mercoledì 15 luglio 2020

decreto semplificazioni 2020: le novità principali

In questa calda estate 2020 i tecnici sono in grande fermento per le novità legislative e tecniche: da un lato l'ampliamento dei bonus per le riqualificazioni energetiche (le quali, ad ogni nuova modifica o ad ogni nuova notizia, perdono via via la forza dirompente dell'impatto iniziale), dall'altro le annunciate modifiche alla legislazione nazionale. il DPR 380/01, attuale testo Unico dell'Edilizia, verrà, prima o poi, completamente riscritto (ci si lavora da molto tempo ed il nuovo testo pare essere ad un elevato livello di sviluppo), tuttavia il cosiddetto DL semplificazioni (Decreto 16 luglio 2020 n°67, pubblicato in G.U. n°178/2020 s.u. e convertito con Legge 11 set 2020 n°120), nelle more di una più incisiva trasformazione, ha introdotto delle novità interessanti.
Immagine da Pixabay di libero utilizzo
aggiornamento del 15 settembre 2020 - Questo post è stato scritto dopo la pubblicazione del DL 76/2020 ma prima della sua conversione in legge, avvenuta appunto con Legge 11 settembre 2020 n°120. Il testo che segue è stato quindi rivisto alla luce della conversione in legge.
Se di interesse, sull'argomento ho tenuto un webinar a dicembre 2021 sulla piattaforma on-line di lavoripubblici.it, disponibile per la visione in differita.

L'originario testo del DL 76/20 non è stato completamente stravolto nella conversione, quantomeno per quanto riguarda le innovazioni apportate all'ambito strettamente edilizio, principalmente concentrato nell'art. 10. alcune sfumature, però, hanno mutato il senso di alcune innovazioni.

Le modifiche che sono introdotte dal decreto sono molte, in questo post parlerò di alcune di queste che mi sembrano particolarmente interessati per il loro risvolto pratico:
  1. semplificazione della definizione di intervento di demolizione e ricostruzione;
  2. introduzione di una forma semplificata di modifica di prospetto, a determinate condizioni, tale da rientrare nella definizione di manutenzione straordinaria;
  3. specifica circa il fatto che il DM sanità del 1975 non si applica agli edifici costruiti prima dell'entrata in vigore del provvedimento;
  4. introduzione di una migliore definizione di legittimità edilizia e chiarificazione di alcuni aspetti procedurali;
  5. ampliamento del concetto di tolleranza costruttiva.
Le modifiche attuate spingono molto verso gli interventi di demolizione e ricostruzione, sia cercando di circoscrivere l'intervento in modo più chiaro ed ampio possibile, introducendo definizioni sempre più puntuali e, allo stesso tempo, ampie, e sia introducendo strumenti per ridurre gli oneri concessori dovuti. Il messaggio è chiaro: la politica ha finalmente capito che le nuove costruzioni sono interventi che non hanno futuro, mentre invece è essenziale, anche e soprattutto per questioni di ottimizzazione dello spazio urbano e del territorio, incentivare il recupero dell'esistente.

In questa ottica, troviamo anzitutto la modifica del comma 1-ter dell'art. 2 bis: viene introdotto a livello legislativo un concetto che è già consolidato a livello giuridico: laddove si effettui una demolizione e ricostruzione, anche se le distanze originarie non sono rispettose delle vigenti norme, sarà sempre possibile edificare nel rispetto di quelle distanze, purché le stesse siano legittime (e qui si può aprire un mondo). La norma, nella versione proposta, è tuttavia contraddittoria nell'ultimo periodo, quando indica che gli ampliamenti dovuti per l'effetto di leggi incentivanti possono essere realizzati con "ampliamenti fuori sagoma" e con "il superamento dell'altezza massima", ma sempre e comunque "nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti". il senso della norma non è chiarissimo, ma dovrebbe leggersi in questo modo: se intervengo su un edificio in cui tutte le distanze sono già al limite di legge o oltre, sarò vincolato a sviluppare l'eventuale premialità solo aumentando l'altezza; tuttavia, la norma non specifica che anche la porzione in sopraelevazione può "derogare" al regime delle distanze, e tecnicamente è anche pericoloso che possa farlo, altrimenti assisteremmo, nei centri storici in particolare (dove comunque la "semplificazione" si applica in modo diverso) o nei contesti magari già eccessivamente densi, ad una ulteriore elevazione delle altezze con conseguente riduzione della qualità igienico-sanitaria degli edifici confinanti. Appare dunque più logico che, come già è adesso in base alle prevalenti tendenze giurisprudenziali, che l'ampliamento, anche in sopraelevazione, debba comunque rispettare le distanze come se fosse nuova costruzione proiettata a terra: in questo caso però nelle zone A l'intervento sarebbe del tutto precluso, giacché come è noto in queste zone non è possibile ridurre le distanze esistenti, e dunque teoricamente non è possibile alcun ampliamento.

La norma introdotta sicuramente introduce delle semplificazioni interessanti ma va sempre ricordato che l'intervento incide su moltissimi altri temi anche non direttamente edilizi, quali quelli civilistici, che non sono toccati dalle innovazioni normative in questa sede.

Come accennato, il nuovo comma 1 ter art. 2 bis specifica che nelle zone territoriali omogenee di tipo A la "demolizione e ricostruzione" non si applica se non a seguito di piani di recupero specifici, facendo salva la normazione comunale già esistente. Attenzione ai casi speciali: in Lombardia le "zone territoriali" non esistono (perché la Regione ha espressamente disapplicato la norma statale), dunque bisogna agire con cautela; mentre alcune città, tipo Roma, hanno una zona A non solo particolarmente estesa, ma anche presente a macchia di leopardo sul territorio: non è raro trovare anche un singolo lotto o un singolo isolato di zona A all'interno di un'area diffusa classificata in via principale come zona B (e ciò potrebbe contrastare con il concetto stesso di "zona territoriale omogenea": ha senso che un singolo edificio possa rappresentare una "zona" diversa dal contesto?). La norma è comunque troppo stringente ed ha fatto nascere un fronte di protesta, sviluppatosi tra il momento della pubblicazione del DL 76 e la conversione in legge, che, tuttavia, non è stato ascoltato dal legislatore: così scritta, la legge pone fortissime limitazioni agli interventi rigenerativi in zona A, perché, nei fatti, si è obbligati, intervenendo per intervento diretto in dem-ric, a rispettare volume, sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche (così come specificato nella nuova formulazione della lettera d) comma 1 art. 3 DPR 380/01), impedendo qualunque opera che possa avere un respiro urbano. Da un lato, questa norma è stata probabilmente concepita sulla scia delle polemiche che sono nate in particolare a Roma a seguito della demolizione di alcuni villini storici in zone di pregio, sfruttando le possibilità del Piano Casa Regione Lazio, e mira ad evitare che i centri storici possano essere snaturati con interventi in contrasto con la loro bellezza ed unicità; dall'altro lato, però, le zone A non sono tutto oro luccicante, anzi spesso sono zone degradate, abbandonate e sotto utilizzate, con impianti urbani carenti: con questa limitazione, un edificio abbandonato probabilmente rimarrà tale, perché il costo della sua demolizione e ricostruzione, senza incentivo volumetrico, probabilmente è tale da azzerare il surplus, a meno che non si attinga sapientemente agli incentivi fiscali. Le trasformazioni più invasive comunque non sono vietate del tutto, ma sono subordinate all'approvazione, da parte del Comune, di dei piani di recupero urbano, i quali hanno grandi potenzialità di trasformazione, ma anche dei tempi di attuazione talmente lunghi da far sparire qualunque interesse di investimento privato, e queste non sono operazioni che può sobbarcarsi esclusivamente il pubblico. Insomma l'impressione è che si è voluta introdurre una limitazione di tipo edilizio, invadendo un campo che è invece proprio del Codice dei Beni Culturali: sarebbe stato forse più logico semplicemente vincolare "ope legis" le zone A, fino ad eventuale pronuncia di disapplicazione del vincolo da parte delle Soprintendenze: una sorta di Verifica dell'Interesse Culturale estesa ad intere aree urbane e ad immobili privati. La norma comunque parla di demolizione e ricostruzione di edifici, dunque si potrebbe ritenere che le demolizioni e ricostruzioni parziali non soggiacciano a queste limitazioni, ma, in tal caso, rientrerebbero facilmente nella definizione di "nuova costruzione" laddove l'intervento non preveda il rispetto di uno qualsiasi dei vari parametri "vincolati" tipo sagoma, prospetti, volume, assetto planivolumetrico, sempre fatte salve eventuali norme comunali specifiche.

Bisogna comunque focalizzare che le modifiche normative che vengono apportate dal decreto semplificazioni 2020 al DPR 380/01 sono due: una è quella del comma 1 ter, aggiunto all'art. 2 bis, e l'altra è quella della modifica dell'art. 3 comma 1 lett. d), ovvero la definizione di ristrutturazione edilizia. In questa, vengono apportate modifiche, appunto, per far rientrare le demolizioni e ricostruzioni all'interno della ristrutturazione edilizia, in modo da fornire una semplificazione implicita a questo tipo di intervento. Tuttavia, per quanto riguarda le specifiche applicative, le modifiche apportate all'art. 3 usano parole diverse da quelle usate per l'art. 2. Nelle modifiche dell'art. 3 è infatti presente la casistica di appartenenza dell'immobile ai vincoli imposti dal codice dei beni culturali, la quale è invece completamente assente nell'art. 2. ciò significa, abbastanza evidentemente, che l'intenzione del legislatore è che i principi inseriti nell'art. 2 valgano in modo omogeneo sia per le zone vincolate sia per quelle "libere", mentre invece, nella definizione di ristrutturazione edilizia, vi è da fare maggiore attenzione alla presenza del vincolo, il quale impone un livello di attenzione maggiore.

In caso di "qualunque" vincolo imposto ai sensi del Codice dei Beni Culturali, difatti, dalla piana lettura dell'art. 3 comma 1 lett. d), appare che la demolizione e ricostruzione possa continuare a rimanere nella definizione di ristrutturazione edilizia (e, quindi, beneficiare delle procedure semplificate), solo nel caso in cui vi sia mantenimento di "sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche". All'indomani della pubblicazione di questa specifica, in molti si sono iniziati a chiedere se davvero il legislatore intendesse ricomprendervi proprio tutti tutti i vincoli del Codice, poiché, come sappiamo, in questa norma confluiscono non solo gli edifici monumentali vincolati con decreto (generalmente, i beni tutelati ai sensi della parte II del Codice), che sono spesso singoli edifici, ma vi confluiscono anche tutti i beni presenti nei vincoli paesaggistici (parte III del Codice), i quali possono essere molto estesi e ricomprendere interi ambiti territoriali anche già urbanizzati ricadenti su più comuni o addirittura tra regioni differenti (ricordiamo che i parchi naturali, che non sono istituiti ai sensi del Codice, sono tuttavia comunque inseriti di diritto tra i beni paesaggistici, e dunque nei fatti ne fanno parte anche loro). Nel merito di questa questione, si è espresso dapprima il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il quale aveva emanato una nota in cui sembrava volersi interpretare che la limitazione era riferita solamente agli edifici vincolati dalla parte II del Codice e di quelli vincolati ai sensi dell'art. 136 comma 1 lettere a) e b) (ma nello stesso parere vi è anche la presa di coscienza che la norma non indica nessuna esclusione), ma poi è arrivata la circolare della DGABAP del Ministero della Cultura (n°38 del 2021 - qui anche l'allegato), che ha fornito un contro-chiarimento in cui ha chiaramente illustrato che la norma si riferisce a tutti i beni a qualsiasi titolo tutelati dal Codice, essendo del tutto assenti nella formulazione della legge qualunque riferimento ad eventuali beni sottratti. Dunque attualmente, e non poteva essere diversamente, la limitazione alla possibilità di operare in demolizione e ricostruzione in caso di vincolo, opera per qualunque tipo di vincolo individuato ai sensi del Codice, fossero anche le "semplici" fasce di rispetto della L. Galasso (oggi art. 142 del Codice). La lungaggine di questo paragrafo si è resa necessaria in quanto il dibattito sul punto è diventato molto acceso, e vi era necessità di maggiore chiarezza.

Nella conversione in legge, il testo di riferimento è stato modificato, introducendo una ulteriore sibillina dizione che, a mio modesto parere, non farà altro che creare grande confusione: oltre alle zone A ed a quelle equivalenti secondo la normativa regionale e locale, sono ricomprese nell'esclusione dell'applicazione anche ad "ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico", senza purtroppo dare nessuna definizione né di cosa si intenda dire, né di quale possa eventualmente essere l'ente, l'istituzione o lo strumento che detti le regole per definire questi ulteriori ambiti. una dizione così vaga potrebbe portare ad interpretare di "particolare pregio" qualunque cosa che, in un qualunque strumento urbanistico, possa individuare situazioni di attenzione: penso ad esempio alla Carta per la Qualità del Piano Regolatore di Roma, nella quale sono individuati degli immobili "da attenzionare" perché di particolare pregio, che possono risultare non vincolati, non in zona A e non individuati in altri strumenti di tutela. Consiglio di prestare enorme attenzione a questa circostanza perché l'interpretazione, anche della Giurisprudenza, sul tema sarà quasi certamente molto rigida. 


novità nelle variazioni dei prospetti + specifica applicabilità DM sanità 1975


Finalmente si è compreso a livello legislativo che le variazioni dei prospetti possono ricadere in interventi meno pesanti della ristrutturazione edilizia (e ciò ha una sua logica: perché demolire e ricostruire un intero edificio può ricadere nella "ristrutturazione leggera" mentre spostare di 10cm un vano finestra rientra in quella "pesante"? inoltre, è un tema su cui la Giurisprudenza è intervenuta molte volte, con andamenti altalenanti sebbene di recente le sentenze erano maggiormente allineate), ma evidentemente non se la sono sentita di lanciarsi troppo in là e quindi si propone di inserire un doppio regime per le variazioni di prospetto: queste potranno ricadere nella definizione della manutenzione straordinaria (e quindi essere gestite in SCIA per espressa previsione dello stesso DL 76/20, e non in CILA) soltanto se gli interventi sono necessari ai fini dell'"ottenimento o del mantenimento" delle condizioni di agibilità ovvero per l'accesso allo stesso (dunque si potrebbe ipotizzare che la semplificazione si attua quando, per operare un frazionamento di un immobile, devo ricavare una nuova uscita dall'esterno - magari in un edificio con distribuzione a ballatoio o situazioni analoghe): purtroppo non mancheranno i contrasti amministrativi su questo tema. Tuttavia, la condizione non è valida nel caso in cui gli immobili ricadano in uno qualsiasi dei regimi di tutela del Codice dei Beni Culturali (dunque anche vincoli paesaggistici e vincoli "ope legis"). la dizione normativa è generica ma pare potersi riferire, ad esempio, alla necessità di dotare degli ambienti abitabili dei corretti rapporti aeroilluminanti laddove si intervenga in immobili costruiti in epoche in cui detti rapporti non erano prescritti o prevedevano valori più bassi. Questa novità va però letta assieme ad un'altra novità del DL semplificazioni, cioè quella dell'art. 10 comma 2, dove si specifica che le disposizioni del famoso DM sanità del 1975 (il testo normativo che ha introdotto le disposizioni sulle altezze minime degli ambienti, le dimenzioni minime ed i rapporti aeroilluminanti: ne ho parlato in diversi post ma non in uno organico specifico: in questo post ne trovate diversi riferimenti applicativi), valgono solo per gli edifici realizzati successivamente all'entrata in vigore dello stesso decreto. Anche nell'ambito della ristrutturazione degli immobili antecedenti si può fare riferimento ai requisiti igienico sanitari dell'epoca di realizzazione. Sebbene questa sia una novità davvero significativa (gli edifici dei centri storici non potranno MAI rispettare i requisiti igienico-sanitari previsti dal DM sanità, salvo casi particolari e circoscritti), apre purtroppo un mondo interpretativo. I requisiti igienici prima del DM sanità erano regolati o dalle istruzioni ministeriali di fine ottocento, oppure dai regolamenti edilizi e di igiene dei singoli comuni, delle cui evoluzioni si è spesso persa traccia nel tempo: solo perché a me è venuto in mente di spulciare nei vecchi archivi, so che il rapporto aeroilluminante prima di essere 1/8 a Roma era di 1/10, ma purtroppo non è facile ricostruire l'esatta disciplina locale in vigore in un determinato momento storico. Va detto però che questa disposizione è transitoria, in quanto è prevista la sua validità nelle more dell'approvazione del decreto ministeriale previsto dall'art. 20 comma 1 bis che stabilirà i criteri specifici per l'agibilità e che presumibilmente andrà a sostituire il decreto sanità del 1975. Questo decreto, previsto dal comma 1 bis dell'art. 20 del DPR 380/01 avrebbe dovuto essere pubblicato entro 90 giorni dalla sua introduzione, avvenuta nel 2016: è probabile che dopo la pubblicazione del DL semplificazioni la cosa subirà un nuovo impulso. Nel frattempo, si potrebbe valutare di interpretare la norma nel suo senso letterale e dare comunque "per buoni" i rapporti "legittimamente" preesistenti, indipendentemente dalla disciplina effettivamente in vigore all'epoca del rilascio della licenza relativa alla costruzione (ma ogni tecnico deve agire secondo coscienza). 

Nel merito della questione, sono comparse, a distanza di quasi un anno dalla modifica normativa, delle sentenze che aiutano ad inquadrare meglio la situazione: anzitutto, segnalo la sentenza TAR Piemonte - Torino n°411/2021 che, pur essendo incentrata su una questione di idoneità alloggiativa, fa riferimento alla predetta novità legislativa per dare ragione ad un cittadino che ha dichiarato idoneo all'abitazione un immobile residenziale non conforme al DM sanità del 1975 ma invece conforme alle istruzioni ministeriali del 1896, in quanto edificato in data anteriore al 1975. Nella sentenza, viene confermata la logicità del ragionamento del ricorrente il quale sosteneva la conformità igienico-sanitaria dell'immobile proprio perché edificato in epoca in cui il DM sanità non era ancora stato pubblicato. E' a mio avviso importate rimarcare che, da quel che si capisce dalla sentenza, il tecnico che fu incaricato di redigere l'idoneità alloggiativa aveva correttamente riportato sulla sua dichiarazione che l'immobile NON era conforme al DM sanità ma che lo era con riguardo alle norme igienico sanitarie precedentemente in vigore: questa correttissima posizione, è vero, ha inizialmente danneggiato il committente perché questi si è visto rigettare l'istanza di idoneità alloggiativa dal Comune, ma questi, insorto dinanzi al TAR, ha poi avuto ragione anche grazie al corretto approccio iniziale del proprio tecnico.

Per converso, il TAR Lombardia, Milano, sez. II, n°1365/2021, ispirandosi alla stessa norma, specifica che il passaggio normativo non può riferirsi a immobili che non nascevano come abitativi e che erano preesistenti al 1975: il caso di specie, infatti, tratta di un locale sottotetto abusivamente convertito all'uso abitativo ed oggetto di domanda di condono in epoca successiva al 1975, dunque non vi sarebbero, nel caso di specie, rapporti e dimensioni incidenti sui parametri igienico-sanitari "legittimamente preesistenti" a cui fare riferimento.

Tornando infine al tema dei prospetti, la loro trasformazione, laddove ricada in manutenzione straordinaria, è comunque soggetta a SCIA, e ciò è chiarito dalla modifica effettuata dallo stesso decreto all'art. 22 comma 1 lettera a): dunque da oggi implicitamente la modifica dei prospetti che rispetta i presupposti di legge previsti per ricadere in manutenzione straordinaria, si può dire che rientri nella manutenzione straordinaria pesante, finora differenziata da quella leggera solo in caso di  presenza di interventi strutturali. Attenzione perché questa modifica introdotta sull'art. 22 lascia intendere in senso più ampio che qualunque intervento che sia di manutenzione straordinaria e che interessi i prospetti sia ad oggi da ricondurre a SCIA (ad esempio una canna fumaria, come da TAR Lazio sez. 2 stralcio n°3214/2023 che ho commentato anche qui, ma attenzione, ad oggi, a qualunque opera che sia di manutenzione straordinaria ma che abbia incidenza sui prospetti). Si ha motivo di ritenere che questa lettura estensiva dell'art. 22 sia un effetto collaterale non direttamente voluto dal legislatore; non si spiegherebbe altrimenti il motivo per cui l'estensione alla variazione di prospetto sia stata inserita nella manutenzione straordinaria e non anche nel risanamento conservativo di cui all'art. 22 comma 1 lett. b).


nuova definizione di legittimità edilizia

Il Decreto introduce nel DPR 380/01 una specifica e chiara definizione di legittimità edilizia, tale da porre fine, immagino, a molte interpretazioni che ancora oggi tendono a fare una lettura autonoma della definizione: ogni intervento edilizio deve essere collegato ad uno stato a sua volta legittimato da idoneo titolo edilizio (ne ho parlato qui, in riferimento alla CILA), altrimenti viene meno la legittimità. Il fatto che deve esserci continuità tra i vari titoli edilizi è anche confermata dalle prime sentenze della Giustizia Amministrativa, tra cui per ora segnalo TAR Campania - Salerno n°1358/2021. La sentenza, tra le altre, affronta la problematica legata al fatto che si riteneva legittimo un intervento solo perché rappresentato in un precedente titolo edilizio, del quale però quella trasformazione non era stata espressamente oggetto. Si tratta, in definitiva, di una situazione piuttosto ricorrente: a volte vengono predisposte delle istanze edilizie in cui l'immobile viene rappresentato nello stato in cui è, senza effettuare una compiuta verifica della storia della conformità edilizia, finendo quindi per inserire nel titolo anche trasformazioni che non sono state espressamente oggetto di una autorizzazione. nella sentenza, emessa appunto anche alla luce della nuova definizione di legittimità edilizia, viene chiarito che tutto quello che non è espressamente autorizzato da un titolo edilizio, deve semplicemente ritenersi non legittimo. Dato l'interesse di questa che è tra le prime sentenze nel merito, vale la pena riportarne un estratto: 


- con l’innovazione introdotta dall'art. 10, comma 1, lett. d, n. 2, del d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni), conv. in l. n. 120/2020, il legislatore ha inteso semplicemente chiarire che lo «stato legittimo dell’immobile» è quello corrispondente ai contenuti del sottesi titoli abilitativi, relativi non solo alla sua originaria edificazione, ma anche alle sue successive vicende trasformative;

- non altro; perché, se altro il legislatore avesse inteso stabilire, e cioè se avesse ricollegato portata totalmente abilitante al titolo «che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare», a prescindere dal relativo oggetto [omissis], avrebbe abbandonato il principio ordinamentale basico di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, operante nel campo processuale, ma ragionevolmente esportabile anche nel campo dei procedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati e, soprattutto, avrebbe surrettiziamente introdotto una sorta di sanatoria implicita per tutti i manufatti assistiti da (qualsivoglia) titolo abilitativo, seppure non riferibile alla loro integrale consistenza e conformazione;

Tornando al concetto centrale della legittimità, questa può essere attestata o attraverso la verifica che l'immobile sia conforme ai titoli edilizi, oppure, laddove questi non erano necessari al momento della costruzione, con documenti che possono in qualche modo rappresentare, circoscrivere o testimoniare l'esistenza e le fattezze del fabbricato. Inoltre, viene introdotto un concetto ormai consolidato nella prassi ma mai messo in una legge: laddove si abbia notizia dell'esistenza di un progetto, ma questo non è reperibile per esempio presso l'archivio comunale, anche in questo caso si può fare riferimento a documenti non progettuali, come le planimetrie catastali. Attenzione perché questo aspetto dovrà essere asseverato da un tecnico o dalla committenza, pertanto è un ambito assai delicato, come lo è comunque adesso, d'altronde. Rimane comunque un vuoto nella formulazione del comma 1 bis dell'art. 9 DPR 380/01: se l'edificio è stato realizzato in un epoca remota ma in cui era necessaria una licenza, ma di questa non si trova nemmeno il "principio di prova", che si fa? non è "giusto" in questo caso poter attingere alle fonti non convenzionali (catasto, foto aeree, documenti notarili), perché si deve presupporre di essere di fronte ad un fabbricato abusivo, realizzato in assenza di licenza edilizia, e forse per questo volutamente la futura norma non ne parla.


La definizione di legittimità edilizia data con il futuro comma 1 bis art. 9, si applicherà espressamente alle destinazioni d'uso, in quanto è prevista la modifica dell'art. 23 ter che farà esplicito riferimento alla definizione che si andrà ad introdurre. Questo aspetto non è affatto secondario, e apre prospettive particolari. le destinazioni d'uso non sempre venivano chiarificate nei vecchi progetti edilizi, diciamo prima del 1967, e non è raro non trovare alcuna indicazione nei progetti delle destinazioni d'uso per esempio dei locali commerciali al piano terra. in tal caso, essendo la normativa sui mutamenti d'uso intervenuta più di recente, si potrebbe azzardare una lettura estensiva dell'art 9 comma 1 bis di futura introduzione concependo il concetto secondo cui se vi è stato un tempo in cui le destinazioni d'uso non erano definite e nel progetto in effetti non si trovano elementi per chiarificarle, le stesse potrebbero essere individuate attraverso gli accatastamenti ovvero in base alle indicazioni contenute nell'agibilità.

Può valere la pena sollevare una questione interpretativa, che potrebbe portare a delle prospettive nuove riguardo a molti temi trattati in questo blog: il nuovo art. 9 bis comma 1 bis, per definire l'ambito entro cui si possono utilizzare le documentazioni tecniche "alternative", usa le seguenti parole: "per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio [...]" sulle quali è opportuno soffermarsi un attimo: che cosa si intende per "titolo abilitativo edilizio"? se l'interpretazione è generica e vasta, come si può più facilmente interpretare, anche in via cautelativa, allora sicuramente nei "titoli edilizi" rientrano anche di diritto le "licenze comunali" che venivano rilasciate per le costruzioni prima dell'introduzione della L. 1150/42 che ha disciplinato invece per la prima volta la licenza edilizia; se tuttavia se ne facesse una interpretazione più allegra, per "titolo abilitativo" potrebbe intendersi esclusivamente quello derivato da una norma statale. questa interpretazione potrebbe portare a dare un colpo di spugna a tutta ciò che è stata la regolamentazione locale ante 1942, in quanto prima di tale data non esisteva una "licenza edilizia" normata a livello statale, ma non credo che fosse questa l'intenzione del legislatore.

modifica della disciplina delle tolleranze costruttive

il decreto modifica la disciplina delle tolleranze costruttive, abrogando il precedente comma 2 ter art. 34 e introducendo un nuovo articolo 34 bis, interamente ed esclusivamente dedicato alle tolleranze costruttive. Il concetto di fondo non subisce modifiche: non rappresentano "abusi" le differenze in termini dimensionali delle costruzioni, rispetto al progetto approvato, fino al 2%, con riguardo alle singole unità immobiliari. Interessante è l'introduzione del concetto secondo cui le eventuali difformità riscontrate e che rientrano nei termini delle tolleranze devono essere individuate dal tecnico abilitato ai fini della chiarificazione della situazione per acquisire la validità del titolo: in sostanza, laddove si individuino difformità entro il valore di tolleranza, il tecnico ne deve rendere chiara indicazione nei successivi titoli edilizi ovvero in forma di perizia asseverata in caso di trasferimento immobiliare. Anche qui, si tratta del consolidamento a livello legislativo di una prassi già in essere: anche questa è una interessante innovazione, ma attenzione sempre alle gigantesche responsabilità che si prende il tecnico nel rendere queste dichiarazioni: se volete un consiglio spassionato, asseverate queste condizioni solo quando siete assolutamente sicuri che le tolleranze siano all'interno del 2%: in caso di dubbio o di tolleranze anche di pochissimo oltre il limite, lascerei perdere.

Tra i primi tribunali amministrativi ad esprimersi sul nuovo art. 34 bis, vi è TAR Lazio che, con sentenza n°4413/2021 è andato a confermare il rigetto di una SCIA operato da un municipio romano in quanto la stessa prevedeva l'applicazione del criterio della tolleranza esecutiva riferendosi non alle misure della singola unità immobiliare ma a quelle dell'intero edificio. nel caso di specie, si riteneva di poter far rientrare nelle tolleranze una difformità, realizzata all'epoca della costruzione ed antecedentemente alla L. 765/67, di circa 17 mq su una unità immobiliare di una consistenza generale di circa 80mq, invocando la tolleranza del 2% riguardo all'intero fabbricato: il TAR conferma che il 2% deve riferirsi alla singola unità immobiliare.

Il testo dell'art. 34 bis, sostanzialmente non modificato nella conversione in legge, contiene a mio parere una incongruenza: il comma 2 stabilisce che non costituiscono difformità, tra le altre, le "opere interne" eseguite in difformità durante l'esecuzione di lavori "per l'attuazione di titoli abilitativi", purché non siano in violazione della disciplina urbanistica ed edilizia. Questa di fatto è una sorta di "liberalizzazione" delle opere interne, perché, non avendo introdotto nessun parametro limitativo dell'entità delle differenze che possono esserci, di fatto qualunque modifica, purché esclusivamente interna, effettuata anche in una ristrutturazione, non deve essere oggetto di variante, a patto che non si abbia a che fare con immobili vincolati ai sensi del Codice dei Beni Culturali. Questa modifica è stata probabilmente ispirata da una analoga norma già presente nella legislazione della Regione Emilia Romagna, la quale però nella propria struttura normativa ha specificato che sono "libere" le opere interne "di modesta entità": non trovandosi nella norma nazionale la stessa limitazione, di fatto la liberalizzazione appare essere generale. Ma non si canti vittoria: tale visione, se confermata, starebbe a significare che le opere "in variante" sarebbero "libere" solo in presenza di tutti questi presupposti: 1. le variazioni siano state poste in essere durante un intervento edilizio autorizzato da un titolo abilitativo (e quindi sono escluse le opere effettuate in assenza di un titolo) 2. le opere devono comunque rispettare le norme urbanistiche ed edilizie 3. non dobbiamo avere a che fare con immobili vincolati (la genericità della dizione normativa vi fa rientrare anche i vincoli paesaggistici, il che è ambiguo perché le opere interne nei vincoli paesaggistici sono libere dalla necessità dell'autorizzazione: dunque si applica o no il concetto? io non ho la risposta ma suggerisco cautela) 4. la circostanza deve essere asseverata dal tecnico, in qualche modo (possibilmente sempre nell'ambito del medesimo titolo abilitativo entro cui le opere devono svolgersi per non essere considerate abusi).

Lasciatemi chiudere questo post con un commento: nelle varie bozze che si sono succedute di questo decreto prima della sua pubblicazione, vi era una novità interessante, ma che fu stralciata tacciandola, erroneamente, come "condono edilizio". nelle bozze era stata introdotta l'eliminazione del concetto della cosiddetta "doppia conformità", condizione necessaria per acquisire l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 DPR 380/01 (si tratta del fatto che un intervento edilizio eseguito senza licenza può ottenerla "in sanatoria" se contestualmente rispetta sia le norme attualmente in vigore, sia quelle in essere al momento dell'esecuzione dell'abuso: eliminando la doppia conformità, rimarrebbe la necessità di rispetto delle norme in vigore). questa doppia conformità pone dei seri problemi pratici, perché laddove si interviene su immobili i cui abusi risalgono ad epoche remote (immaginiamo il caso più ricorrente: delle difformità al progetto effettuate dall'originario costruttore) non è sempre possibile ricostruire con esattezza quali erano le norme specifiche applicabili, dato che nel corso del tempo sono cambiate non solo le norme nazionali (le quali sono tutto sommato meno complesse da ricostruire) ma anche e soprattutto la normativa locale (regolamenti edilizi e di igiene) nonché gli strumenti urbanistici, dei quali è oggettivamente difficile, se non impossibile, essere certi della loro ricostruzione in un dato momento storico. Era dunque cosa buona e giusta modificare le disposizioni dell'art. 36 "liberando" dalla doppia conformità le opere realizzate fino alla data di approvazione del decreto, così da facilitare gli interventi di sanatoria delle difformità che tanti edifici si portano appresso e che tanti problemi pongono in sede di compravendite immobiliari. Non era pertanto un condono e sinceramente rimango basito nel pensare che possa essere stata letta come tale questa innovazione da uomini che scrivono leggi: la speranza è che il dibattito politico possa riprendere in modo sereno e lucido questo aspetto e riproporlo in sede di conversione in legge. Nel caso, non sarebbe male se nel dibattito si inserisse la possibilità di effettuare una sanatoria condizionata, sempre osteggiata dalla Giurisprudenza perché, giustamente, in contrasto con il dettame normativo: si tratta di una procedura che consentirebbe di ottenere una autorizzazione per eseguire delle opere su un immobile abusivo finalizzate a portare una situazione a norma e, quindi, poter acquisire l'accertamento di conformità.




48 commenti:

  1. Salve architetto, sempre puntuale con gli approfondimenti sulla normativa in progress.
    Questa estate ci sarà da studiare molto!!!
    Scherzi a parte mi piacerebbe conoscere il suo parere in merito alla modifica all'art 3, comma 1, lettera d del DPR 380/01, introdotta dal Decreto semplificazione.
    Sembra “ampliare” il concetto di "ristrutturazione edilizia" nel caso di demolizione e ricostruzione, inserendo, laddove permesso dalla normativa vigente o per aree che esprimano ulteriore capacità edificatoria oltre la volumetria esistente, anche eventuale ampliamenti.
    Quindi un intervento di demolizione e ricostruzione con ampliamento rientra, dopo il decreto semplificazione, in ristrutturazione edilizia, a differenza di prima, quando, invece, si configurava nuova edificazione.
    La “domandona” è legata alla applicazione dei bonus fiscali.
    Infatti l'Agenzia delle entrate aveva chiarito che gli interventi di demolizione e ricostruzione erano ammessi nei termini della ristrutturazione edilizia, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d del DPR 380/01.
    In caso anche di ampliamento, oltre che D/R si era esclusi.
    Ora, modificato l’articolo 3, i bonus saranno estesi anche a Demolizione ricostruzione con ampliamento? Grazie in anticipo per la eventuale risposta.

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    1. le definizioni dell'agenzia delle entrate sono sempre state leggermente diverse da quelle dell'edilizia: io penso che continueranno a ritenere ammissibile alla detrazione solo la "ristrutturazione" della cubatura preesistente, perché la nuova cubatura per definizione non può accedere al bonus. sarà comunque necessario attendere delle indicazioni specifiche, ma fino ad allora cautelativamente mi orienterei in questo modo.

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    2. Infatti io penso che sarebbe corretto (e anche lineare come procedura), sempre dopo aver atteso le indicazioni della agenzia delle entrate, poter procedere con ristrutturazione edilizia anche in caso di demolizione e ricostruzione con ampliamento ammettendo la detrazione solo per la volumetria preesistente. Si eviterebbero interventi frammentati in due tempi con tutte le difficoltà (ed ipocrisie) del caso. Grazie per la risposta.

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  2. Buongiorno architetto, chiedo un parere sui cambi di destinazione d'uso che secondo il nuovo Decreto, rientrano tra le opere di manutenzione straordinaria quando non comportino aumento di carico urbanistico. Grazie.

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    1. il decreto non ha mutato la classificazione preesistente sui mutamenti d'uso, che rimangono distinti tra rilevanti e non rilevanti.

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  3. Architetto buongiorno. Il decreto dice che "...con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 ... gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria".
    Nel caso ad esempio (frequente) a Roma di edifici ricadenti in zona con vincolo paesaggistico, l'eventuale demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma o della volumetria dovrebbero dare quindi origine a nuove costruzioni non potendosi più classificare come ristrutturazioni. E se è così, le nuove porzioni fuori sagoma possono comunque derogare al regime delle distanze oppure no?
    Grazie, saluti!

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    1. il comma 1-ter dell'art. 2-bis consente la deroga senza citare il caso di immobili vincolati, dunque sembrerebbe che l'intervento, anche se non classificabile come RE, se è di demolizione e ricostruzione può comunque derogare alle distanze.

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  4. Buonasera Marco, avrei una domanda in merito ad un cantiere per un intervento di DR ai sensi degli art.4 e 5 del piano casa, autorizzato con DIA nel maggio 2017, in cui abbiamo ovviamente un incremento volumetrico rispetto all’edificio preesistente, e con lavori iniziati a maggio 2018.
    In funzione delle modifiche introdotte dal DL 76/20 in merito alla definizione di ristrutturazione edilizia ed in base alle caratteristiche progettuali (sia relative al sismabonus che all’ecobonus), sembrerebbe che il nostro intervento possa usufruire degli incentivi del superbonus, considerando anche che alcune modifiche progettuali (relative ad isolamento, impianti o altri accorgimenti), finalizzate al raggiungimento certo di tutti i requisiti minimi, sarebbero ancora possibili.
    Ma mi è sorto un dubbio, il decreto recita:
    …"L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana".
    Parla di legislazione vigente, mentre il piano casa è ormai decaduto. Però, visto che il progetto risulta assentito con la DIA originariamente presentata, mi sembra plausibile ritenere che l’intervento (ovviamente relativamente alle opportune parti di spesa), possa accedere al Superbonus.
    Inoltre, sempre relativamente alla “legislazione vigente”, presentare oggi una variante, che consiste fondamentalmente in modifiche di prospetto e in una diversa articolazione planimetrica interna alla sagoma e al volume già assentiti con la DIA originariamente presentata, potrebbe pregiudicare l’accesso alle agevolazioni del superbonus?
    Potrebbero sembrare domande banali, ma visto il contesto, ancora pieno di dubbi e di incertezze e la delicatezza della questione, sia rispetto agli oneri del committente, che alle responsabilità professionali di noi tecnici, avrei molto piacere di avere un tuo parere sulla faccenda.
    Grazie mille per il tuo prezioso e continuo lavoro

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    1. per interventi in essere, mi sembra difficile poter valutare l'applicazione di eco e sisma bonus in quanto comunque si prescrive che le spese siano effettuate da luglio 2020 e comunque il progetto andrebbe almeno verificato (quello dell'eco bonus). Devono poi sussistere tutti gli altri requisiti, ma, in ogni caso, mi sentirei di escludere che l'eco bonus possa applicarsi alle porzioni ampliate, dunque si tratterebbe di applicarlo parzialmente sull'intervento, ed anche questa mi sembra una cosa foriera di strane interpretazioni. attenzione anche al fatto che, da come sembra, i fabbricati di unici proprietari non possano accedere all'eco-bonus. direi che occorre vedere tutto per bene e fare magari un interpello all'ADE.

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    2. Grazie mille, attualmente abbiamo terminato solo il seminterrato e parliamo ovviamente delle spese a partire dal luglio 2020. I punti che tocchi, a parte i requisiti e progetto ecobonus che stiamo verificando, sono altri due argomenti scottanti da investigare, grazie ancora

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  5. Salve architetto,
    riguardo ai prospetti, con la modifica al DPR 380/01 questi, nel caso di mantenimento o ottenimento dell'agibilità, ricadono ora in MS...ma è stato contestualmente modificato l'art.10 c.1 lett.c per cui negli interventi di RE soggetti a PdC non si fa più riferimento ai prospetti...dunque mi sorge spontanea una domanda: "se dovessi modificare una finestra non per fini di ottenimento/mantenimento dell'agibilità, cosa dovrei presentare??" e di conseguenza, in caso di sanatoria per difformità di prospetti, non ricadrei più nell art.36, bensì nel 37 ???
    Grazie mille per la sua cortesia e per le informazioni utili che ci aiutano a districarci meglio nella jungla normativa italiana.

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    1. in effetti si configura una sorta di vuoto normativo, perché la norma adesso specifica che la variazione di prospetti è RE solo laddove l'immobile è sottoposto a tutela (e comunque nell'ambito di dem-ric). tuttavia, per contro, specifica anche chiaramente che è MS "solo" se è finalizzato all'agibilità: dunque nel dubbio continuerei ad interpretarlo come RE, ma è chiaro che hanno prodotto un bel vuoto.

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  6. Buonasera architetto,
    Chiedo una sua delucidazione in merito al decreto semplificazioni e alle distanze tra edifici. Vorrei eseguire un sopraelevazione di circa 70 cm sulla mia copertura demolendo l'attuale tetto e il solaio per ottenere un sottotetto abitabile. Mi chiedevo se in merito alle novità contenute nel suddetto decreto si debba in ogni caso mantenere i 10 metri dall'edificio vicino o se in questo caso si rientra nel caso di demolizione e ricostruzione previsto nell'articolo 2 comma 1ter(laddove si parla di e cito"in ogni caso di demolizione e ricostruzione ").
    La ringrazio anticipatamente per la sua risposta.
    Un saluto

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    1. le nuove definizioni sembrano riferirsi agli "edifici" e non anche a loro parti, nel caso di demolizioni e ricostruzioni. si potrebbe quindi tendere a ritenere che interventi "localizzati" di demolizione e ricostruzione, non estesi all'intero edificio, non abbiano subìto modifiche normative, ma questa è una mia interpretazione cautelativa.

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  7. Buonasera
    E' possibile accedere al SUPERBONUS per lavori in un appartamento senza agibilità (non è possibile chiedere la parziale manca RSU e collaudo ststico dell'intero fabbricato)in presenza di tutti gli altri requisiti?

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    1. secondo me - ma potrei essere smentito - l'assenza dell'agibilità non preclude l'accesso al bonus, ma dovrà comunque essere gestita la questione strutturale, per concluderla come avrebbe dovuto essere.

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  8. Nel decreto Superbonus 110 si chiede al tecnico di asseverare la conformità edilizia e catastale, ritiene possa essere "conforme " un appartamento pur mancando il collaudo statico dell'edificio?

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    1. Gli ambiti della legittimità possono essere separati: quello delle norme sismiche potrebbe essere carente, se l'edificio è costruito in un epoca in cui il collaudo era richiesto.

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  9. Nel mio caso l'asseverazione riguarderebbe l' efficientamento energetico, ho sostituito la vecchia caldaia con una nuova e la prima APE mi "dice" che passerei dalla classe D alla B sostituendo la caldaia, cosa che ho fatto, quindi vorrei accedere al superbonus, cosa ne pensa?

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  10. Salve architetto
    Attualmente sa se per un intervento di rifacimento e
    Impermeabilizzazione di una pavimentazione esterna su un area privata che pero' e ad uso pubblico cioe' di servizio a dei negozi e necessario presentare una CIL oppure non occorre fare nessuna comunicazione
    Grazie in anticipo

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  11. Buonasera architetto,
    in riferimento al comma 3 dell'art. 10 del DL semplificazioni, volevo chiederle se, a suo parere, per poter procedere alla realizzazione a proprie spese degli interventi previsti dal Superbonus sulle parti comuni (isolamento lastrico di proprietà esclusiva con una pratica riferita alla sola unità INDIPENDENTE con accesso INDIPENDENTE del secondo ed ultimo piano dell'edificio, stesso proprietario del lastrico) occorre far autorizzare dall'assemblea all'unanimità la diversa convenzione per il riparto delle spese ai sensi dell'art. 1123 del cc. Grazie.

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  12. Buongiorno Marco,
    Volevo chiedere il tuo parere in merito alla possibilità di attestare la legittimità di un immobile facendo ricorso alla nuova definizione di "tolleranze costruttive" introdotta dal decreto semplificazioni.
    Mi trovo nel caso piuttosto comune di un edificio (anni 70) stato realizzato in fase di costruzione con un diversi balconi e dunque prospetti, diversa posizione dei corpi scala e dell'ascensore, diversi confini tra le singole unità abitative. In questo casosi potrebbero considerare queste difformità rientranti nella definizione di tolleranze? Cito "le irregolarità geometriche e le modifiche delle finiture degli edifici di minima entità, la diversa collocazione degli impianti e opere interne eseguite durante i lavori previsti dal titolo edilizio" Dunque considerando i balconi rientranti nelle irregolarità geometriche (2%?), ascensore come diversa collocazione"impianto" corpi scala e tramezzature varie degli appartamenti come "opere interne"? A tuo parere come potremo definire con certezza i confini di questo tipo di tolleranze costruttive per non incorrere in dichiarazioni rischiose? (ovviamente parliamo di edifici con licenze, agibilità etc. ma comunque difformi dal titolo)
    Ti ringrazio dei tuoi sempre utili contributi

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    1. purtroppo la norma è molto avara della definizione di "irregolarità geometriche", entro le quali in effetti può rientrarci tutto o niente. nell'attesa di qualche sentenza o di migliori definizioni, mi muoverei con cautela, e nel tuo caso forse cercherei di orientarmi più su una sanatoria.

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    2. Grazie Marco per la tua risposta. La vaghezza ed ed interpretabilità delle norme infatti penso sia alla base di molti problemi nello svolgere il nostro lavoro con correttezza e efficacia. Ma anche pensando ad una sanatoria (accertamento di conformità immagino dunque tu intenda) come pensi si possa impostare riguardando le irregolarità l'intero complesso edilizio ed essendo incaricata di occuparmi ovviamente solo di una singola unità? Ti è già capitato un caso analogo? Oltre il balcone la diversa posizione di ascensore e corpo scala (che comportano un diverso perimetro di confine dell'unità con aree comuni e altre unità) come dovrei valutarle per la sanzione? Immagino si ricadrebbe in SCIA in sanatoria giusto? Resto davvero confusa. Come se non bastasse in questo particolare periodo avere un colloquio direttamente con il personale degli u.t. è quasi impossibile. Ti ringrazio per il parere che vorrai darmi.

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    3. se l'ascensore è collocato in modo diverso bisogna fare attenzione: c'è anche una implicazione strutturale dovuta al foro nei solai. se non ci fosse questo aspetto, sarebbero cose forse gestibili anche in sanatoria senza grandi complessità.

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  13. Capisco, ma è chiaro che essendo stato posizionato in fase di costruzione ed essendo state fatte allora tutte le verifiche e i collaudi delle strutture reali lo spostamento avvenuto solo sulla carta e non può aver inciso sulla sicurezza strutturale non credi?

    Piuttosto se si persegue la linea della Scia 1 in sanatoria per le modifiche dei prospetti come RE leggera non è una contraddizione poi calcolare i co.co.co. e Sanzioni come se fosse RE pesante?
    Il municipio mi risponde che vanno calcolati così ma mi sembra illogico.
    Mi sembra siamo ancora in una fase di interpretazione del decreto e le modifiche che ha comportato nella pratica...sarebbe interessante tracciare le prassi che si stanno consolidando nei vari casi.

    Ad esempio, sulla efficacia immediata o dopo espresso provvedimento (60 GG) della sanatoria sembra debbano ancora esprimere un parere definitivo (hanno programmato una riunione a breve mi dicono per decidere).

    Grazie del confronto sempre utile!

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    1. l'ambito strutturale sotto certi aspetti può essere pure separato da quello urbanistico, ma potrebbe essere che si debbano gestire entrambi: dipende dalle carte.

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  14. Buongiorno architetto
    Un mio cliente mi chiede se rientra nelle tolleranze del 2% art.4-bis l'abuso di una demolizione scala metallica che collegava il piano terra con il piano primo stessa propieta',piano abitabile e in regola con le norme edilizie, con successivo rifacimento solaio della parte della scala .Essendo una scala a chiocciola e un rifacimento solaio esiguo secondo lei potrebbe rientrare nelle tolleranze 2% o occorre comunque fare una scia completa senza dichiarazione visto che e stato fatto un intervento strutturale sul solaio non regolarizzato al comune?

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    1. le tolleranze, come è stato già interpretato dalla Giustizia, riguardano errori di misura inevitabili nelle costruzioni, e non difformità eseguite con intenzionalità: alla luce di ciò, secondo me una fattispecie del genere difficilmente può essere ascritta alle tolleranze. attenzione anche all'aspetto strutturale, peraltro.

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  15. Buongiorno
    cooperativa di circa 100 soci ( con asegnazione a proprietà divisa) che ha acquistato area con fabbricati industriali e uffici demoliti e ricostruiti con sagoma, sedime e volumetrie diverse, area di rigenerazione urbana ( Città con grado sismico 3 )
    Progetto presentato in comune (no asseverazione) in aprile 2019 , permesso di costruire rilasciato a dicembre 2019.
    Costruzione in atto , fine prevista maggio 2022.
    SOCI possono rientrare nelle agevolazioni previste dal Sismabonus acquisti o altri benefici?

    Dicitura del pdc"Permesso di costruire convenzionato riguardante la via di un comparto urbano tra le vie...., con demolizione e ricostruzione di edifici industriali co l'aggiunta della superfice destinata a ERS oltre al 5% di incentivo energetico"
    Grazie mille per la sua consulenza chiara e puntuale

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  16. Buonasera,
    Secondo lei si può accedere a superecobonus/sismabonus per demolizione e ricostruzione andando prima a costruire su stesso terreno in cui c’è residuo di cubatura sufficiente e poi demolire edificio preesistente?

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    1. il tenore della norma lascia intendere che la demolizione deve essere propedeutica o contestuale alla ricostruzione, tuttavia se il comune è d'accordo si potrebbe valutare di operare mediante un atto d'obbligo in cui ci si impegna alla demolizione, ma devono sussistere delle condizioni particolari, a mio avviso, per rendere sostenibile la richiesta.

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  17. Ciao Marco, ti faccio probabilmente una domanda banale.. Una piccola palazzina (condono 1985) fatta di due appartamenti (piano terra e piano primo) può essere demolita e ricostruita con due diversi corpi di fabbrica (due piccole monofamiliari) con la SCIA presentata in Municipio???

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    1. farei riferimento ad un parere del dipartimento di pochi giorni fa, in cui facevano la domanda inversa, ovvero se fosse possibile demolire più fabbricati riunendoli in uno. il dipartimento ha risposto che è ragionevole ritenere che sia soggetto a PdC.

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  18. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  19. Buonasera Architetto,
    quindi secondo lei, con una CILA aperta, una variante non sostanziale che prima avrebbe richiesto la presentazione di una nuova CILA (ad esempio una porta spostata o un tramezzo diverso per alloggiare un armadio) può essere rappresentata notificandolo direttamente in fase di chiusura lavori? e se si in che modo secondo lei? basterebbe la corretta variazione catastale ad esempio?
    E questo anche in immobili ad esempio in carta per la qualità g1b, che richiederebbero nullaosta della Capitolina?
    Grazie come sempre
    Antonio

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    1. se le opere sono modeste, in effetti il passaggio normativo dovrebbe leggersi in tal senso.

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  20. Buonasera architetto, nel corso delle sue ricerche "storiografiche" sui requisiti igienico-sanitari vigenti a Roma prima del DL 1975 ha per caso avuto modo di appurare quali fossero altri requisiti minimi per i vani abitabili (e le unità immobiliari in genere) oltre a quello dei rapporti aeroilluminanti che era 1/10 invece di 1/8? Ad esempio altezze minime, dimensioni minime degli ambienti/appartamenti, affacci liberi piuttosto che in chiostrina ad es. per cucine etc.. Aggiungo, esiste per caso in rete un link che permette di consultare le carte con le vecchie disposizioni igienico-sanitarie? Anche per capire se ci sono state poi modifiche successive nei periodi ante 1975. Grazie in anticipo !

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    1. può fare riferimento a due miei post di qualche tempo fa: uno in cui ho riportato il testo coordinato del regolamento edilizio di Roma, dove ho appuntato alcuni riferimenti alle norme previgenti, ed un altro, in cui ho commentato i contenuti dei regolamenti edilizi previgenti rispetto a quello attuale. naturalmente, vi sono state modifiche ai parametri igienico-sanitari, anche per quanto concerne le altezze utili interne. invece, le superfici minime nascono dal 1978, perché prima il parametro minimo era stato sempre il volume.

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  21. Buongiorno
    devo presentare idoneo titolo per sanare una finestra realizzata durante i lavori
    per l'attuazione del titolo abilitativo originario

    l'immobile ricade in città storica tessuto T7

    l'area dove è collocato l'immobile è sottoposta a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22.01.2004 ( lett. c) e d) beni d'insieme: vasta località con valore estetico tradizionale, bellezze panoramiche)

    con il DPR 31/2017 l'immobile ricade in zona tutelata, ma l'opera non comporta alterazione dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici ovvero non sono soggetti ad autorizzazione ai sensi dell'art. 149, d.lgs n. 42/2004 e del dpr 31/20017, allegato A e art. 4 .

    Con l DL 16.07.2020, N.76 "decreto semplificazioni" , ha introdotto, tra l'altro, modifiche e integrazioni al dpr 380/2001, ivi comprese quelle attinenti le modifiche dei prospetti .

    E' giusto quindi presentare una SCIA a sanatoria ai sensi dell'art. 37 ? senza richiedere la compatibilità ambientale ?

    grazie e buon lavoro

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    1. potrebbero ricorrere i presupposti per sanare la cosa semplicemente con una SCIA: ovviamente, i presupposti vanno verificati dal tecnico incaricato. Se il tecnico valuta che la finestra per come realizzata rientra nei casi di esclusione dall'autorizzazione di cui all'allegato A del DPR 31/17, allora si può procedere senza accertamento di compatibilità.

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    2. QUINDI POTREI SANARE LA FINESTRA CON SEMPLICE SCIA E NON CON SCIA in alternativa al pdc giusto? anche se l'immobile si trova in zona vincolata....

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    3. no in effetti ho scritto male: se c'è vincolo, non si applica la semplificazione e rimane soggetta a scia alternativa.

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  22. Buonasera Marco, ho un quesito da sottoporre.
    In base a questi aggiornamenti normativi, quindi, per immobili legittimi ante 1975 - a ROMA - mi sembra di capire che cambia poco: un immobile che comunque non rispetta i rapporti aeroilluminanti pari a 1/8 per esempio, a meno che non sia stato costruito precendentemente al 1934 (in quanto il regolamento edilizio in vigore dal 1934 già indicava 1/8 come rapporto minimo)sarebbe comunque non conforme (o sbaglio?). Invece, per immobili precedenti al 1934, in caso di ristrutturazione potremmo attenerci a 1/10 come rapporto aeroilluminante? Per esempio si potrebbe sfruttare una finestra di sup. di 100 cm per realizzare una cucina o una camera pari a 10mq? oppure vale il principio della doppia conformità e quindi posso legittimare una situazione con rapporto 1/10 solo se non la modifico? e in questo caso, secondo lei, lo spostamento do una porta senza modifica di superficie potrebbe essere ammissibile?
    Come sempre grazie
    Antonio
    Come sempre grazie

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    1. ciascun caso va analizzato nella sua peculiarità, comunque la norma parla di valori igienici "originari e legittimi" senza espresso richiamo alle norme in vigore, anche se tale richiamo è necessariamente implicito.

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  23. Buonasera, visto che è la prima volta che mi capita, chiedo suggerimenti. Su un fabbricato è presente sia il progetto originale (1966) e sia un condono regolarmente rilasciato (1985) che riguarda un aumento volumetrico e opere non computabili come superfici e volumi (pensilina e aumento di aperture). Lo stato di fatto presenta una distruzione interna diversa da progetto originale ma quasi simile alla planimetria catastale allegata al condono. È corretto impostare come stato legittimo la planimetria catastale allegata al condono, nella sua interezza e non soltanto per le porzioni oggetto di condono? Grazie

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    1. secondo me è più corretto usare il condono per legittimare le superfici che ne sono state oggetto, mentre il resto dell'immobile sarebbe corretto fare riferimento all'originario titolo: una legittimità ibrida, in sostanza.

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Grazie per il commento. verifica di essere "nell'argomento" giusto: ho scritto diversi post su vari argomenti, prima di commentare controlla che il quesito non sia più idoneo ad altri post; puoi verificare i miei post cliccando in alto nel link "indice dei post". I commenti inseriti nella pagina "chi sono - contatti" non riesco più a leggerli, quindi dovrete scrivere altrove: cercate il post con l'argomento più simile. In genere cerco di rispondere a tutti nel modo più esaustivo possibile, tuttavia potrei non rispondere, o farlo sbrigativamente, se l'argomento è stato già trattato in altri commenti o nel post stesso. Sono gradite critiche e più di ogni altro i confronti e le correzioni di eventuali errori a concetti o procedure indicate nel post. Se hai un quesito delicato o se non riesci a pubblicare, puoi scrivermi in privato agli indirizzi che trovi nella pagina "chi sono - contatti". Sul blog non posso (e non mi sembra giusto) pubblicare le mie tariffe professionali: scrivimi un email per un preventivo senza impegno. Grazie.