezza" la quale procedura va esperita quando ricorra il caso di delle "<i>opere realizzate in assenza o difformità dal titolo abitativo, ove necessario al momento della costruzione, o in difformità alle
norme tecniche per le costruzioni vigenti al momento della costruzione.</i> ". Sembra dunque che le stesse norme tecniche prevedano una procedura apposita in caso di opere realizzate in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione, e ciò non confliggerebbe con il principio espresso dalla suprema Corte in quanto la procedura è incorporata nelle stesse norme tecniche per le costruzioni.</p><p style="text-align: justify;">La procedura prevede una sorta di <b>calcolo postumo dell'elemento strutturale <i>abusivo</i></b>, con l'indicazione, da parte del tecnico verificatore, di eventuali limitazioni all'utilizzo della struttura o di opere necessarie affinché la struttura possa svolgere il compito per cui è stata originariamente pensata. Questa procedura, a meno di norme regionali specifiche, non è una sanatoria strutturale e non dovrebbe essere intesa in tal senso da parte degli uffici del Genio Civile: si tratta, in sostanza, di una verifica, che può comportare l'esecuzione di opere laddove si ritenesse ad oggi che l'elemento strutturale sia in effetti un rischio per la pubblica incolumità. Ovviamente, la complessità dell'operazione risiede nel fatto che la struttura deve essere conosciuta dal verificatore, e quindi l'operazione può prevedere l'esecuzione di saggi al fine di verificare i dettagli delle carpenterie: può, insomma, non essere una operazione del tutto indolore.</p><p style="text-align: justify;">La Regione Lazio ad esempio ha disciplinato le procedure relative alla verifica della sicurezza mediante l'art. 10 del <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/10/regolamento-sismico-lazio-2020.html" target="_blank">nuovo regolamento sismico n°26/2020</a>. Secondo tale procedura, il deposito della verifica della sicurezza sul portale Open Genio (un portale telematico che assorbe e sostituisce gli ordinari depositi presso gli uffici comunali) previa esecuzione di specifiche valutazioni ed accertamenti.</p><p style="text-align: justify;">Si potrebbe dunque ritenere che questa possa rappresentare la via corretta da seguire in caso di sanatoria edilizia che implichi anche opere strutturali effettuate in difformità della prescritta procedura: da un lato, non vengono violate le norme tecniche sulle costruzioni, in quanto esse così espressamente prevedono di operare al punto 8.3, mentre dall'altra non appaiono in contrasto con il principio della sentenza della Corte Costituzionale la quale ha indicato che le Regioni non possono introdurre norme in contrasto con il Testo Unico, e la procedura della verifica della sicurezza sismica non appare contrastare con quella disciplina. </p><p style="text-align: justify;">Per fortuna, la Regione Lazio sembra condividere la stessa interpretazione che ho dato qui sopra a novembre 2021, in quanto nel <a href="https://www.asuswebstorage.com/navigate/a/#/s/C59DEF694366408A8F937D0576F29DF94" target="_blank">parere che è stato reso al Comune di Fara Sabina</a> nel dicembre 2022 individua proprio la medesima procedura, ovviamente a patto che si dimostri che le opere sono effettivamente antecedenti al momento in cui il territorio di interesse è entrato nella classificazione sismica.</p><p style="text-align: justify;">Scritta così, sembra una procedura facile e leggera, <b>ma occorre valutare anche altri aspetti</b>.</p><p style="text-align: justify;">Occorre, difatti, prestare grande attenzione all'aspetto pratico di questa procedura: la valutazione della sicurezza consente, in ipotesi, l'accertamento di conformità anche urbanistico <b>laddove sia pienamente positiva</b>, cioè nel momento in cui il tecnico incaricato di valutare la sicurezza sia in grado di attestare che effettivamente la struttura sia stata eseguita in conformità delle regole tecniche in vigore al momento dell'esecuzione dell'opera e risponda quindi ai livelli di sicurezza previsti dalle norme tecniche stesse; tale valutazione, peraltro, può essere di fatto impossibile laddove non sia possibile ricostruire con esattezza le caratteristiche della struttura (pensiamo al calcestruzzo armato e all'impossibilità del rilievo dei ferri in esso annegati). Laddove invece l'esito della verifica della sicurezza sia negativo, e si accerti, quindi, che l'intervento è stato eseguito in violazione delle norme o che anche soltanto non rispetti i valori di sicurezza prescritti, occorrerà prevedere delle opere di rinforzo le quali non potranno non essere coerenti con le prescrizioni delle norme tecniche (anche se non necessariamente è richiesta la prestazione prevista da una nuova costruzione): in tal caso si apre facilmente l'ipotesi che non solo si debbano realizzare interventi strutturali di consolidamento, rinforzo e quindi di <i>adeguamento sismico</i>, ma che si possano aprire le porte all'accertamento, da parte delle autorità, delle <b>eventuali responsabilità penali connesse all'aver eseguito in passato interventi strutturali in assenza della prescritta procedura</b>, in difformità delle normative in vigore. La differenza difatti può intravedersi nella differente natura della violazione: se questa è <i>procedurale</i>, cioè non si è effettuato il deposito del progetto ma comunque è stata fatta una struttura coerente con le norme (anche se con riferimento limitatamente a quelle in vigore al momento della costruzione), ovvero se è <i>sostanziale</i>, cioè manca sia il rispetto dell'adempimento, sia la violazione delle norme tecniche vigenti. </p><p style="text-align: justify;">Nel Regolamento sismico della Regione Lazio, la procedura per l'accertamento di eventuali reati è disciplinata dall'art. 19, nel quale comunque non vi è nessun espresso rimando alla procedura dell'art. 10: dunque almeno non vi è una connessione automatica tra deposito di una verifica della sicurezza ed un accertamento di violazioni. Su questo tema mi sembra ben strutturato il ragionamento contenuto nel <a href="https://ambiente.regione.emilia-romagna.it/it/geologia/sismica/lr-19-2008-norme-per-la-riduzione-del-rischio-sismico/l-r-19-2008-pareri-interpretativi-della-regione-emilia-romagna/cts-3_parere-n168-art-22-comma1-lr19-2008__all.pdf" target="_blank">parere del Comitato Tecnico Scientifico della Regione Emilia Romagna del 7 novembre 2019</a>, anche se fa riferimento principalmente alle norme specifiche regionali locali e quindi a procedure che possono non ritenersi valide anche nelle altre regioni.</p><p style="text-align: justify;">Sarebbe comunque auspicabile una soluzione più chiara e definita del problema, che affligge tantissimi ambiti: nel futuro testo in corso di valutazione politica, denominato "disciplina delle costruzioni", è apparsa una intera porzione dedicata alla sanatoria strutturale: la consapevolezza politica della delicatezza della questione, quindi, è presente e, forse, non dobbiamo fare altro che aspettare tempi migliori.</p><p style="text-align: justify;"><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-47350260014177300642021-10-04T11:35:00.003+02:002021-10-04T11:35:27.141+02:00condoni rapidi a Roma: la delibera 40-2019<p style="text-align: justify;">Roma Capitale si è dotata <a href="https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/dac-40-2019.pdf" target="_blank">nel 2019 di una delibera specifica, la n°40</a>, per cercare di risolvere l'annoso problema dello stallo del rilascio dei condoni edilizi. La delibera è di fatto divenuta operativa solo nel corso del 2020, dopo il varo del portale telematico esclusivamente dedicato a questa procedura. In questo post, vorrei tratteggiarne le caratteristiche, le possibilità, ed i possibili rischi a cui espone, perché, come forse noi tecnici romani abbiamo imparato, non è tutto oro quello che luccica.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBYPGKZ7WnXewxHv3RYT6JKEOHnedkmgpWKbPjtVTWhuCc212_JFecQ_kVK9DHeysJtNMHUMpF4w14ORljcWLrs3A0mS9qbF7jgZCVOrQy4C7dSgZGl8mqkroc7fq4q-Xm4FdXiP_W-sM/s640/facade-1209311_640.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="420" data-original-width="640" height="210" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBYPGKZ7WnXewxHv3RYT6JKEOHnedkmgpWKbPjtVTWhuCc212_JFecQ_kVK9DHeysJtNMHUMpF4w14ORljcWLrs3A0mS9qbF7jgZCVOrQy4C7dSgZGl8mqkroc7fq4q-Xm4FdXiP_W-sM/s320/facade-1209311_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/facade-apartment-building-1209311/" target="_blank">Immagine da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;">La possibilità di concedere una possibilità "semplificata" per la definizione delle domande di condono non è una novità: già la originaria 47/85 (art. 35 c. 17) <b>prevedeva un meccanismo di silenzio-assenso</b>, poi ripreso anche dalle successive leggi sul condono (art. 39 c. 4 della L. 724/94 e art. 32 c. 27 della L. 326/2003). Il titolo, però, si doveva formare sulla base di istanze perfette e complete, ed è sufficiente anche solo una lettera del comune, trasmessa anche a distanza di anni, ad annullare il trascorrere del tempo o a rendere non applicabile l'istituto del silenzio-assenso. E' sempre stata una situazione estremamente ambigua tale per cui si è sempre ritenuto necessario attendere il rilascio della cocnessione in sanatoria; tuttavia, nell'ambito di un procedimento informatizzato in cui il controllo documentale è tutto sommato serrato (e vi è una dichiarazione esplicita da parte del tecnico della completezza dell'istanza), il principio è in effetti concretamente applicabile. Questo è il concetto alla base del funzionamento del portale comunale SICER online, basato appunto sull'operatività delle disposizioni della delibera 40/2019.</p><p style="text-align: justify;">La delibera disciplina due distinte modalità semplificate: la prima è la procedura <i>semplificata</i>, mentre la seconda è quella con <i>silenzio-assenso</i>., più direttamente legata al discorso qui sopra. Passo ora a descrivere il lato più pratico della delibera.</p><p style="text-align: justify;">Il sistema prevede l'accesso informatico al database già preesistente dell'ufficio condono edilizio: dunque un cittadino a cui risulta intestata una domanda di condono, entrando nel portale telematico con il proprio SPID dovrebbe essere in grado di visualizzare l'istanza senza dover fare nessuna azione preventiva. Laddove si possiede un immobile con condono ma non risulta una istanza collegata al nominativo di chi dovrebbe essere il titolare, è probabile che non sia stato comunicato al condono il cambio di proprietà: tale procedura è necessaria, in questo caso, per modificare l'intestazione della domanda di condono. Generalmente, l'ufficio recepisce abbastanza velocemente questa procedura.</p><p style="text-align: justify;">Le due procedure previste dalla delibera (procedura semplificata e silenzio-assenso) possono essere attivate per qualunque domanda di condono, indipendentemente dalla tipologia e gravità dell'abuso commesso. </p><p style="text-align: justify;">La procedura semplificata prevede, all'esito, il rilascio di una concessione in sanatoria, mentre invece, in caso di attivazione del silenzio-assenso, viene rilasciato, a richiesta, una attestazione della maturazione dello stesso.</p><p style="text-align: justify;">Se si attiva la <b>procedura semplificata</b>, una volta presentata la domanda con tutti gli allegati, si è soggetti ad un sorteggio: se si viene sorteggiati, l'istanza viene istruita e verificata come se fosse una normale istanza soggetta a sollecito; se non si viene sorteggiati, tutto si baserà esclusivamente sulle dichiarazioni del tecnico. Vi sono poi dei casi in cui l'istanza non viene sottoposta a sorteggio ma viene comunque istruita: tale è il caso dei condoni che hanno ad oggetto ampliamenti o nuove costruzioni superiori a 450 mc.</p><p style="text-align: justify;">Se l'istanza viene sorteggiata, oppure se è soggetta al controllo obbligatorio senza sorteggio, la delibera indica in 180 giorni il tempo di evasione dell'istanza. nel caso in cui l'immobile ricada nelle casistiche in cui è previsto il rilascio del parere dell'ente preposto alla tutela del vincolo (art. 32 L. 47/85) il termine temporale si interrompe da quando viene trasmessa la richiesta e fino a quando ritorna indietro la risposta.</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg23oHhVKuvT48Vu5DqAKWXss93n1qccZdDrJ-NUHKcjoiCVbL8kfn01LdLL33mtWFhatJjpXddn8o4TQUrljKNg-OhnGGpm0btaIjXi7RPUFXO1tYGBzNFj6VRUphFor4nZq03GNVPvso/s400/dac40-19.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="296" data-original-width="400" height="237" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg23oHhVKuvT48Vu5DqAKWXss93n1qccZdDrJ-NUHKcjoiCVbL8kfn01LdLL33mtWFhatJjpXddn8o4TQUrljKNg-OhnGGpm0btaIjXi7RPUFXO1tYGBzNFj6VRUphFor4nZq03GNVPvso/s320/dac40-19.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">elaborazione grafica sulla base delle disposizioni dell'art. 2 del regolamento allegato alla D.A.C. 40/2019</span></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;">La <b>procedura per silenzio-assenso</b> è sotto certi aspetti più snella, ma prevede una <u><b>presa di responsabilità incredibile</b></u> da parte del tecnico, poiché egli si sostituirà completamente alla Pubblica Amministrazione, assumendone tutte le responsabilità. Io suggerisco di valutare, da tecnici, con estrema attenzione se effettivamente imbarcarsi in una procedura di rilascio condono per silenzio-assenso, soprattutto laddove l'abuso è di una certa entità e delicatezza. Attenzione soprattutto alle istanze che prevedono il rilascio del nulla-osta da parte dell'ente preposto alla tutela del vincolo, laddove attivo, in quanto questo è un aspetto che naturalmente non può essere oggetto di autocertificazione da parte del tecnico. Io personalmente evito del tutto di presentare domande per silenzio-assenso; potrei valutarle in alcuni casi veramente molto semplici, tipo modestissimi ampliamenti in zone non vincolate, o tipologie 5, 6 e 7.</p><p style="text-align: justify;"><b>Nessuna delle due procedure semplificata e di silenzio-assenso può essere avviata nel caso in cui venga richiesto un riesame pratica</b> e, diciamolo subito, ricorrere alle procedure non è affatto obbligatorio (anche se l'ufficio la caldeggia molto, ovviamente), essendo sempre possibile procedere con la procedura del "sollecito" che abbiamo utilizzato fino a prima di queste nuove procedure.</p><p style="text-align: justify;">Altra clausola (ovvia) di impossibilità di ricorrere alle procedure semplificate è l'eventuale differenza tra dati metrici dichiarati e rilievo dello stato dei luoghi: non è affatto raro trovare domande di condono nelle quali le superfici sono state incomprensibilmente computate male, sottodimensionate, se non proprio inventate o, ancora peggio, semplicemente dedotte dalle misure della planimetria catastale preesistente senza riscontrare le misure in loco: anche se dobbiamo immaginare che i condoni sono stati dei momenti di improvviso parapiglia, in cui tutti, sia cittadini che tecnici, navigavano a vista, non è mai accettabile che venissero presentate domande di condono senza neanche verificare metricamente quali erano le consistenze da dichiarare. Ma ciò avvenne, eccome se avvenne, ed oggi se ne pagano le conseguenze, in quanto non è generalmente ammesso, salvo casi particolari e circostanziati, aumentare le superfici oggetto di condono. La soglia di discrepanza tra dato dichiarato e dato reale, per poter accedere alle procedure semplificate, è il 2% (soglia indicata sul portale telematico ma non ufficializzata nella delibera).</p><p style="text-align: justify;">analogamente, <b>non è possibile accedere alle procedure semplificate laddove vi sia necessità di modificare la tipologia di condono</b>. Le tipologie di condono sono sette, per le domande di condono presentate ai sensi della L. 47/85 e della successiva legge del 1993, mentre sono sei per l'ultimo condono del 2003 (con il terzo condono è stata eliminata la tipologia 3 dei primi condoni e le ultime quattro sono slittate di una posizione verso l'alto). le prime tre sono le tipologie degli abusi più invasivi e contemplano nuove costruzioni ed ampliamenti: la tipologia 1 si attua quando l'abuso era effettuato in assenza di licenza e non era conforme alla normativa in vigore (abu<span style="background-color: white;">so sostanzial<span>e): anche la tipologia 2 e 3 (dei primi condoni) riguardano nuove costruzioni o ampliamenti, ma nel caso in cui siano conformi alle norme in vigore al momento dell'edificazione o conformi alle norme in vigore al momento di entrata in vigore della legge; le tipologie 4, 5 e 6 riguardano le opere abusive che non hanno comportato realizzazione di nuova cubatura: si va dalle opere di ristrutturazione edilizia e mutamento d'uso (tipologia 4) al risanamento conservativo in zona A (tipologia 5) e fuori dalla zona A (tipologia 6)</span>. la tipologia 7 è quella più blanda, che contempla opere di manutenzione straordinaria e risanamento conservativo, cioè le opere che attualmente possono essere gestite con una CILA. Come accennato, il terzo condono ha eliminato la originaria tipologia 3 (ampliamenti e nuove costruzioni conformi alle norme urbanistiche in vigore al momento dell'inizio dei lavori).</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="background-color: white;">piccola chiosa leggermente fuori tema: finché lavoriamo pratiche di tipologia 1 o delle tipologie 4, 5, 6 e 7, possiamo lavorare abbastanza sereni sulla pratica, dopo aver verificato che l'abuso ricada effettivamente nella tipologia dichiarata. le tipologie 2 e 3, però, richiedono una attenzione ulteriore, in quanto prevedono necessariamente la <b>verifica che effettivamente l'abuso commesso fosse conforme alle norme urbanistiche in vigore</b>, per la tipologia 2, al momento dell'entrata in vigore della legge, per la tipologia 3, al momento dell'inizio dei lavori. questa è una attività di verifica ulteriore e delicata, perché, in sincerità, vedo difficile che un intervento edilizio abusivo effettuato in zone già urbanizzate possa essere perfettamente conforme alla normativa dell'epoca, vista poi la difficoltà di ricostruire con esattezza la normativa in vigore in un preciso momento temporale. In casi dubbi, conviene procedere con procedura ordinaria o chiedere lo spostamento della tipologia verso la 1, con conseguente inapplicabilità della procedura semplificata.</span></p><p style="text-align: justify;">Ogni istanza <b>viene comunque sottoposta ad un controllo formale</b> per verificare la completezza documentale, visto che, nei fatti, questa è l'unica, vera responsabilità della pubblica amministrazione in questo tipo di procedure: la verifica della completezza dei documenti a corredo della domanda. Si presti attenzione estrema a questo aspetto, perché l'ufficio sarà marziale in questa verifica e potrebbe rigettarvi per intero l'istanza anche per l'assenza di una copia di un documento d'identità.</p><p style="text-align: justify;">Le tempistiche previste per l'evasione delle istanze possono apparire eccessive, ma non lo sono se si considerano i tempi ordinari di evasione delle istanze, che possono arrivare tranquillamente a due anni o anche più. Anche se l'ufficio spinge molto per la presentazione di istanze con procedura semplificata, a mio avviso, ed al di là dei casi espressamente esclusi (ricordiamolo: pendenza o necessità di istanza di riesame; discordanza tra misure rilevate e misure dichiarate nella domanda di condono), occorre comunque valutare attentamente l'opportunità di procedere con istanza semplificata, soprattutto laddove il condono riguarda immobili delicati, ambiti non del tutto chiari o fattispecie in cui la responsabilità che, come tecnici, occorre prendersi non è proporzionata alla parcella che è possibile chiedere. Dunque, come tecnici ma anche come committenti, valutate con attenzione se effettivamente procedere ad una domanda di procedura semplificata o se piuttosto non convenga operare con le procedure ordinarie.</p><p style="text-align: center;"><i>L'autore di questo post, pur garantendo la massima affidabilità possibile dei contenuti, declina ogni responsabilità riguardo alla veridicità ed attendibilità dei contenuti: si faccia sempre riferimento ai documenti ufficiali, alle leggi pubblicate ed al sito di Roma Capitale.</i></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com39tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-19436071299987482152021-09-29T11:41:00.004+02:002022-04-02T18:42:38.523+02:00campi da Padel ed implicazioni urbanistiche<p style="text-align: justify;">Negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere un nuovo sport di derivazione tennistica: il Padel. Questo è un gioco similare al tennis: dei giocatori con una racchetta colpiscono una palla che determina, a seconda dei modi in cui cade o rimbalza, il punteggio. Gli sportivi potrebbero, legittimamente, ignorare tutto ciò che sta dietro all'approvazione delle opere edilizie ed urbanistiche che portano alla realizzazione dei campi regolamentari per questo gioco: occupandomi io di autorizzazioni edilizie, cerco di sintetizzare in questo post alcuni degli aspetti fondamentali a cui prestare attenzione.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNQjJlNe05gBT1hqj-vVKkR-7U9NSoALVgHyD4MLVVUL8SJzxcyoL1mTEeCJhNFxWWSNR6y1vSQli79DNII0LM9KeyXiFzLkXziD7ZZMfTFgHPhK4pfxgOox9zHuM2RaCuRY1AQ9MEu8k/s640/padel-6322447_640.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="640" height="214" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNQjJlNe05gBT1hqj-vVKkR-7U9NSoALVgHyD4MLVVUL8SJzxcyoL1mTEeCJhNFxWWSNR6y1vSQli79DNII0LM9KeyXiFzLkXziD7ZZMfTFgHPhK4pfxgOox9zHuM2RaCuRY1AQ9MEu8k/s320/padel-6322447_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/padel-padel-racket-tennis-balls-6322447/" target="_blank">Immagine da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;">In questo post non affronterò nessuna questione di tecnica di gioco, anzi personalmente non so neanche come si gioca: a me interessa <b>l'aspetto autorizzativo, tecnico ed urbanistico </b>connesso all'installazione dei campi da Padel.</p><p style="text-align: justify;">Il gioco del Padel, a differenza del tennis, ha una <b>correlazione strettissima con le pareti</b> che delimitano il campo da gioco, perché queste sono in effetti una componente essenziale del campo, tant'è che le regole de gioco ammettono che la palla possa rimbalzare anche su di essa, senza perdere il punto. Queste pareti devono avere una determinata altezza (indicata nei regolamenti tecnici) e devono avere, dal lato del campo da gioco, la capacità di far rimbalzare la palla: non possono quindi essere superfici eccessivamente irregolari e nemmeno superfici che assorbono il colpo: possono essere pareti solide ma, più facilmente, anche per consentire agli spettatori di assistere alle partite e per garantire un ribalzo uniforme, sono pareti di vetro.</p><p style="text-align: justify;">Si capisce quindi già un primo concetto, assente in altri sport da campo: <b>il Padel è intimamente legato alle sue pareti</b>. Senza le pareti, il campo da Padel non è regolamentare e, sostanzialmente, non si può proprio giocare, almeno non seguendo le regole. Questo connubio indissolubile deve far nascere un dubbio amletico: essendo le pareti opere necessarie al gioco, solide, strutturali, capaci di una certa resistenza e che devono sottostare alle norme per la sicurezza, <b>sono delle costruzioni</b>? Ebbene, anche in assenza di una sentenza specifica sull'argomento ma facendo riferimento ai principali orientamenti giurisprudenziali prevalenti, le costruzioni hanno proprio questi caratteri: quello della solidità e quello della connessione ad una precisa funzione (<a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2014/06/tende-pergotende-pensiline-tettoie.html" target="_blank">pensiamo ad esempio alle tettoie, che sono considerate costruzioni</a>). Le pareti del campo da Padel, quindi, sono facilmente assimilabili alle costruzioni e, in quanto tali, devono sottostare alle regole delle costruzioni, tra cui il <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/05/il-grande-post-delle-distanze-nelle.html" target="_blank">rispetto delle distanze</a> e delle altezze massime consentite dallo strumento urbanistico (anche se, nel Lazio, per espressa previsione del <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/10/regolamento-sismico-lazio-2020.html" target="_blank">Regolamento Sismico Regionale</a> - art. 8 comma 1 lett. kk) - sono considerate strutture prive di rilevanza nei confronti della pubblica incolumità, ma ciò non influisce sulla definizione di <i>costruzione</i>). In sostanza, sono opere che più facilmente possono essere inquadrate nella ristrutturazione edilizia, dunque <b>opere soggette a Permesso di Costruire o SCIA ad esso alternativa</b>.</p><p style="text-align: justify;">Anche il Dipartimento Programmazione ed Attuazione Urbanistica di Roma Capitale, nel rispondere ad un quesito tecnico-procedurale sollevato da un municipio <a href="http://www.urbanistica.comune.roma.it/images/dipartimento/atti/pareri/2022/parere-46155-2022.pdf" target="_blank">(parere prot. QI 46155 del 21 marzo 2022, a cui è allegato un parere precedente, del 2017</a>), ha affrontato il tema, arrivando a dedurre, senza sviluppare riflessioni specifiche sulle pareti ma implicitamente valutandole come impattanti, che possono esserci due fattispecie di intervento:</p><p style="text-align: justify;"></p><ul><li style="text-align: justify;">nel caso in cui si intenda convertire un campo da tennis o da calcio già esistente in campo da Padel, l'intervento potrebbe ascriversi alla <i>ristrutturazione edilizia leggera</i> e pertanto soggetta a SCIA;</li><li style="text-align: justify;">nel caso in cui si intenda installare un campo da Padel all'interno di una attività già destinata a centro sportivo, ma creandolo dove prima non c'erano campi, il Dipartimento ritiene debba essere classificata opera di <i>ristrutturazione edilizia pesante</i> e, quindi, soggetta a SCIA alternativa al PdC o PdC.</li></ul><div style="text-align: justify;">La casistica dell'installare un nuovo campo da Padel dove prima non c'era attività sportiva quindi presuppone il mutamento d'uso, all'interno di una autorizzazione edilizia che può senz'altro ricomprendere la realizzazione del campo: difficilmente può autorizzarsi con titoli diversi dal PdC o, in casi specifici, SCIA alternativa, da valutare caso per caso.</div><div style="text-align: justify;">Non si è entrati nel merito specifico delle distanze tra costruzioni, ma, trattandosi di opere di ristrutturazione edilizia, sarebbe implicito valutare che queste debbano essere rispettate dalle pareti del campo rispetto alle costruzioni limitrofe.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Allegato al parere dPAU sopra citato, vi è anche un parere del Ministero della Cultura (prot. 13473-P del 22/4/2021 DGABAP, in allegato al parere sopra linkato), riguardo all'impatto dei campi da Padel sulle norme paesaggistiche: viene condivisibilmente stabilito che un intervento di questo tipo non può in nessun caso essere considerata attività libera dall'autorizzazione paesaggistica ma che, anzi, <b>sia soggetta a procedura paesaggistica autorizzativa ordinaria</b> (perché non espressamente prevista tra le opere soggette ad autorizzazione semplificata, allegato B DPR 31/17) in quanto, con ogni evidenza, non hanno un impatto paesaggistico lieve né tantomeno nullo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Attenzione pertanto alle conseguenze dell'operare trasformazioni urbanistiche in assenza di titolo, poiché i reati di cui all'art. 44 DPR 380/01 e art. 181 d.lgs. 42/04 sono dietro l'angolo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dunque, volendo fornire una indicazione di larga massima, sempre da verificare nel caso di specie e sollecitando sempre il confronto con l'amministrazione comunale, si può stilare una classificazione del titolo abilitativo necessario in funzione dell'intervento da eseguirsi:</div><div style="text-align: justify;"><ul><li>CILA - vi può rientrare la realizzazione di un nuovo campo se all'interno di un edificio già adibito ad attività sportive, dunque al chiuso. all'interno di un edificio, difatti, le pareti del campo di Padel possono essere a mio parere assimilate alle tramezzature e dunque rientrare nella manutenzione straordinaria;</li><li>SCIA - nel caso in cui si possa ritenere che l'installazione del campo possa rientrare nella definizione di ristrutturazione edilizia leggera: il dipartimento PAU ha indicato che in tale casistica vi si rientrerebbe nel caso in cui si va a convertire un campo da gioco esterno di altro sport (ad. es. tennis o calcetto) in un campo di Padel: l'incidenza urbanistica probabilmente è legata sempre alle pareti, piuttosto che al gioco in sé; il campo da gioco precedente deve essere correttamente legittimato come attività sportiva;</li><li>PDC e SCIA alternativa al PDC - ci si rientra in diverse casistiche: molto probabilmente vi si rientra nel momento in cui si deve instaurare una nuova attività sportiva in un edificio o in un terreno che non è già destinato ad attività sportiva e, quindi, si sta mutando la destinazione d'uso precedente, ma vi si può rientrare, come specificato dal dipartimento PAU, anche se il terreno su cui va realizzato il campo fa già parte di una attività sportiva, ma in un punto in cui non sono già presenti campi da gioco. Vi si rientra in tutti quei casi in cui l'intervento è da classificarsi come ristrutturazione edilizia pesante: in tale ottica si suggerisce di prestare attenzione alla fattispecie specifica dei campi da gioco completi di copertura.</li></ul></div><p></p><p style="text-align: justify;">Suggerisco attenzione a non fare troppo facilmente riferimento alle sentenze che ci sono state in passato relativamente ai campi da tennis: il tennis è uno sport diverso dal Padel e non ha questa intima correlazione tra campo da gioco e parete strutturale. La giurisprudenza si è occupata a volte dei campi da tennis specificando che l'installazione di un campo non è soggetta a permesso di costruire (sentenza <a href="https://lexambiente.it/materie/urbanistica/160-cassazione-penale160/4861-Urbanistica.%20Realizzazione%20di%20un%20campo%20da%20tennis.html" target="_blank">Cass. Sez.III n. 36560 del 24 settembre 2008</a>), e così pure non è soggetto un campo da calcetto, finché le opere consistono nell'installazione delle porte di gioco e accessori di scarsa rilevanza urbanistica. Per contro, in particolare sui campi da calcetto, è utile ragionare attorno alla sentenza <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_fi&nrg=201501499&nomeFile=201501458_20.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">TAR Toscana, Firenze sez. 3 n°1458/2015</a> nella quale è stato stabilito che un campo da calcetto non è soggetto a permesso di costruire, ma lo sono invece strutture accessorie quali spogliatoi e bagni, in quanto facenti volume. Questa sentenza è utile per capire che bisogna tenere distinto l'aspetto dell'installazione del campo inteso come sistemazione dell'area ed installazione di elementi non strutturali (la rete di gioco per il tennis, le porte del campo da calcio) da quelli strutturali (nel caso della sentenza TAR erano gli spogliatoi: nel caso del Padel, come detto, attenzione alle pareti strutturali che possono essere lette come <i>costruzioni</i>).</p><p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda l'installazione del campo in sé, finché stiamo operando all'interno di un terreno che già è destinato ad attività sportiva, dovremo quindi occuparci solo dell'autorizzazione edilizia all'installazione delle pareti e del campo, e potremo non considerare il <b>discorso del cambio di destinazione d'uso</b>. tale aspetto va invece necessariamente valutato ogni qualvolta si installa un campo in un edificio o un terreno che prima era destinato ad altro oppure era in disuso: in tutti questi casi occorre anzitutto verificare quale è la destinazione d'uso autorizzata precedentemente o quale è quella impressa dallo strumento urbanistico, e se è diversa da quella per attività sportive o servizi alle persone, dovremo preoccuparci, oltre che dell'istanza edilizia con le attenzioni di cui sopra, anche del mutamento di destinazione d'uso. Attenzione anche agli edifici dismessi da tempo perché potrebbe scattare l'obbligo di integrale versamento degli oneri concessori.</p><p style="text-align: justify;">A Roma questo tipo di attività sportiva può rientrare nella funzione servizi, sottofunzione servizi alle persone, finché si tratta di piccole strutture equiparabili a palestre, mentre invece se si sta impiantando una struttura più importante, ricadremo sempre nella funzione servizi ma nella sottofunzione attrezzature collettive. Saper inquadrare l'attività nella sua corretta sottofunzione è importante per diversi motivi, tra cui 1. alcune destinazioni non sono ammesse in determinati tessuti urbani, dunque l'operazione di mutamento d'uso in tal caso sarebbe del tutto infattibile; 2. le funzioni a servizi hanno carichi urbanistici elevati e operare il mutamento d'uso da altre destinazioni d'uso può comportare il dover monetizzare grandi quantità di standard urbanistici o, in casi estremi, obbligare al reperimento fisico degli standard, creando non poche complessità alla fattibilità pratica dell'intervento di impianto di nuove attività sportive.</p><p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda le destinazioni d'uso, se la società sportiva che realizza i campi ha una forma societaria di attività di promozione sociale, si può valutare se può rientrare nelle <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2018/10/attivita-di-promozione-sociale-terzo.html" target="_blank">speciali deroghe alle destinazioni d'uso concesse dalla norma del terzo settore</a>: attenzione però al livello di trasformazione che si attua, perché le nuove costruzioni, anche se operate da società di questo tipo, sono comunque soggette a mutamento d'uso. la legge difatti consente la deroga finché si opera adattando o utilizzando così come è un edificio esistente.</p><p style="text-align: justify;">Tuttavia, vi sono destinazioni di piano urbanistico a Roma che nascono come già predisposte per accogliere attività sportive: si tratta delle destinazioni a <i>verde privato attrezzato</i> normato dall'art. 87 delle NTA.</p><p style="text-align: justify;">Un caso un po' particolare che mi è capitato di trattare è se questi campi possono essere installati sul tetto di un edificio esistente. Anzitutto, occorre valutare la capacità portante del solaio, perché le NTC 2018 sono abbastanza severe per quanto riguarda i requisiti strutturali delle strutture sportive e se il solaio non nasce già per quella destinazione, è possibile che debba essere adeguato strutturalmente. In secondo ordine, occorre fare una riflessione sulla superficie: un campo da Padel non sviluppa SUL, secondo le regole del PRG romano vigente, né sviluppa superficie netta o superficie accessoria secondo le definizioni contenute nel documento delle 42 definizioni uniformi allegate alla legge sul regolamento edilizio tipo: apparentemente, dunque, non ci sarebbero problemi, anche se la costruzione delle pareti del campo da Padel possono essere viste come sopraelevazione (in quanto costruzione, come visto sopra) e, quindi portare con sé tutti i problemi di questa definizione, sia dal punto di vista delle distanze e delle altezze massime ammissibili, sia per quanto riguarda le nozioni delle NTC 2018.</p><p style="text-align: justify;">Attenzione va posta ai <b>campi da padel con copertura fissa</b>: ultimamente si stanno pubblicizzando i campi che vengono forniti completi di pareti e copertura, in cui quest'ultima viene realizzata come elemento tipo tettoia o tensostruttura, anche coperta con teli, realizzata al di sopra del campo, retta da pilastri posti all'esterno del bordo campo (ovviamente, dato che da regolamento non possono esserci elementi interni al perimetro del campo, dunque i pilastri non potrebbero mai essere posti all'interno dell'area di gioco). Si presti attenzione al fatto che le coperture fatte in questo modo molto difficilmente si possono far rientrare tra le opere di edilizia libera: tra queste, secondo il <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2018/02/glossario-unico-edilizia-libera.html" target="_blank">glossario unico dell'edilizia libera</a>, vi rientrano i gazebo "di limitate dimensioni e non stabilmente infissi al suolo", che chiaramente non sono riconducibili ad una copertura di 200mq quale serve al campo di Padel (che è un rettangolo di 10mt x 20); nemmeno si può facilmente parlare di tensostrutture, soggette ad edilizia libera ma previa CIL e, comunque, solo se finalizzate ad esigenze temporanee, dunque inidonee ad una struttura permanente. Si presti attenzione dunque al fatto che una copertura per campo da Padel più facilmente rientra nella classificazione di tettoia, soggetta almeno a SCIA alternativa al Permesso di Costruire, e soggetta pure al <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/05/il-grande-post-delle-distanze-nelle.html" target="_blank">rispetto delle distanze</a>. Si pone peraltro il non secondario problema circa il fatto se due campi da gioco possano effettivamente stare a meno di dieci metri l'uno dall'altro, soprattutto se dotati di copertura.</p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;"><i>l'autore ha sviluppato questo post trasponendovi le proprie riflessioni e la propria esperienza professionale; tuttavia, non si assume alcuna responsabilità, diretta o indiretta, nel caso in cui si decida di seguire le indicazioni qui fornite. in generale, non si assume responsabilità alcuna nel merito dell'affidabilità dei contenuti: gli interventi devono sempre essere progettati da un tecnico abilitato, il quale si assume la responsabilità dell'intervento, assieme al committente.</i></p><p style="text-align: justify;"><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-77124199187639430922021-09-10T10:38:00.005+02:002021-09-17T13:28:48.231+02:00il nuovo voto elettronico via PEC per il Consiglio dell'Ordine Architetti Roma 2021<p style="text-align: justify;">a fine settembre 2021 una nuova tornata elettorale darà l'avvio al rinnovo dei membri elettivi del Consiglio dell'Ordine degli Architetti di Roma per il quadriennio 2021-2025. La grande novità introdotta nelle prossime elezioni è <b>il voto elettronico</b>, che consentirà di non recarsi fisicamente presso la sede dell'Ordine, il tutto avverrà "comodamente" in remoto, rimanendo seduti a casa oppure da studio. Sperando di fare cosa gradita, mi sono preso la briga di raccogliere qualche informazione presso gli Ordini professionali in cui è già stata espletata la procedura di voto con questa modalità, così da aiutare a rendere il voto il più fluido possibile.</p><span><a name='more'></a></span><p style="text-align: justify;">Il voto elettronico, infatti, non è una novità assoluta, già diversi Ordini hanno votato utilizzando la piattaforma messa a disposizione dal CNAPPC.</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgionIPQgR9776vaAYAGDEPZQE-Q05TKp0eOA0JT3KWVeU42oLZD2K_UUr3_2dwvgMPFv6z0Np1d6YJdWI3ubr6N6BiL1FdtwudNtZZq0cmocymmoqBhY1_kk3q26H5RWUjDWIOcFd2r1g/s640/debate-5684882_640.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="437" data-original-width="640" height="219" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgionIPQgR9776vaAYAGDEPZQE-Q05TKp0eOA0JT3KWVeU42oLZD2K_UUr3_2dwvgMPFv6z0Np1d6YJdWI3ubr6N6BiL1FdtwudNtZZq0cmocymmoqBhY1_kk3q26H5RWUjDWIOcFd2r1g/s320/debate-5684882_640.png" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/vectors/debate-election-vote-politics-5684882/" target="_blank">immagine da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><br /><p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;">Anzitutto, vi riporto il link della <a href="https://www.architettiroma.it/politica-ordine/avvisi-terne-e-commissioni/elezioni-per-il-rinnovo-del-consiglio-dellordine-degli-architetti-p-p-c-di-roma-e-provincia-per-il-quadriennio-2021-2025-nuova-procedura-di-voto-elettronico/" target="_blank">pagina dell'Ordine di Roma</a> in cui viene diramata la notizia che le elezioni si svolgeranno secondo questa nuova procedura, nonché la <a href="https://www.architettiroma.it/politica-ordine/avvisi-terne-e-commissioni/elezioni-per-il-rinnovo-del-consiglio-dellordine-degli-architetti-p-p-c-di-roma-e-provincia-per-il-quadriennio-2021-2025-nuova-procedura-di-voto-elettronico/" target="_blank">pagina pubblicata il 16 settembre in cui sono riportati i nomi dei candidati</a>.</p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgqGQHKSbDpFmmN58wtKpJ35j-BSj3izQFIGgPK7mOi8DwQ2_6oZy9JwdahpL_0FNsO4iFctEvv70Kdn_TdhCeZOF7ieH0i5Wu5tPbUiXebJLDPQDLjQqQUCXwkLX2p7SnCvPeCssjOv0/s160/esserearchitettilogo.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="80" data-original-width="160" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgqGQHKSbDpFmmN58wtKpJ35j-BSj3izQFIGgPK7mOi8DwQ2_6oZy9JwdahpL_0FNsO4iFctEvv70Kdn_TdhCeZOF7ieH0i5Wu5tPbUiXebJLDPQDLjQqQUCXwkLX2p7SnCvPeCssjOv0/s16000/esserearchitettilogo.jpg" /></a></div>Seconda cosa, giusto per non nascondere nulla al lettore, nell'ottica della chiarezza e imparzialità che sempre contraddistingue questo blog, <b>vi comunico che io stesso ho deciso di candidarmi</b>, assieme ad altri autorevolissimi colleghi della <b><span style="color: red;"><a href="https://www.esserearchitetti.it/" target="_blank">lista "Essere Architetti"</a></span></b>. Il presente post, comunque, è meramente informativo delle procedure di voto e non contiene nessun proclama elettorale: se avrete piacere di leggere il nostro programma scoprirete chi sono gli altri membri (nel selezionare le candidature abbiamo cercato di creare un gruppo composto da donne e uomini le cui competenze e la cui formazione nel campo dell'Architettura coprono quanti più ambiti possibili al fine di portare avanti obiettivi eterogenei che rispecchino le reali esigenze degli iscritti), vi indico sia la <u><a href="https://www.esserearchitetti.it/" target="_blank">pagina web</a></u> che la <u><a href="http://www.facebook.com/essereArchitetti" target="_blank">pagina facebook</a></u> che potrete liberamente seguire. Tuttavia, se avete suggerimenti, consigli o critiche, anche di natura politica, da rivolgere al gruppo candidato, sentitevi liberi di scrivere nei commenti in calce al presente post, ed io provvederò a trasmettere a tutto il gruppo le vostre comunicazioni. Come dirò in seguito in questo post, se avete stima di un candidato appartenente ad una particolare lista ed avete quindi piacere di votarlo, <b>valutate l'opportunità di estendere il vostro voto a tutti i</b> <b>membri della stessa lista </b>(i candidati della <u>lista Essere_Architetti sono quelli dal numero 19 al numero 32 della sezione A - da Claudio Rosi a Emanuela Valle compresi -, e numero 2 della sezione B - Roberto Funaro -</u> <a href="https://www.architettiroma.it/politica-ordine/avvisi-terne-e-commissioni/elezioni-per-il-rinnovo-del-consiglio-dellordine-degli-architetti-p-p-c-di-roma-e-provincia-per-il-quadriennio-2021-2025-nuova-procedura-di-voto-elettronico/" target="_blank">dell'elenco dei candidati</a>): se un candidato, difatti, venisse eletto "da solo", è probabile che non sia poi in grado di esprimere serenamente le potenzialità decisionali che vorrebbe, perché si troverebbe in "minoranza" politica.<p></p><p style="text-align: justify;">Fatte queste doverose premesse, passiamo agli aspetti pratici.</p><p style="text-align: justify;"></p><br /><div style="text-align: justify;"></div><blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: helvetica;">il voto elettronico in pillole:</span></div><ul style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: helvetica;">il voto per il Consiglio 2021-2025 sarà esclusivamente on-line: NON bisognerà andare fisicamente alla sede dell'Ordine;</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: helvetica;">arriverà per tempo sulla propria PEC una password ed il link per accedere al portale di voto; la user ID sarà quasi sicuramente il proprio codice fiscale;</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: helvetica;">si potrà votare solo nelle date indicate dall'Ordine, solo tra le ore 12:00 e le 20:00. non saranno validi i voti trasmessi fuori di questo orario (il sistema dovrebbe inibirsi da solo fuori orario, ma non ci scommetterei);</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: helvetica;">si inizierà con la prima tornata elettorale, che ha quorum 1/3 dei votanti, e si voterà solo il 22 e 23 settembre 2021 dalle 12 alle 20. se non si dovesse raggiungere il quorum, si passerà alla seconda tornata che ha un quorum ad 1/5, e così via fino alla terza ed ultima tornata, che non ha quorum;</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: helvetica;">nella seconda e terza tornata i giorni per votare saranno di più (vedi sotto calendario completo);</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: helvetica;">se non si raggiunge il quorum, NON riceverete una seconda PEC, ma rimarrà valida la password della prima PEC;</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: helvetica;">una volta entrati nei giorni giusti e all'orario giusto, dentro al portale troverete la lista dei candidati, elencati in ordine di presentazione della candidatura e NON in ordine alfabetico: le liste elettorali tipicamente hanno i candidati posizionati di seguito perché presentano le candidature contemporaneamente;</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: helvetica;">ciascuno di noi potrà esprimere fino a 15 preferenze di voto, di cui 14 verso Architetti iscritti alla sezione A, ed uno verso Architetti iscritti alla sezione B (<i>iunior</i>). attenzione perché se si votano 15 iscritti alla sezione A il voto potrebbe essere invalidato;</span></li><li><span style="color: #674ea7; font-family: arial;">tuttavia, il sistema di voto elettronico dovrebbe impedire di inserire la quindicesima preferenza se non è verso un architetto <i>iunior</i>, quindi non si rischia di invalidare il voto; </span></li></ul></blockquote><blockquote><ul style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="color: #674ea7; font-family: helvetica;">è importante, se avete fiducia di un candidato di una lista, <b>valutare di estendere il proprio voto agli altri partecipanti alla stessa lista</b>: il vostro preferito, difatti, se venisse eletto da solo, potrebbe trovarsi in minoranza "politica" in Consiglio e quindi non essere in grado di esprimere in modo compiuto le proprie idee;</span> </li></ul></blockquote><p> </p><p></p><p></p><p style="text-align: justify;">Anzitutto, come peraltro riportato nella pagina dell'Ordine di Roma, <b>per votare bisogna possedere una PEC</b>. Come certamente saprete, noi professionisti siamo espressamente obbligati dalla legge ad averne una (io ne ho due) ed a comunicarla al proprio Ordine di appartenenza: chi svolge la professione <i>in trincea</i> come me ovviamente non può non averla, ma si può comprendere che alcune specifiche figure professionali possono non aver avuto interesse a dotarsi di una casella personale, magari perché impiegati nella Pubblica Amministrazione o in altri ambiti in cui non è uno strumento diretto di lavoro. Purtroppo, però, l'obbligo vale per tutti, quindi se non avete un vostro indirizzo o se lo avete ma non è stato comunicato all'Ordine, è tempo di provvedere quanto prima.</p><p style="text-align: justify;">Vi ricordo che l'Ordine di Roma offre GRATUITAMENTE la PEC ai propri iscritti, basta farne richiesta nell'apposita pagina della <a href="http://areaiscritti.architettiroma.it/" target="_blank">sezione riservata del sito agli iscritti</a>.</p><p style="text-align: justify;">La modalità di voto, come detto, sarà elettronica. Qualche giorno prima delle elezioni noi tutti iscritti riceveremo una PEC dalla Segreteria, che conterrà un link ed una password temporanea. questa password è specifica per le procedure di voto, e non avrà valore per nessuna altra cosa se non il singolo voto sul portale dedicato. La user_id per accedere al portale sarà il vostro codice fiscale.</p><p style="text-align: justify;">Prima della data del voto avrete comunque la possibilità di accedere al portale del voto solo che, prima del voto, non potrete fare praticamente nulla se non semplicemente verificare che riuscite ad entrare ed a visualizzare correttamente il sistema. Sarebbe importante fare anticipatamente una prova, perché si sono verificati dei casi in cui, con alcuni browser, gli iscritti hanno avuto difficoltà a navigare all'interno delle procedure di voto: è apparso che uno dei browser che ha dato meno problemi è Chrome.</p><p style="text-align: justify;">Come già sapranno quelli che hanno già votato negli anni passati, le votazioni possono dover necessitare fino a tre turnazioni: per la prima, difatti, è richiesto un quorum pari ad un terzo degli aventi diritto che, nelle scorse tornate, è stato praticamente irraggiungibile (si quasi 19.000 iscritti dell'ordine di Roma, tale soglia è di più di 6.000 partecipanti); la seconda tornata prevede un quorum abbassato ad un quinto, mentre la terza è priva di quorum: generalmente, le elezioni al Consiglio di Roma si sono sempre decise alla terza tornata. Vi è ragione di ritenere che questa volta ci si possa fermare alla seconda o, chissà, magari anche alla prima, visto che procedura di voto a distanza si spera possa attirare molto di più ad esprimersi.</p><p style="text-align: justify;">Nella circolare che l'Ordine ha inviato a noi iscritti tra il 7 e l'8 settembre 2021 ci sono delle indicazioni più dettagliate per quanto concerne lo svolgimento delle elezioni: anzitutto, durante i giorni del voto, <b>saranno validi solo i voti inviati tra le ore 12 e le ore 20 di ciascun giorno</b>. prestate grande attenzione a questo aspetto perché non è detto che il portale sia automaticamente inibito al di fuori di questi orari, quindi premuratevi di esprimere il vostro voto effettivamente solo all'interno di questa fascia oraria.</p><p style="text-align: justify;">I <b>giorni del voto</b> sono stati stabiliti come segue: per la prima votazione, sono previste solo due giornate di voto, il 22 ed il 23 settembre 2021, sempre solo tra le ore 12 e le ore 20, mentre per la seconda e la terza, laddove necessarie, sono previsti molti più giorni: per la seconda, in particolare, i seggi apriranno il 24 settembre e si chiuderanno il 2 ottobre, ma il 26 settembre (domenica) non si potrà (dovrà) votare. La terza eventuale votazione si aprirà il 4 ottobre per concludersi il 14 ottobre, sempre esclusa la domenica (10 ottobre). Se siete decisi a votare, è comunque importante farlo fin dalla prima tornata elettorale perché, come accennato, con il voto elettronico ci sono delle possibilità che già con il primo tentativo si raggiunga il quorum.</p><p style="text-align: justify;">Nel caso in cui si dovesse procedere alla seconda e poi alla terza tornata elettorale NON riceverete una seconda PEC, in quanto le credenziali per l'accesso al portale di voto rimarranno sempre quelle ricevute nella prima PEC. E' probabile quindi che per comunicare la necessità di tornare al voto verrà inviata una circolare che informi sulla necessità di tornare alle urne virtuali, ma priva di nuove credenziali.</p><p style="text-align: justify;">Il portale di voto garantisce ovviamente l'anonimato: non è possibile, difatti, neanche per la Segreteria, accedere al dato relativo a chi ha votato chi, perché il dato viene praticamente cancellato subito e non rimane traccia di collegamento tra l'elettore e le sue preferenze di voto.</p><p style="text-align: justify;">Per il resto, la procedura di voto sarà simile alle vecchie votazioni in presenza: vi verrà sottoposta una scheda elettorale contenente una lista di candidati (raggruppati in ordine di presentazione della candidatura, quindi NON in ordine alfabetico) e potrete <b>selezionare fino a quindici preferenze di voto</b> (quindici difatti è generalmente il numero dei componenti di ciascuna lista elettorale) - anche se, in realtà, <b>le preferenze possono essere 14 + 1</b> perché nel caso di espressione di quindici preferenze, almeno una deve essere per un Architetto <i>iunior. </i>Nelle liste elettorali, di norma, uno dei quindici candidati è appunto uno <i>iunior</i>. Prestate attenzione al fatto che se avete stima di un solo candidato che si presenta con una lista, ma non conoscete gli altri che ne fanno parte, <b>valutate l'opportunità di estendere la vostra preferenza anche agli altri quattordici membri della stessa lista</b>, in quanto se il vostro candidato preferito viene eletto, ma poi non è la sua lista a vincere, potrebbe poi non poter esprimere tutte le sue potenzialità nel Consiglio in quanto si troverebbe in "minoranza politica": vi suggerisco quindi, se interessati, a verificare i componenti della lista ed esprimere delle preferenze scegliendo solo tra i nomi che vi appartengono. Ovviamente, siete altrettanto liberi di votare singolarmente chi preferite, ci mancherebbe altro.</p><p style="text-align: justify;">L'elenco dei candidati sarà pubblicato in base all'ordine di presentazione delle domande: è probabile, quindi, che gli architetti che si candidano in una unica lista, faranno in modo di presentare le proprie candidature tutte insieme, così da figurare come unico blocco.</p><p style="text-align: justify;">Va detto, comunque, che <b>le liste non sono ufficialmente previste nel sistema di votazione degli Ordini professionali</b>, in quanto il voto è indirizzato esclusivamente ai singoli candidati, i quali vengono eletti come membri autonomi ed indipendenti: difatti, un singolo iscritto può candidarsi al Consiglio anche se non appartenente a nessuna lista e, se eletto, ha tutto il diritto di esercitare il proprio ruolo. Le liste, quindi, non hanno nessun valore ufficiale e le elezioni non funzionano come i partiti politici per le elezioni amministrative; le liste, tuttavia, sono utili per proporre agli elettori un gruppo di persone che, auspicabilmente, sono già affiatate tra loro ed hanno già stilato un programma operativo per la gestione dell'Ordine: votare quindi per più membri di una unica lista può essere garanzia di una politica più compatta e decisa, anche se poi, ovviamente, sempre di politica professionale si tratta.</p><p style="text-align: justify;">detto ciò, non mi rimane che augurare buon voto a tutti.</p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p><br /></p>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5604871636424149808.post-10383608649663970122021-07-12T10:39:00.007+02:002022-05-13T19:43:32.085+02:00la regola transitoria per derogare i rapporti aeroilluminanti<p>Una delle novità introdotte dal decreto semplificazioni 76/2020 è quella contenuta nell'art. 10 comma 2, la quale prevede che le disposizioni del Decreto Sanità del 1975 sono da intendersi inapplicabili agli edifici costruiti prima della pubblicazione del medesimo decreto.</p><span><a name='more'></a></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0iO9xW5doFiK_1sU8DXwQkA4XM86U2xzk9Qf7GQcQ1IisAYjPHBMLj0CpphBg7A_ff0tqt241KG2uBq_kvRsYBRAqy7A760iz4OSIkEllfjXgMdCv0sisZguFKmYEgqUCXRFkZ4EYV7Q/s640/window-1148929_640.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0iO9xW5doFiK_1sU8DXwQkA4XM86U2xzk9Qf7GQcQ1IisAYjPHBMLj0CpphBg7A_ff0tqt241KG2uBq_kvRsYBRAqy7A760iz4OSIkEllfjXgMdCv0sisZguFKmYEgqUCXRFkZ4EYV7Q/s320/window-1148929_640.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><a href="https://pixabay.com/photos/window-woman-morning-girl-1148929/" target="_blank">immagine da Pixabay</a></td></tr></tbody></table><p>Questo post è in <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/07/dl-semplificazioni-2020-valutazioni.html" target="_blank">buona parte estratto da quest'altro</a>, più generico e descrittivo di tutte le novità introdotte dal DL 76/2020 successivamente convertito in Legge.</p><p><span style="text-align: justify;">il <a href="https://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/1975_dm_05_07.htm" target="_blank">DM sanità del 5 luglio 1975</a> è un decreto importante, che fissa i parametri minimi che devono avere gli ambienti abitabili per garantire l'igiene e la salute di chi vive in quegli spazi. Ricordo ai lettori che le norme urbanistiche nascono principalmente allo scopo di dare una regola all'attività edilizia la quale, se lasciata libera di prosperare in modo indiscriminato, produce facilmente spazi abitabili angusti ed insalubri (al fine di massimizzare il profitto) che, nel passato non troppo lontano del nostro paese, hanno prodotto gravi emergenze sanitarie. Il Decreto Sanità del 1975 nasce con lo scopo di fornire una indicazione inderogabile circa le dimensioni degli ambienti abitabili e delle rispettive aperture finestrate, fissando sia una dimensione minima degli ambienti, sia le altezze, sia il rapporto tra dimensione dell'ambiente e dimensione delle finestre.</span></p><p>Il Decreto, in quanto emanazione di una norma statale, è stato considerato dalla giurisprudenza un atto avente valore di legge nazionale, non "declassabile" ad atto regolamentare e, quindi, sostanzialmente non derogabile da quelle norme, come ad esempio quella sul condono edilizio, che consente il rilascio di autorizzazioni anche in deroga ad atti regolamentari. Il tema è ampio, per ora su questa affermazione mi fermo qui.</p><p>In quanto norma primaria, è vincolante per le amministrazioni, e, quindi, eventuali regolamenti edilizi ed igienico-sanitari che sono in contrasto con i requisiti minimi di questo decreto sono da considerarsi implicitamente inefficaci.</p><p>Alcune città italiane hanno adeguato i propri regolamenti edilizi all'indomani della pubblicazione di questo decreto, allineando le proprie disposizioni con quelle intervenute: è ad esempio il caso di Roma, il cui <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/05/regolamento-edilizio-di-roma-testo.html" target="_blank">regolamento edilizio fu modificato nel 1978</a> proprio per allinearsi alle disposizioni del decreto sanità.</p><p>Le disposizioni principali del Decreto Sanità di cui stiamo parlando, relativamente agli immobili ad uso residenziale, sono le seguenti:</p><p></p><ul style="text-align: left;"><li>altezza minima degli ambienti abitabili mt 2,70, riducibili a 2,40 solo per bagni, corridoi, ripostigli;</li><li>le camere da letto devono avere dimensione minima di 9mq se per una persona e di 14 mq se per due persone. la misura si intende netta calpestabile, al netto quindi delle porte e delle finestre. a mio parere, invece, rientra nel calcolo lo spazio interessato dall'imbotte della finestra, se questa è arretrata rispetto al filo interno del muro;</li><li>ogni alloggio deve avere un soggiorno di almeno 14mq. nel soggiorno può essere presente l'angolo cottura, eliminando così l'obbligo di avere una cucina separata. a mio parere, però, se il soggiorno contiene anche l'angolo cottura, sarebbe opportuno considerare una superficie minima superiore a 14mq, almeno sottraendovi lo spazio occupato dai mobili della cucina. tuttavia, il decreto non specifica nulla nel merito;</li><li>cucine, camere da letto e soggiorno devono avere una finestra apribile, avente un <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/05/calcolare-il-fattore-medio-di-luce.html" target="_blank">fattore medio di luce diurna</a> non inferiore al 2% e, comunque, la dimensione apribile non deve essere inferiore ad 1/8 della superficie dell'ambiente servito, calcolato sempre come superficie netta calpestabile per quanto riguarda i locali, e superficie effettiva apribile dell'infisso (cioè spazio effettivo che si ha a disposizione per il passaggio dell'aria quando si aprono tutte le ante);</li><li>almeno un bagno di ciascun alloggio deve essere dotato di tutti i sanitari: vasca o doccia; lavabo; vaso; bidet. il bagno può anche non avere finestra, ma, nel caso, deve essere dotato di ventilazione meccanica;</li><li>l'alloggio monostanza (monolocale) <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2015/02/la-superficie-minima-di-una-abitazione.html" target="_blank">non deve avere superficie utile calpestabile inferiore a 28 mq</a>;</li></ul><div><br /></div><div>Il decreto, nel secondo periodo dell'articolo 1, prevede un meccanismo derogatorio "<i>per i locali di abitazione di edifici situati in ambito di comunità montane sottoposti ad interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico sanitarie</i>", che consente appunto di non rispettare le indicazioni della norma, nel caso di ambienti destinati ad abitazione, siti in comuni montani, e contestualmente oggetto di ristrutturazione. <b>Sembra una norma eccessivamente circoscritta a casi particolari</b>, cioè immobili in comuni montani che sono soggetti a ristrutturazione: probabilmente, il passaggio è stato trascritto male e si è persa una virgola od una "o" tra "<i>comunità montane</i>" e "<i>sottoposti</i>", che avrebbe dato alla frase forse il senso che voleva dargli il legislatore, e cioè che la deroga si applica <u>o</u> nel caso di immobili siti in comunità montane,<u> o</u>, anche, ad immobili oggetto di ristrutturazione, ma non necessariamente siti in comunità montane, altrimenti davvero non si capisce perché ci si sia concentrati su casi molto particolari e circoscritti. valgono poi le ulteriori specifiche contenute nella prosecuzione del periodo dell'articolo 1.</div><div><br /></div><div>I regolamenti edilizi possono imporre delle norme più stringenti rispetto a queste qui sopra richiamate, ma non possono invece fare il contrario. Ad esempio Roma ha specificato che le cucine devono avere una cubatura non inferiore a 15mc netti, e la finestra della cucina non deve avere superficie apribile inferiore a 1,5 mq.</div><div><br /></div><div>Tutto quanto brevemente riassunto qui sopra, come detto, vale a partire dal 1975. tuttavia, non sono stati rari i casi in cui i comuni hanno ritenuto che le norme dovessero applicarsi in senso retroattivo, perché inderogabili. In effetti, né il decreto, né la norma che lo ha generato, hanno mai fornito indicazioni chiare circa l'applicabilità del testo normativo agli edifici precedentemente realizzati e legittimi. Si sono così venute a creare delle situazioni imbarazzanti, in quanto edifici costruiti in epoche in cui nemmeno esistevano le norme igienico-sanitarie (ad esempio gli alloggi nei centri storici) non hanno alcuna possibilità di poter rispettare queste restrittive regole e, quindi, obbligare a doverle rispettare può portare a dover effettuare interventi invasivi di allargamento finestre o modifica radicale dell'impianto di immobili esistenti tali da rendere gli interventi o diseconomici, o troppo invasivi soprattutto se da effettuarsi in contesti storici.</div><div><br /></div><div>A superare questa rigida impostazione, è venuto in aiuto l'art. 10 comma 2 del DL 76/2020, il quale ad oggi s<span style="text-align: justify;">pecifica che le </span><b style="text-align: justify;"><span style="color: #bf9000;">disposizioni del DM sanità,</span></b><span style="text-align: justify;"> </span><b style="text-align: justify;">valgono solo per gli edifici realizzati successivamente</b><span style="text-align: justify;"> all'entrata in vigore dello stesso decreto. Dunque anche nell'ambito della ristrutturazione degli immobili antecedenti si può fare riferimento ai requisiti igienico sanitari dell'epoca di realizzazione. Sebbene questa sia una novità davvero significativa, apre purtroppo un mondo interpretativo. I requisiti igienici prima del DM sanità erano regolati o dalle istruzioni ministeriali di fine ottocento, oppure dai regolamenti edilizi e di igiene dei singoli comuni, delle cui evoluzioni si è spesso persa traccia nel tempo: solo perché a me è venuto in mente di spulciare nei vecchi archivi, so che il rapporto aeroilluminante prima di essere 1/8 a Roma era di 1/10, ma purtroppo non è facile ricostruire l'esatta disciplina locale in vigore in un determinato momento storico.</span><span style="text-align: justify;"> </span><b style="text-align: justify;">Va detto però che questa disposizione è transitoria</b><span style="text-align: justify;">, in quanto è prevista la sua validità nelle more dell'approvazione del decreto ministeriale previsto dall'art. 20 comma 1 bis che stabilirà i criteri specifici per l'agibilità e che presumibilmente andrà a sostituire il decreto sanità del 1975. Questo decreto, previsto dal comma 1 bis dell'art. 20 del DPR 380/01 avrebbe dovuto essere pubblicato entro 90 giorni dalla sua introduzione, avvenuta nel 2016: è probabile che dopo la pubblicazione del DL semplificazioni la cosa subirà un nuovo impulso. Nel frattempo, si potrebbe valutare di interpretare la norma nel suo senso letterale e dare comunque "per buoni" i rapporti "legittimamente" preesistenti, indipendentemente dalla disciplina effettivamente in vigore all'epoca del rilascio della licenza relativa alla costruzione (ma ogni tecnico deve agire secondo coscienza). </span></div><p></p><div style="text-align: justify;">Nel merito della questione, sono comparse, a distanza di quasi un anno dalla modifica normativa, delle sentenze che aiutano ad inquadrare meglio la situazione: anzitutto, segnalo la <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_to&nrg=202100221&nomeFile=202100411_20.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">sentenza TAR Piemonte - Torino n°411/2021</a> che, pur essendo incentrata su una questione di <i>idoneità alloggiativa</i>, fa riferimento alla predetta novità legislativa per dare ragione ad un cittadino che ha dichiarato idoneo all'abitazione un immobile residenziale non conforme al DM sanità del 1975 ma invece conforme alle istruzioni ministeriali del 1896, in quanto edificato in data anteriore al 1975. Nella sentenza, viene confermata la logicità del ragionamento del ricorrente il quale sosteneva la conformità igienico-sanitaria dell'immobile proprio perché edificato in epoca in cui il DM sanità non era ancora stato pubblicato. E' a mio avviso importate rimarcare che, da quel che si capisce dalla sentenza, il tecnico che fu incaricato di redigere l'idoneità alloggiativa aveva correttamente riportato sulla sua dichiarazione che l'immobile NON era conforme al DM sanità ma che lo era con riguardo alle norme igienico sanitarie precedentemente in vigore: questa correttissima posizione, è vero, ha inizialmente danneggiato il committente perché questi si è visto rigettare l'istanza di idoneità alloggiativa dal Comune, ma questi, insorto dinanzi al TAR, ha poi avuto ragione anche grazie al corretto approccio iniziale del proprio tecnico.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per converso, il <a href="https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_mi&nrg=202001430&nomeFile=202101365_01.html&subDir=Provvedimenti" target="_blank">TAR Lombardia, Milano, sez. II, n°1365/2021</a>, ispirandosi alla stessa norma, specifica che il passaggio normativo non può riferirsi a immobili che non nascevano come abitativi e che erano preesistenti al 1975: il caso di specie, infatti, tratta di un locale sottotetto abusivamente convertito all'uso abitativo ed oggetto di domanda di condono in epoca successiva al 1975, dunque non vi sarebbero, nel caso di specie, rapporti e dimensioni incidenti sui parametri igienico-sanitari "<i>legittimamente preesistenti</i>" a cui fare riferimento.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: center;"><b>il paragrafo che segue è aggiunto il 28 luglio 2021 - fa riferimento ad un passaggio normativo che è entrato in vigore il 01 agosto 2021</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il Decreto Semplificazioni 2021*, nella sua conversione in legge (avvenuta con L. n°108/2021 pubblicata sulla G.U. n°181 del 31 luglio 2021), con l'art. 51 comma 1 lett. f-bis , <b><span style="color: #6aa84f;">aggiunge un ulteriore comma dopo il 2, all'art. 10 del DL 76/2020,</span></b> introducendo una specifica disciplina per gli immobili "<i>di interesse culturale, sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio</i>": in questi immobili sono consentiti limiti igienico-sanitari assai più permissivi di quelli specifici del DM sanità del 1975, in quanto espressamente gli ambienti abitabili possono avere altezza di soli 2,40 metri invece che 2,70 e 2,2 metri invece di 2,4 per i locali di servizio (bagni e ripostigli), gli ambienti devono avere un fattore medio di luce diurna dell'1% invece che del 2% (e l'1% si raggiunge, credetemi), e le finestre possono rispettare il rapporto aeroilluminante di 1/16 invece che di 1/8. Inoltre, viene specificato che, limitatamente a questa tipologia di immobili, le trasformazioni, anche importanti ed <b>anche ricomprendenti i mutamenti di destinazione d'uso</b>, possono fare sempre riferimento ai rapporti legittimamente preesistenti. Infine, l'agibilità di questi immobili fa riferimento a questi parametri derogati.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per il mutamento d'uso, si presti attenzione al fatto che <b>i parametri derogati della norma fanno riferimento esclusivamente alle destinazioni <u>abitative</u></b>: dunque appare naturale ritenere che gli immobili che invece non sono abitativi o che comunque non lo saranno dopo il mutamento d'uso, sembra non possano accedere a questi parametri derogati. Sembra comunque un controsenso: perché consentire rapporti derogati che valgono solo per le abitazioni, ma che possono essere utilizzati nei mutamenti di destinazione d'uso? l'unica soluzione logica è che i parametri possono essere applicati nel caso di mutamento d'uso <i>verso </i>destinazione abitativa, ma in nessun altro caso.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dunque sembra tutto molto pacifico: gli immobili storici che sono tutelati dal Codice dei Beni Culturali, possono beneficiare di uno specifico sistema derogatorio dei rapporti aeroilluminanti, e questo è un bene perché su questo stesso blog avevo avuto modo di scrivere che è letteralmente impossibile, in molti casi, che gli edifici siti all'interno dei centri storici possano rispettare i parametri del decreto sanità 1975, ma questa cosa, in parte, l'avevamo già superata con l'art. 10 comma 2 DL 76/2020 commentato nella prima parte di questo post, il tutto sempre nell'attesa del decreto ministeriale che aggiornerà e supererà il decreto sanità 1975.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Comunque, a differenza della specifica dell'art. 10 comma 2 del DL 76/2020 la quale è appunto una norma transitoria nell'attesa del nuovo decreto sanità, <b>quella contenuta nel comma 2 bis introdotto dal DL 77/2021 è una norma <u>definitiva</u></b><u> </u>in quanto non presenta alcun richiamo alla transitorietà della disciplina in vista di future specifiche normative.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tuttavia, da come è scritta la norma, la specifica disciplina non sembra applicarsi limitatamente ai centri storici o agli immobili <a href="https://architetticampagna.blogspot.com/2020/11/i-vincoli-del-codice-dei-beni-culturali.html" target="_blank">vincolati ai sensi della parte II del Codice</a>, ma, bensì, <b>sembra riferirsi ad ogni immobile vincolato ai sensi del Codice</b>, il che creerebbe delle disparità in quanto esistono vaste aree del territorio italiano, edificate di recente e successivamente al 1975, su cui ricadono vincoli paesaggistici, gestiti dalle norme della parte III del Codice. Analizziamo insieme le parole usate dalla norma perché in effetti non sembra essere così, anche se la definizione è vaga: il passaggio normativo di cui si discute fa riferimento agli "<i>immobili di interesse culturale sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio</i>"; ebbene, l'art. 2 comma 1 del d.lgs. 42/04 indica che "<i>il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici</i>". Dal comma 1 sembra capirsi che i "beni culturali" sono solo quelli gestiti dalla parte II del Codice, come indica il successivo comma 2; tuttavia, anche nei beni paesaggistici, gestiti dalla parte III del Codice, vi sono "immobili ed aree [...] costituenti espressione dei valori storici, <i>culturali</i>, [...]", dunque si comprende abbastanza chiaramente che un "immobile di interesse <i>culturale</i>" può riferirsi ad un qualunque tipo di vincolo del Codice, purché sia genericamente riferito alla tutela di un interesse culturale (ed è pacifico che l'interesse culturale non è rappresentato solo dai <i>monumenti </i>ma anche da certe tipologie di <i>paesaggio</i>, come quello dei centri storici). In verità la cosa andrebbe letta, a mio modesto parere, nel seguente modo: i beni tutelati ai sensi della parte II sono praticamente sempre da ricondursi agli "<i>immobili di interesse culturale</i>" (come da comma 2 art. 2 d.lgs. 42/04) mentre invece <b>non tutti i beni paesaggistici lo sarebbero</b>: ai sensi dell'art. 136 comma 1, solo alle lettere b) e c) troviamo parole che possono riferirsi a questa categoria di beni, sebbene la parola "<i>culturale</i>" in effetti nell'art. 136 non appare da nessuna parte. Non si può distinguere quindi se un bene tutelato ai sensi dell'art. 136 commma 1 lett. a) sia da annoverarsi al patrimonio culturale solo perché "<i>storico</i>": teoricamente sì, ma il Codice non indica mai espressamente questa uguaglianza.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Forse, e dico forse, si potrebbe prendere in prestito la distinzione tra beni paesaggistici "culturali" e "propriamente paesistici" contenuta nel DPR 31/17, nella misura in cui, negli allegati A e B, detta, a volte, una disciplina più restrittiva a quegli immobili ricadenti tra quelli dell'art. 136 comma 1 lettere a), b) e c) ma limitatamente a quelli di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ovvero ricompresi nei nuclei storici (cfr DPR 31/17 allegato A punto A.2 ultimo periodo).</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Insomma, <b>avrei gradito che la norma fosse più chiara nell'individuare gli immobili di "interesse culturale"</b> perché potrebbe avvenire che i più smaliziati ritengano che la disciplina di forte favore si possa estendere a qualunque vincolo anche di natura prettamente paesistica, il che non sembra essere l'intenzione della norma. L'intento della norma probabilmente è quello di limitare l'ambito di applicazione a tutti i beni tutelati ai sensi della parte II del Codice, nonché a quelli che si trovano in vincoli paesaggistici storici o storico-testimoniali come i centri e nuclei storici.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>In sintesi</b>, facendo riferimento al passaggio normativo dell'art. 10 comma 2 DL 76/2020 sembra in effetti possibile presentare progetti per immobili edificati prima del decreto sanità del 1975 e che non rispettano i parametri dello stesso decreto, purché si dimostri che la conformazione dell'immobile è legittima, e che la nuova distribuzione non è in contrasto con i rapporti legittimi preesistenti (io la interpreto nel senso che le trasformazioni interne non devono peggiorare i rapporti originari). Genericamente si può fare riferimento alle istruzioni ministeriali del 1896, ma io consiglio di analizzare anche le versioni passate dei regolamenti edilizi locali, laddove disponibili.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sulla applicabilità, anche in accertamento di conformità, delle disposizioni derogatorie, vi segnalo il <a href="http://www.urbanistica.comune.roma.it/images/dipartimento/atti/pareri/2022/Parere-77592-2022.pdf" target="_blank">parere del Dipartimento Programmazione ed Attuazione Urbanistica di Roma Capitale del 9 maggio 2022</a>.</div>arch. Marco Campagnahttp://www.blogger.com/profile/01776317475875391531noreply@blogger.com61