domenica 31 gennaio 2016

riflessioni sulle cause del crollo di lungotevere Flaminio

Il mio mestiere è fare il tecnico delle ristrutturazioni edilizie: moltissime volte ho dovuto valutare le possibili capacità portanti dei tramezzi che si trovano nell'edilizia romana di molti decenni fa. Dunque la storia di questo crollo mi ha impressionato, perché quelle sono strutture che in qualche modo conosco, anche se in quell'edificio non ho mai messo piede. Ho tuttavia osservato attentamente le foto del crollo e mi sento do voler dire due parole, da tecnico, su quello che potrebbe essere successo, fermo restando che non ho alcuna intenzione di volermi sostituire alla magistratura ed ai tecnici che indagheranno sull'accaduto.

N.B.: in questo post voglio solamente condividere con l'avventore tecnico o non tecnico delle mie riflessioni sull'accaduto: non vuole contenere accuse per nessuno né è mia intenzione sostituirmi all'opera della magistratura e dei consulenti tecnici che certamente svolgeranno al meglio delle loro possibilità questo importante e delicato lavoro.

In questo post citerò delle foto che però non posso riportare in questo stesso post per ovvie ragioni di copyright: potete fare riferimento a questo articolo di Repubblica del giorno dopo il fatto.

Da quello che si rileva semplicemente osservando le foto, è che la struttura portante dell'edificio è in telaio di calcestruzzo armato: lo si evince dal fatto che le tamponature perimetrali sono in semplici mattoni forati ("foratoni") (foto 11, 15, 38 della galleria dell'articolo linkato) e dalla presenza delle travi sui muri perimetrali; dalle altre foto si intravedono altre porzioni di travi. Dalle foto comunque non è chiaro se la struttura sia esclusivamente in calcestruzzo o se sia una struttura mista a muratura portante e calcestruzzo: ciò si potrà appurare solo con dei sopralluoghi sul posto o rinvenendo il progetto originario di costruzione del fabbricato, se disponibile.

Dalle foto degli elementi distrutti, a me che sono tecnico, balza all'occhio la notevole assenza di ferri all'interno del calcestruzzo: alcuni elementi strutturali, come le solette dell'ultimo piano e la trave perimetrale esterna tra sesto e settimo piano ne sono quasi completamente prive; altri elementi, come le solette dei balconi (foto 17), sembrano avere solo una rete elettrosaldata, tra l'altro di ferri lisci, posta più o meno al centro dello spessore della soletta (cioè laddove il ferro non collabora in nessun modo) e così pure sembrano essere i solai, quasi tutti in soletta armata senza pignatte. In alcune foto (31) tuttavia si intravedono dei solai laterocementizi, fatti cioè come si fanno ancora oggi, con travetti intervallati da pignatte, ma dove, anche qui, non si vede traccia del fondamentale ferro.

Il ferro nel cemento armato svolge un ruolo fondamentale: il calcestruzzo è un ottimo materiale da costruzione (utilizzato fin dall'epoca romana: tutte le pareti e la cupola del Pantheon sono fatte di questa tipologia costruttiva) ma lavora molto bene finché lavora esclusivamente a compressione (quindi come i muri ed i pilastri, che sono "schiacciati" dal peso sovrastante) e, nel momento in cui vi si inserisce una sollecitazione di trazione (come nelle travi che, nella deformazione dovuta al carico, semplificando estremamente, si comprimono nella parte alta ma si tendono nella parte bassa) questi non è più in grado di sostenere alcun carico. La modalità di funzionamento del calcestruzzo può essere anche immaginata istintivamente, dato che una volta indurito il conglomerato diventa molto simile ad un sasso o ad una tavoletta di pietra: se provo a rompere una tavoletta di pietra non otterrò alcun risultato poggiandolo per terra e "schiacciandolo" anche salendoci sopra con i piedi o con qualcosa di molto più pesante, ma, invece, provandolo a spezzare poggiandolo alle due estremità su due mattoni e salendoci sopra, si romperà molto facilmente. Questo appunto perché il calcestruzzo, così come tutti i materiali appartenenti alla categoria delle pietre e dei mattoni, non hanno la capacità di sostenere carichi di trazione, se non in modesta proporzione: non è un caso che l'arco, un elemento in cui i conci lavorano a sollecitazioni di compressione e di "slittamento" funziona molto bene con materiali pietrosi o di laterizio. Sempre per tale ragione, il legno invece funziona molto meglio come trave, poiché tale materiale resiste molto bene sia a compressione che a trazione (e non potrebbe essere diversamente, altrimenti gli alberi, soprattutto se con chioma alta tipo i pini romani, si spezzerebbero al primo colpo di vento un po più forte del normale), ed è per questo che in passato era sempre utilizzato per realizzare, appunto, le travi ed i solai, mentre i muri, che lavorano quasi esclusivamente a compressione, erano fatti di mattoni o di pietra.

Il ferro posto all'interno del getto di calcestruzzo armato interviene proprio nel momento in cui la struttura passa dallo stato "compresso" allo stato "teso" (scusate, non posso approfondire in questo post la teoria della trave, ma provate a figurarvi un parallelepipedo che viene deformato perché curvato: la porzione di parallelepipedo interno alla curvatura si comprimerà, mentre la parte esterna si tenderà, e questo è esattamente quello che succede in una trave strutturale, solo che la deformazione è impercettibile grazie alla modestissima elasticità dei materiali da costruzione): il calcestruzzo quindi lascia in queste zone al ferro, che invece resiste molto bene a trazione, la capacità di sostenere il carico. Laddove quindi il ferro è assente o in quantità ridotta, la struttura (trave o solaio che sia) si comporterà più o meno come quella tavoletta di pietra che siamo riusciti a rompere semplicemente provando a fletterlo. Facendo un paragone con la tavoletta di pietra che abbiamo prima spezzato tanto facilmente, potremmo dire che il ferro nel cemento è come una tavoletta di legno che noi andremmo a mettere sotto quella di pietra per "aiutarla" a reggere la flessione: non a caso infatti per rinforzare le lastre di pietra in alcuni contesti i marmisti applicano al di sotto di esse delle reti di materiali sintetici "incollate" con speciali resine, in modo tale che queste reti agiscano come il ferro nel calcestruzzo.

Tutto ciò per azzardare l'ipotesi che il fabbricato sia stato costruito e progettato, quantomeno riguardo l'aspetto strutturale, con poca consapevolezza e conoscenza - consideriamo infatti che si era nei primi anni di sperimentazione di questa tecnica costruttiva in Italia. A corroborare questa ipotesi c'è anche l'analisi delle balconature: elementi con parapetti anch'essi in calcestruzzo (venuti giù infatti a "blocchi") ancorati alla struttura esclusivamente mediante la soletta armata dello stesso terrazzino: si noti infatti (foto 35 porzione a sinistra, foto 52 porzione a destra) che il parapetto si è facilmente "staccato" dal muro di facciata del fabbricato, proprio perché non era legato a questo in nessun modo strutturalmente valido.

In questo tipo di strutture, qualora si avvalorassero queste ipotesi che sto delineando (che sono solo e soltanto ipotesi e che vi prego di non prendere in nessun caso come perizia, perché non è e non può esserlo), i carichi viaggiano in modo imprevedibile e possono abbandonare le strutture portanti, che, essendo poco "portanti" sono anche molto flessibili, e quindi "si adagiano" su quello che trovano, anche seguendo altre strade come per esempio le tramezzature interne, che certamente non sono concepite per reggere i sostenuti carichi dei pesi di un palazzo ma che comunque, avendo una rigidezza notevole - in quanto comunque di muratura - e comunque una discreta capacità di portare peso, ed essendo molto spesso nei palazzi storici "allineati gli uni sopra gli altri" attraverso i vari piani (perché difficilmente nei palazzi storici si faceva una distribuzione interna diversa per ogni piano), possono passare dall'essere totalmente inerti al diventare elementi parzialmente collaboranti.

Attenzione: non sto dicendo che togliere i tramezzi significa generare dei problemi statici, perché cosi non è e non può essere nella stragrande maggioranza dei casi, ma solo in casi limite e nell'ipotesi in cui mi sto avventurando.

In tutto questo contesto si consideri anche la natura del sottosuolo: il lungotevere è spesso composto da terreno di riporto e da sedimenti, dunque si tratta di terreni tendenzialmente cedevoli che possono creare delle fragilità strutturali che, seppure invisibili, possono aver contribuito alla debolezza strutturale nel suo complesso.

Dunque da un lato c'è senz'altro a mio avviso - stando a quello che si può vedere dalle foto e quindi con tutta la limitatezza di visione del caso - una debolezza strutturale di fondo dovuta ad una costruzione fatta in un epoca in cui non c'erano ancora delle competenze e conoscenze approfondite riguardo l'aspetto strutturale; dall'altro probabilmente ci sono stati ulteriori elementi che, sommati a questo, hanno aumentato il livello di fragilità. Si parla per esempio di un eccessivo peso che sarebbe stato posto sul terrazzo dell'ultimo piano del palazzo, dove sembra erano presenti molte piante: ciò non necessariamente rappresenta un pericolo in sè (a patto di non esagerare, perché il terreno per le piante arriva ad avere pesi specifici molto elevati), ma può aver contribuito ad aumentare i pesi su una struttura già al limite. Altra questione sollevata, appunto, quella dei lavori che erano in corso di svolgimento in alcuni appartamenti: per quanto detto prima, l'aver rimosso un tramezzo che forse nel tempo era diventato collaborante può aver innescato il processo di crisi che si è tradotto poi nel crollo.

Forse quindi il crollo non è derivato da una causa specifica ma da un complesso di cause tutte più o meno concorrenti. Possiamo parlare quindi di fatalità? non saprei, e non spetta a me stabilirlo.


8 commenti:

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  2. Salve Marco. I tuoi post sono sempre interessanti. A proposito del fattore "portante" dei tramezzi avevo scritto un annetto fa un post su un paio di casi particolari che mi sono capitati nella vita professionale (sono un tuo collega architetto). Lo trovi qui: http://www.didoarch.it/2015/02/la-demolizione-dei-tramezzi-i-rischi.html
    Uno dei due esempi che cito in particolare riguardava proprio un palazzo "anzianotto", credo degli anni '30, dove stava venendo giù un solaio per aver levato un tramezzo in mattoni messi di taglio (spessore totale meno di 10 cm tra mattone e intonaco): il ferro all'epoca era un materiale prezioso per cui avevano usato dei binari del tram per sostenere il solaio, ma non essendo abbastanza lunghi li avevano sovrapposti e legati con due fascette di metallo proprio sopra quel tramezzo. Io ero Coordinatore della sicurezza ed è stata un'esperienza decisamente "formativa". Per fortuna tutto si è risolto per il meglio senza feriti...
    Un saluto. Antonio Aurigemma

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    1. grazie del tuo contributo, molto interessante il tuo post! anche io ho esperienze dirette in tal senso, chissà che un giorno non ne faccia un post specifico dove senz'altro citerò il tuo. Aneddoto per aneddoto, in una ristrutturazione di un edificio di età umbertina, nel togliere una cameracanne è venuto fuori un solaio in legno in cui alcuni dei travetti erano i fianchi di una scala a pioli...

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    2. Anche a me, qualche tempo fa mi capito di avere a che fare con strutture eseguite con binari del tram come travetti. Anche lì, piedi di piombo: prima di togliere tutto rinforzammo i travetti nella parte sottostante con degli estrusi di fibra di carbonio incollati con epossidico che ne migliorarono la portata e la rigidita', riducendo notevolmente l'elasticita' di quel metallo un po' troppo morbido. Solo a quel punto abbiamo tolto i tramezzi. Ora non saprei dire se ci sarebbero state lesioni senza queste accortezze, ma posso dirvi che con queste accortezze ad oggi nessun problema e' uscito fuori!
      p.s. complimenti per il blog... un punto di riferimento!

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  3. Ciao Marco e grazie per lo spunto.
    A me danno da pensare anche le strutture delle palazzine costruite negli anni 50/60...sia per le condizioni in cui notoriamente versava la tecnologia costruttiva in quegli anni, sia perché non sappiamo nulla dello stato in cui attualmente versano elementi strutturali esigui e posati ormai 60/70 anni fa. Mi chiedo in fine perché, eliminando l'obbligatorietà del fascicolo del fabbricato, il legislatore non abbia mai studiato un modo per rendere conveniente (se non obbligatoria) una ricognizione dello stato di fatto strutturale degli edifici condominiali per loro natura sottoposti ad una moltitudine d'interventi corretti se presi singolarmente, ma tra loro incoerenti e scoordinati.

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    1. In effetti il fascicolo del fabbricato era una buona idea, ma - come troppo spesso accade in questo paese - è stata poi sviluppata e gestita in modo tremendo, tanto da renderlo di fatto quasi inutile (nonché essersi rimangiati l'obbligatorietà, dopo che molti l'avevano già fatto). Tuttavia lo stesso fascicolo non era poi tutto questo gran ché riguardo all'analisi strutturale, perché (giustamente o no) non prevedeva delle prove strumentali. Io sono convinto che il rispolverare il fascicolo del fabbricato, rendendolo digitale, flessibile, "ampliato" da ogni tecnico che opera per qualunque motivo nel fabbricato e che contenga quante più informazioni possibile (le istanze urbanistiche, le dichiarazioni di conformità degli impianti, gli schemi degli impianti, etc) sarebbe una manna.

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    2. Magari. Anche solo il ritrovare i documenti senza perdere un mese, ne giustificherebbe la spesa

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  4. senza contare l'abitabilita' 0ggi agibilita'....

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